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 2024  luglio 02 Martedì calendario

B., un Rimbaud alla rovescia

“Le sue parole, o le sue immagini, sono azioni, non saranno eterne, ma eterno ne sarà l’effetto, il male”. Così scriveva Franco Cordelli nel suo Il Duca di Mantova. Un diario di annotazioni – a metà tra romanzo e pamphlet – che riapproda in libreria per La nave di Teseo a vent’anni esatti dalla sua prima edizione targata Rizzoli.
Dietro il paravento metaforico del Duca di Mantova – personaggio ricchissimo e donnaiolo del Rigoletto di Verdi – si cela nientemeno che Silvio Berlusconi. Il j’accuse dello scrittore e critico teatrale romano ignora i “crimini capitalistici sfociati nel malaffare” del Cavaliere. Il suo “risentimento” trae carburante da quelli che definisce “crimini morali”, tra cui “avere scavato la fossa al suo stesso popolo”. Tuttavia questo “risentimento” nulla ha a che spartire con l’irriducibilità di un Céline. Piuttosto una forma retorica per meglio illustrare il suo ruolo di “vittima”. Sì, perché ciò che Cordelli non perdona all’ex premier è di essere sceso nel suo campo, quello letterario: “Inquinandolo, inflazionandolo, togliendo alle parole valore, le parole non contano più”. Ecco allora Berlusconi, “il più grande romanziere vivente”, assurgere a rivale. “Scrittore sebbene travestito da editore” – sulla scorta di soap, serial, telefilm, fiction, sit-com, film – ha plagiato l’immaginario fino a svuotarlo.
Trincerato nella sua casa romana, il critico ottantunenne rilegge il se stesso del 2004 con distacco sornione: “Intendiamoci, guardo a Berlusconi come a un mascalzone che ha dominato anche per troppi anni l’Italia. Ma il mio risentimento è cessato un anno fa con la sua morte. A distanza il nemico ti appare sempre meno nemico”. Il Duca di Mantova è debitore non solo di uno slancio engagé, peraltro già sperimentato nella ricognizione del Psi craxiano in Un inchino a terra (Einaudi, 1999). Ma fatalmente di un paio di episodi nella vita privata di Cordelli nei quali l’ombra del Caimano si è insinuata prepotente. I suoi genitori ricordavano di essere stati a bordo di una nave da crociera nella quale si era esibito a suo tempo come cantante un giovane Berlusconi. Così come nel 1994 Cordelli intrattiene una relazione con una signora impiegata in una casa di moda in passato amante di Cesare Previti. Sull’ex ministro, sfiorato in una vacanza sull’Argentario violando il confine di una sua proprietà, non mancano nel libro passaggi severi benché risaputi. “Previti mi trascinò in tribunale chiedendomi un risarcimento milionario” ricorda il critico, “ma alla fine gli avvocati della Rizzoli riuscirono a dimostrare l’infondatezza della querela e a vincere la causa”.
Un libro, Il Duca di Mantova, che aveva già procurato all’autore più di un dispiacere a cominciare dalla sua pubblicazione. “Come consuetudine consegnai il dattiloscritto a Ernesto Franco, direttore di Einaudi. Tempo un paio di settimane e mi sarebbe arrivato il contratto da firmare” racconta Cordelli, “e invece per un mese tutto tacque. Compresi fosse meglio affidarsi a un’altra casa editrice e la scelta cadde sulla Rizzoli”. Il libro fu respinto dallo Struzzo “perché brutto” ma, precisa Cordelli, “non ci ho mai creduto perché Una sostanza sottile fu pubblicato da Einaudi nel 2016 con un contratto a scatola chiusa, senza leggere prima il testo. Pertanto credo che quel responso fu dettato dall’imbarazzo di non pubblicare un testo critico contro Berlusconi, proprietario del gruppo Mondadori-Einaudi”.
Negli anni del berlusconismo imperante Cordelli si ritrova cucito suo malgrado un ruolo militante, proprio lui che nel ’68 alla Sapienza preferiva scrivere alla lavagna “Viva Proust” anziché “Viva Lenin”: “Sentivo un’insofferenza profonda per Berlusconi e alla base del libro c’era questa insofferenza ma non è il solo ad avere contribuito alla resa della conoscenza, della tolleranza e della democrazia. È un fenomeno globale. Penso a Donald Trump. Nemmeno una condanna in un processo è riuscito a neutralizzarlo. Non ci sono più anticorpi. Detto più banalmente: niente si frappone più al capitalismo”.
Tornando a Berlusconi, a questo “Rimbaud alla rovescia” – produttore di un significato poetico scadente –, Cordelli nel Duca scrive: “Ciò che sommamente di lui ci disturba è la sua ostinazione a non gettare la maschera, che pure gli assomiglia, la maschera di ciò che è, perché non vuole confessare?”. Cordelli continua a osservare la realtà politica e lo fa con lo sguardo del letterato che coglie dettagli minimi rivelatori di un mondo. “Se per Berlusconi provavo antipatia, per Giorgia Meloni ho un autentico raccapriccio. Quando in un video, rivolta ai giovani di Fratelli d’Italia, dice, aprendo il braccio destro, ‘Ragazzi voi siete stupendiii’, ecco in quello ‘stupendiii’ pronunciato con quella cadenza c’è tutta lei. Non la sopporto. Berlusconi quantomeno era un uomo colto e laureato, con la premier siamo al puro istinto”. Una vocazione alla parresia, quella di Cordelli, peraltro già messa nero su bianco in un passaggio del Duca: “Qual è il mio compito? disincantare, disintossicare, dire la verità”.