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 2024  luglio 02 Martedì calendario

Keaton rilancia il genere noir

Come un fiume carsico, il genere noir ha dovuto spesso inabissarsi nelle pratiche cinematografiche, sovrastato da modi e stili più à la page, per poi ritornare in superficie all’improvviso, quando meno te lo aspetti, con la sua carica ancora intatta di verità e di forza espressiva. Come è successo con Michael Keaton regista, esordiente sedici anni fa con The Merry Gentleman (rimasto inedito da noi) e autore adesso di un noir fuori dagli schemi, La memoria dell’assassino, ma non fuori tempo massimo.
In mezzo, il Michael Keaton attore ha inanellato successi su successi – ricordiamo almeno Birdman (che gli è valso una nomination), Il caso Spotlight, Il processo ai Chicago 7 – ma evidentemente la voglia di misurarsi con qualcosa di più personale non l’aveva abbandonato e l’ha trovato nella sceneggiatura di Gregory Poirier e nel fascino che il noir sa ancora esprimere.
John Knox, che gli amici chiamano Aristotele per la sua passione per i libri (Michael Keaton) non fa il più bel mestiere del mondo: è un killer a contratto che si è costruito una reputazione per la meticolosità e l’attenzione con cui porta a termine i suoi lavori. Se è finito in prigione una volta è stato per evasione fiscale e non certo per uno dei suoi incarichi, che spesso esegue con il collega Thomas (Ray McKinnon). E con lui lo vediamo discutere del prossimo contratto, da eseguire dopo che John si è concesso un paio di giorni di «vacanza». Così si giustifica con l’amico per non svelare il vero scopo del suo viaggio: farsi visitare da un neurologo di fama, che rivelerà – a lui e al pubblico – quello di cui soffre: la malattia di Creutzfeld-Jacob, all’origine di una demenza cognitiva più veloce dell’Alzheimer.
Il responso è impietoso: il tempo che gli resta prima di perdere la propria lucidità si misura in settimane, non in mesi, e da questo momento il film scandirà la progressione sottolineando proprio lo scorrere di quelle settimane. Ma i primi effetti non tardano a farsi sentire, e la regia ce li mostra ricorrendo a uno dei classici stilemi del noir, quella dissolvenza dell’immagine verso il nero e il silenzio che sa restituire l’improvvisa solitudine visiva e sonora. A pagarne le conseguenze sarà proprio Thomas, nell’ultimo incarico che John deve portare a termine, dove invece di una sola persona finirà per ucciderne tre (l’obiettivo, la sua occasionale compagna e l’amico).
Il regista
(e protago-nista) non dimentica
la lezione cinemato-grafica
degli anni Quaranta: un racconto sfumato e complesso ben riuscito
L’esperienza gli permette bene o male di aggiustare le cose, anche se la coriacea detective Emily Ikari (Suzy Nakamura) intuisce che le cose sono andate in una maniera diversa da come le evidenze vorrebbero indicare. Ma a complicare le cose, bussa alla casa di John il figlio Miles (James Marsden), con cui aveva rotto i ponti da molti anni: in un impeto d’ira ha ucciso l’uomo che aveva sedotto e messo incinta la figlia sedicenne e ora, insanguinato e sconvolto, si è deciso a chiedere aiuto al padre (di cui conosce benissimo l’attività). E mentre il tempo scorre e i vuoti si fanno più frequenti, Knox non può che rivolgersi al suo committente Xavier (Al Pacino), per cercare di risolvere i tanti problemi che si accumulano, non ultimo l’avidità della prostituta (Joanna Kulig) che ogni settimana passava a concedere le sue prestazioni.
Certo, non siamo più negli anni Quaranta, quando il noir divenne il genere più popolare e amato perché sapeva dare forma sullo schermo ai dubbi e alla paura di una generazione che aveva subìto il trauma della guerra ed era finita preda di un malessere esistenziale senza soluzione.
Keaton e il suo sceneggiatore Poirier però non hanno dimenticato quella lezione e la portano in un modo di raccontare più sfumato e complesso, lontano dalla linearità seriale in voga oggi: non sono i colpi di scena a fare la differenza (qui ce ne sarà uno solo, risolutivo, ma alla fine del film) ma piuttosto la riflessione sulla moralità di certe scelte. E poi la stanchezza di questi non-eroi, il bisogno di portare a termine il proprio «lavoro» da veri professionisti e, alla fine, la forza di un legame padre-figlio che il tempo e i risentimenti non hanno cancellato.