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 2024  luglio 02 Martedì calendario

Intervista a Elly Shlein

«Davanti all’affermazione di una forza politica di estrema destra nazionalista è importantissimo il segnale che hanno dato il fronte popolare e i liberali: un accordo per fermare il Rassemblement National», dice Elly Schlein.
Pensa che un fronte così eterogeneo possa davvero reggere?
«Mi auguro ci sia una forte mobilitazione di tutta la sinistra. Ho sentito in queste ore Olivier Faure e Raphael Glucksmann. Hanno detto: dove siamo terzi, ritiriamo i candidati. Penso sia giusto lo facciano anche quelli di Macron e trovo sconcertante la scelta dei Repubblicani francesi, che fanno parte del Ppe, di non dare indicazioni di voto».
Con un’affluenza molto alta, Le Pen resta al 33,2%.
«Era chiaro dopo le Europee che stava crescendo ma credo sia una sorpresa positiva la buona affermazione del Fronte popolare, che ha tre settimane di vita. Mi colpisce il dato delle nuove generazioni, che lo premiano con oltre il 40 per cento sotto i 24 anni. Mi ha ricordato il nostro risultato alle Europee, primi tra gli under 30 e al Sud, e mi ha dato speranza».
Non sarà semplice mobilitare per un’unica causa elettorati così diversi, dai moderati alla France insoumise di Mélenchon considerato estremista quasi quanto Le Pen.
«Parliamo di un campo plurale che davanti al rischio di un governo di estrema destra riesce a mettere in primo piano le battaglie che uniscono: giustizia sociale, conversione ecologica, lavoro dignitoso, diritti».
Quello che non ha saputo fare il centrosinistra italiano?
«Spero ci sia da spunto per non ripetere gli errori del passato. Il tempo dei veti è finito, è il momento di mettere insieme le nostre differenze attorno a un’alternativa credibile e solida».
Non teme le posizioni distanti su politica estera o anche solo i personalismi ?
«Sono ottimista perché lo stiamo già facendo. Il giorno in cui hanno approvato il premierato in prima lettura abbiamo fatto una manifestazione unitaria che è stata per me la piazza più emozionante dopo le 123 della campagna elettorale. Sui temi concreti possiamo costruire la coalizione che batte Giorgia Meloni».
Con il rischio di sapervi unire solo contro qualcosa?
«È il contrario. È stata una piazza di reazione a una forzatura incredibile, un cinico baratto tra uno scempio della Costituzione e lo spacca-Italia, ma ho detto quel giorno che noi le alleanze dobbiamo farle sui “per” più che sui contro».
Ad esempio?
«Alle amministrative uniti abbiamo vinto in sei capoluoghi di regione su sei, eleggendo anche tre sindache. Abbiamo presentato candidati credibili sulla base di un programma condiviso su sanità, sociale, scuola pubblica, nidi, una conversione ecologica che prenda per mano imprese e lavoratori senza lasciare indietro nessuno, energia pulita, diritti».
A livello nazionale sarebbe più complicato.
«Le Europee ci hanno fornito un quadro chiaro: il Pd è il perno della costruzione di un’alternativa alle destre, ma non si sente autosufficiente. Noi non abbiamo mai messo veti su altre forze. E adesso non siamo più disponibili a subirne».
La dediabolisation di Marine Le Pen e del suo Rassemblement national, diretto erede della Repubblica collaborazionista di Vichy, somiglia alla normalizzazione della destra di Meloni. Queste forze si stanno istituzionalizzando?
«Possono cambiarsi il vestito quanto vogliono, ma restano sempre quello che sono. Li conosciamo per le loro posizioni e anche per i toni. Sono tra coloro che non hanno mai fatto differenze tra i conservatori e riformisti di Ecr e Identità e democrazia di Salvini e Le Pen. Dentro Ecr c’è Zemmour, razzista, omofobo, fan di Putin. È un’estrema destra nazionalista, stanno insieme solo per accordi di potere».
C’è anche un centro che tende a normalizzarli e farsene influenzare?
«Per questo con la famiglia socialista europea a Berlino abbiamo detto: mai alleanze con le forze nazionaliste che continuano a contrastare gli interessi comuni. Piuttosto, se si vuole allargare la maggioranza, si guardi ai Verdi, una famiglia democratica con cui lavoriamo da tempo».
In cosa ritiene dannosa una collaborazione con Orban o Ecr o Id?
«All’Italia servono investimenti comuni, il Next generation Eu non deve restare una parentesi. Gli amici e gli alleati di Salvini e Meloni giravano con i cartelli: non un centesimo all’Italia. Sono quelli che non vogliono superare il diritto di veto e che così facendo aiutano i Paesi che fanno i paradisi fiscali fregandoci risorse importanti. Se si torna all’austerità e alla mancanza di solidarietà l’Italia, che non ha i margini fiscali della Germania, ne verrà terribilmente danneggiata».
Cosa dovrebbe fare Meloni adesso con Von der Leyen?
«Mi aspetto che in quelle discussioni porti le priorità del Paese e non quelle del suo partito».
