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 2024  luglio 02 Martedì calendario

La Corte suprema «salva» Trump


New York La Corte suprema ha parzialmente concesso a Donald Trump l’immunità nel caso che lo vede imputato al tribunale distrettuale di Washington per il tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni del 2020 e per l’insurrezione del 6 gennaio, facendo però una distinzione fra atti ufficiali e non ufficiali. Per i primi, quando cioè è nell’esercizio delle sue funzioni esecutive, il presidente Usa ha secondo i giudici un’immunità «assoluta»; per i secondi, le azioni compiute da privato cittadino e come candidato o leader di partito, non gode invece dell’immunità. Distinguere fra atto ufficiale e privato, chiarisce la decisione scritta dal chief justice John Roberts, spetterà al tribunale federale, che dovrà valutare caso per caso.
Quella presa con 6 voti favorevoli e 3 contrari, arrivata secondo le affiliazioni politiche dei giudici, è una decisione di compromesso, scritta con parole che lasciano margine di interpretazione ai tribunali distrettuali, ma che avrà un impatto immediato sui processi di Trump: non a caso, la sua campagna elettorale grida vittoria e lui stesso dice che la decisione dovrebbe chiudere tutti i processi contro di lui. A Washington il processo partirà dopo l’estate e difficilmente potrà arrivare a giudizio prima delle elezioni del 5 novembre. Gli effetti potrebbero sentirsi anche nel processo in Georgia.
La decisione però avrà anche conseguenze a lungo termine sulla democrazia americana, perché garantisce l’immunità ai presidenti in tutti gli atti ufficiali. Così facendo, secondo i giudici progressisti, la decisione ne espande enormemente i poteri e crea «una zona franca attorno al presidente», come ha scritto nell’opinione di dissenso la giudice Sonia Sotomayor, parlando di timori per la democrazia. «La Corte ha dato a Trump le chiavi di una dittatura», ha commentato il vicemanager della campagna elettorale di Biden, Quentin Fulks, mentre il presidente sostiene che la sentenza non cambia i fatti di quel giorno.
La decisione si basa principalmente sull’articolo II della Costituzione, che «investe del potere esecutivo il presidente degli Stati Uniti d’America, il quale ha compiti di portata e importanza impareggiabili», si legge nel documento. «La sua autorità gli è conferita da un atto del Congresso o dalla Costituzione: in quest’ultimo caso è esclusiva e preclusiva, mentre non lo è invece in quelli in cui la sua autorità è condivisa con il Congresso».
I giudici hanno quindi stabilito che Trump ha «assoluta immunità» per quanto riguarda l’accusa di aver provato a costringere il dipartimento di Giustizia ad aprire indagini sulle presunte frodi elettorali, arrivando a minacciare il ministro William Barr di licenziamento. Le sue azioni rientravano nei poteri concessi dalla Costituzione.
Per quanto riguarda le pressioni sul vicepresidente Mike Pence affinché non certificasse la vittoria di Joe Biden, la Corte nota che, quando discutono di responsabilità dei loro ruoli, il presidente e il vicepresidente sono coinvolti in un atto ufficiale. Scrive però che la certificazione dei voti elettorali è una responsabilità del vicepresidente, e quindi il tribunale distrettuale dovrà stabilire se quella di Trump abbia rappresentato un’intrusione nelle sue funzioni.
I nove giudici rimandano poi allo stesso tribunale distrettuale di Washington anche la valutazione delle interazioni avvenute con «le persone al di fuori dell’esecutivo, in particolare quelle con i funzionari statali» che l’allora presidente provò a convincere di una presunta frode.
Trump è infine accusato di aver fomentato l’insurrezione del 6 gennaio. La Corte ritiene che quel giorno le azioni di Trump consistettero per lo più nella comunicazione, effettuata attraverso tweet e con il comizio di fronte a Capitol Hill, e che il presidente goda di poteri straordinari nel parlare ai cittadini. Ci possono essere però contesti in cui parla in modo non ufficiale, «come candidato o leader di partito»: anche in questo caso, la Corte lascia al tribunale distrettuale la valutazione.