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 2024  luglio 02 Martedì calendario

Due milioni di donne molestate sul lavoro Solo lo smart working ha fatto calare i casi


ROMA – Sguardi offensivi, parole di troppo, proposte indecenti. In tempi più recenti, mail, chat o post sui social. Fino ad arrivare alle avances fisiche. Quasi due milioni di donne, sul posto di lavoro, almeno una volta nella vita hanno subito molestie a sfondo sessuale. Per lo più da colleghi (superiori, ma non solo) uomini. Un numero enorme e intollerabile quello dell’ultima rilevazione dell’Istat. E non deve ingannare l’apparente diminuzione degli ultimi due anni, con una percentuale del 4,2 % rispetto al più generale 13,5% di donne vittime di molestie. No, non è effetto né di un cambio di comportamento degli uomini e neanche del #metoo, il movimento femminista che in America ha segnato una effettiva rivolta delle donne ( soprattutto quelle del mondo dello spettacolo) molestate, ma che in Italia non ha mai veramente attecchito. Ben più banalmente, ad allentare la morsa dei ricatti sessuali sul lavoro è stata la pandemia, con i lockdown e il ricorso massiccio allo smart working.
Meno molestie dunque sui luoghi di lavoro, e anche fuori, in quelli che sono sempre stati i luoghi simbolo degli approcci offensivi o violenti, a cominciare dalle discoteche dove tre donne su dieci in vita loro sono state infastidite.
Niente #metoo in Italia e, purtroppo, ancora una percentuale bassissima di denunce: l’87,7 % resta in silenzio e subisce, appena il 2,3 % ha contattato le forze dell’ordine e il 2,1% altre istituzioni ufficiali. Tutt’al più, le vittime hanno provato a risolvere la questione parlandone direttamente al datore di lavoro o al loro superiore (14,9%) o confidandosi con colleghe e colleghi (16,3%). Quattro donne su dieci hanno preferito parlarne a casa o con amici, ma una su quattro ha preferito tacere. Segno che il ricatto sessuale, anche se non esplicitato, è ancora molto forte.
Ovviamente sono le più giovani, tra i 15 e i 24 anni, quelle maggiormente oggetto di molestie, ma sono anche le più fragili e con minorigaranzie sul posto di lavoro. Preferiscono tacere e sopportare pur di non perdere un contratto, una posizione lavorativa o una promozione. Di più, una gran parte di lavoratrici, sette su dieci, afferma che non saprebbe neanche a chi rivolgersi per denunciare: mancanza di punti di riferimento nelle aziende e negli uffici e pochissimi corsi di formazione dedicati al problema: solo il 6,3% ne è a conoscenza.
Donne ma, in misura assai inferiore, anche uomini: 427.000, il 2,4%, paradossalmente quelli che occupano posizioni apicali sul posto di lavoro, dirigenti o liberi professionisti, vittime di altri uomini ma pure di donne. Anche loro denunciano poco, forse perché danno meno peso e ritengono meno gravi quelle che pure riconoscono come molestie.
L’ultimo report Istat mette in evidenza l’allargamento del ventaglio delle molestie, che va di pari passo con i cambiamenti sociali e comportamentali e con lo sviluppo tecnologico che ha guadagnato enormi spazi nelle nostre vite, sul luogo di lavoro e non. E così, se un tempo, tra le persecuzioni più diffuse c’erano i pedinamenti da parte degli uomini, le telefonate osse ssive, le proposte indecenti e le vere e proprie avances fisiche, oggi sono centinaia di migliaia le donne molestate in una dimensione virtuale, ma non per questo meno devastante anche per l’enorme platea di persone in grado di “assistere” alla molestia messa a segno via social, con frasi oscene, apprezzamenti sgraditi, body shaming, proposte inappropriate fino alla diffusione di foto e video a sfondo sessuale.
Ma c’è un altro dato rilevante e non facilmente interpretabile: le donne con un titolo di studio elevato risultano più esposte al rischio tanto che il 14,8% delle laureate le subisce, contro il 12,3% di quante possiedono un titolo medio basso. Se chi ha un titolo di studio elevato subisce soprattutto le offese, le proposte inappropriate e le molestie fisiche caratterizzano invece livelli di studio diversi: operaie e impiegate sono le donne più a rischio. Soprattutto se vivono e lavorano nel nord Italia. Perché anche la ripartizione territoriale è rivelatrice e ci racconta che il maggior numero di casi avviene nel Nord Ovest, in testa il Piemonte con il 20% rispetto al totale nazionale, seguito da Umbria, Sicilia, Campania e Lazio.