L’inchiesta sotto copertura di Fanpage su Gioventù nazionale ha scosso il partito della premier, che ha tracciato una linea rossa sull’antisemitismo e ha promesso conseguenze. Ma Meloni ha anche detto che l’inchiesta non avrebbe mai dovuto esserci, invitando Mattarella a difendere la libertà dei partiti.
«È grave che a fronte di un’inchiesta giornalistica da cui emerge un problema enorme nella base di FdI, con parole di antisemitismo, razzismo e con un linguaggio violento fino all’apologia del fascismo e ai saluti nazisti, la premier non solo non abbia preso le distanze, ringraziato quei giornalisti per quel che le hanno svelato, cacciato dal partito queste persone, ma abbia di nuovo attaccato la libertà di stampa. Senza considerare la libertà dei cittadini a essere informati di quel che accade dentro i partiti».
Non vede una scarsa reazione?
«No, credo che questi episodi lascino un segno e che non si tratti di casi isolati: stiamo parlando di una presenza strutturale e strutturata dentro il partito della premier».
La danneggia in Europa?
«Danneggia lei e l’Italia».
FdI ha riconosciuto l’autorevolezza delle parole di Liliana Segre.
«Delle due l’una: o Meloni è pienamente consapevole che dentro il suo partito ci sono quelle idee oppure è la leader politica più sbadata della storia. Non si tratta solo di ragazzi, ma di persone che lavorano nelle istituzioni: non può accadere in un Paese con una Costituzione antifascista».
L’antisemitismo si è visto anche in assemblee e piazze di sinistra.
«L’antisemitismo va sempre condannato, da chiunque provenga, ma non è accettabile il vittimismo di chi non si assume le responsabilità del partito che guida».
È salita fieramente sui carri del Pride, teme che una presenza così forte possa essere strumentalizzata?
«I Pride sono una grande manifestazione di orgoglio e di rivendicazione di lotta contro le discriminazioni. È il posto dove una grande forza progressista deve stare, senza alcun tentennamento. Facendo autocritica per il coraggio che è mancato in questi anni su questi temi. Perché si doveva fare molto di più quando c’erano i numeri per farlo».
Ci sono state esitazioni anche a sinistra.
«Con questo Pd stiamo portando avanti una legge contro l’omolesbotransfobia, affossata con una vergognosa risata sulla pelle delle persone discriminate solo per quello che sono; il matrimonio egualitario; adozioni più facili; una legge che riconosca pienamente i diritti delle figlie e dei figli delle coppie omogenitoriali, perché l’amore non si discrimina e i figli non si discriminano mai. E poi questo governo è riuscito a far scivolare l’Italia più in basso nella classifica Ilga sui diritti delle persone Lgbtqia+».
Meloni ha risposto che nulla è stato fatto su questi temi dal governo.
«Lo dice anche sull’aborto e mi fa talmente rabbia, perché per vanificare la 194 basta fare quello che stanno facendo. Antiabortisti dentro i consultori per fare pressioni violente su donne e ragazze che cercano di accedere all’interruzione di gravidanza. Difficoltà nelle Regioni che guidano ad avere accesso alla pillola abortiva in consultorio. Sono quindici anni che partecipo al Pride, continuerò a farlo, sono stata fiera di farlo da segretaria del Pd e se qualcuno con questo e con i Pride ha un problema è un problema suo: si chiama omofobia».
A che punto sono i referendum per l’Autonomia?
«Con le altre forze politiche e sociali ci prepariamo a raccogliere le firme per il referendum abrogativo, ma posso già annunciare che porteremo la richiesta di referendum nei consigli delle Regioni in cui governiamo».
Cinque consigli, quelli che secondo la Costituzione bastano per indire il Referendum.
«E che presto si esprimeranno».
È andata alla marcia di Latina contro il caporalato e ha lanciato la proposta di abolire la Bossi-Fini: l’opposizione si unirà su questo?
«Secondo me sì. Satnam Singh non è morto, è stato ucciso da un sistema strutturale di sfruttamento e di caporalato. Servono più risorse per una piena attuazione della legge contro il caporalato, sistemi di protezione per chi ha il coraggio di fare le denunce. E serve riscrivere la Bossi-Fini che da più di venti anni crea irregolarità perché non prevede vie legali e sicure di accesso. Se ci sono lavoratrici e lavoratori di serie b si trascinano verso il il basso le tutele, i salari, i diritti di tutti. Per questo stiamo anche continuando a raccogliere le firme per la legge sul salario minimo. Siamo il Paese europeo che ne ha più bisogno».
Siamo davanti a un nuovo giro di nomine Rai. Serena Bortone ha perso la sua trasmissione dopo il caso Scurati.
«È molto grave. Prosegue l’occupazione militare del servizio pubblico contro ogni logica aziendale e ogni criterio di merito. Abbiamo letto su Repubblica che sono stati assunti amici e parenti di amici, addirittura un deejay di Casapound. Si piazzano gli amici e si calpestano i precari. Serve una riforma della governance che renda il servizio pubblico indipendente dai partiti e dalla politica».—