Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  luglio 02 Martedì calendario

Fanno tutti spallucce

L’asticella delle figuracce si dev’essere alzata di molto, se nessuno sente più il bisogno di togliere il disturbo. «Scusate, ho cambiato quattro formazioni in quattro partite e mi esprimo con la stessa lucidità di Biden: ciao ciao». «Scusate, rischio di riconsegnare l’America a Trump e mi esprimo con la stessa lucidità di Spalletti: bye-bye». «Scusate, benché a differenza di Biden e Spalletti io riesca a farmi capire, o forse proprio per questo, gli elettori non di sinistra preferiscono votare l’estrema destra piuttosto che moi, Macron: adieu». Invece, niente: imbullonati. Naturalmente lo fanno per noi, nella convinzione che le cose andrebbero ancora peggio senza di loro. Perché soltanto loro possono illuminare l’azzurro tenebra, fermare il buzzurro in chief, arginare la marea nera d’oltralpe.
Oltre all’espansione incontrollata degli ego, molto dipende dall’emotività dei social. Un tempo le sconfitte ti rimanevano addosso: il c.t. Edmondo Fabbri si portò la vergogna della Corea fino alla tomba. Adesso ci si indigna con veemenza, ma a scadenza: tre-quattro giorni, una settimana al massimo, poi bisogna lasciare spazio all’indignazione successiva. Basta reggere la prima ondata di insulti & sberleffi e si può ripartire come se niente fosse. È scomparso persino il rito ipocrita delle dimissioni presentate allo scopo di farsele respingere. Anche perché spesso chi dovrebbe respingerle, come il presidente della Federcalcio Gravina, è il primo che dovrebbe darle.