Corriere della Sera, 1 luglio 2024
Intervista a Giuseppe Cruciani
Nello spettacolo con cui sta riempiendo i teatri, Giuseppe Cruciani difende il diritto a odiare, il diritto ad alzare muri contro i migranti, il diritto all’egoismo, urla «non possiamo farci carico di tutti i mali del mondo». Quindi, spacca la scenografia, mostra «la piramide degli stronzi», dice «in cima, c’è il maschio bianco occidentale eterosessuale, io» e spacca pure quella. Nessuno più di lui incarna la ribellione al politicamente corretto. Una volta, ha condotto la Zanzara di Radio24 a torso nudo, in onore dell’ospite Luca Strongman, «atleta cerberus e sollevatore di camion»; un’altra, con la divisa da riservista israeliano. Tutti i giorni, in diretta chiamano ascoltatori che lui insulta e che lo insultano. L’altro giorno, uno gli ha detto «vaff… tu, tua madre, tuo padre, tua sorella, altro che Putin, sei un uomo di m…a». E un altro: «Io ascolto la vostra trasmissione da Palermo e mi viene lo schifo».
Qual è l’insulto peggiore ricevuto?
«Servo della Meloni, lecchino, megafono delle destre, schifoso filoisraeliano. Ma gli insulti mi galvanizzano, perché ne riconosco l’origine».
La galvanizzano. Sta scherzando?
«Non per metterla sul piano alto, ma per dirla con David Parenzo che conduce con me, ogni giorno facciamo la colonscopia dell’Italia. Per esempio, abbiamo visto l’ascesa della Lega e poi di Giorgia Meloni prima degli esiti elettorali».
Domani, esce per Cairo Editore «Via Crux – Contro il politicamente corretto». È un manifesto, un pamphlet, una chiamata alle armi?
«Un po’ tutto quello che ha detto. Incarna il pensiero dell’uomo comune che si ribella al fatto che alcune cose non si possono più dire».
La cosa politically correct che detesta di più?
«Considerare le persone sulla base delle preferenze sessuali. A me non frega se uno è bisessuale, trisessuale, se fa le orge, lo valuto per quello che è e pensa. La catalogazione Lgbtq+ è un’aberrazione, lo dico da libertario, non da moralista di destra, eppure passo per omofobo anche se sono a favore di adozioni gay, utero in affitto e matrimonio gay uguale a quello etero».
Si è chiesto se passa per omofobo perché, al contempo, definisce gli omosessuali con espressioni irripetibili?
«Io rivendico il diritto di dire frocio, culattone, finocchio, se non c’è l’intenzione di offendere. Il fatto che qualcuno possa sentirsi offeso non è un motivo per vietare una parola, invece i tribunali stanno diventando il braccio armato del politicamente corretto».
Se le sue intenzioni sono buone, che cosa le costa dire «omosessuale»?
«Sono contrario al linguaggio inclusivo: se inizi a imporlo, niente sarà mai abbastanza inclusivo. L’idea di limitare il linguaggio è totalitaria. Mi fa paura chi dice che i social dovrebbero essere liberi dall’odio. Se non ti piace essere insultato, basta non leggere i commenti. Gli haters non esistono, hanno vita solo perché gli diamo importanza. E poi: gridare all’odio, ormai, è un modo per fare carriera e avere visibilità, io detesto chi costruisce carriere sostenendo di essere vittima degli odiatori».
Ma quando lei apre il microfono a chi odia gay, immigrati, politici, non fa anche lei carriera e visibilità sfruttando l’odio?
«Io lascio sfogare le persone, gestisco l’odio sociale che emerge e, quando decido che è troppo, chiudo il microfono, ma non si può ridurre a questo quello che faccio alla radio. In due ore di trasmissione, raccontiamo la politica, le polemiche, i fatti del giorno, abbiamo ospiti non per forza estremi e momenti di comicità. E accogliamo una parte di società che non accoglie nessuno, quella complottista su vaccini, Stati Uniti, Putin, antisemitismo».
Sua figlia, 19 anni, come vive un padre bandiera del politicamente scorretto?
«Il tema non è affrontato. Sono separato da tanto, abitiamo vicini, ci vediamo, ma non parliamo di quello che faccio. Lei non mi ha mai fatto domande, io non le ho mai detto nulla».
E i suoi genitori?
«Mio padre è morto nel 2008, prima dell’esplosione della Zanzara. Non so che cosa avrebbe detto e mi chiedo spesso se averlo avuto vivo avrebbe frenato la mia libertà di espressione. Era un signore, gran lavoratore, agente di commercio. Però era un libertario, votava Pli. Mia madre oggi sta male, ma prima, un po’, si vergognava perché le amiche si scandalizzavano per il mio turpiloquio. Un giorno, mi fa: ti ho fatto studiare, laureare, e ora dici le parolacce alla radio. Le ho risposto: è un po’ più complesso di così. Ma coi miei genitori non ho mai parlato molto di me, del mio lavoro, di chi sono. E comunque nella vita le parolacce non le dico».
Lei parla tantissimo di sesso, da dove arriva questa ossessione?
«È una cosa che mi piace e l’ho trasformata in un argomento perché piace a moltissime persone. Onlyfans lo abbiamo mediaticamente scoperto noi. Alcuni problemi della sessualità, come l’erezione, interessano a tutti; infatti, siamo popolarissimi tra gli urologi. Anche perché ho raccontato che mi sono operato una cisti al testicolo grossa come un terzo testicolo».
Ha pure raccontato di aver sfiorato un’esperienza gay e di essere stato con prostitute.
«Da ragazzo, a Roma, mi piacevano le serate del Muccassassina organizzate da Vladimir Luxuria, in cui immaginavi cose che succedevano nelle dark room. Ma vengo da una famiglia in parte papalina. Mio nonno Alfredo Rosati, cavaliere di cappa e spada, era nel cerimoniale del Papa. Una sera, al Muccassassina, ho avuto un’attrazione per un tipo alla Freddie Mercury, vestito di pelle, ci siamo scambiati sguardi, avvicinati, ma al dunque non ho concluso. Forse il nonno Rosati nella mia testa mi ha bloccato».
Le spedizioni nelle case chiuse?
«Quattro, come esperimento sociale, all’estero, seguendo le rotte dei nostri putt..ieri costretti a emigrare più dei cervelli. Esperienze inutili, non mi è venuta voglia di ripeterle. Ma trovo la prostituzione legalizzata una scelta di civiltà, c’è un do ut des chiaro e trasparente. Poi, c’è chi mi accusa di non preoccuparmi delle prostitute sfruttate, ma è chiaro che sono contro lo sfruttamento. Solo che di questo si devono occupare le forze dell’ordine».
Portò al casino di Lucerna Antonio Razzi, che si rifiutò di entrare. Che amicizia è la vostra?
«Risale alla crisi del governo Berlusconi, quando lui fu decisivo per non farlo cadere. Poi, Antonio è di Chieti, dove stavano i miei, siamo diventati amici con famiglia, nipoti. L’ho accompagnato con la radio in peripezie e polemiche».
È amico anche di Roberto Vannacci?
«Non lo sento spesso, ma gli ho presentato il libro due volte, coi manifestanti che volevano impedirlo. A Vicenza, c’erano duecento agenti della Digos a proteggerci. Una follia. Dopo, siamo rimasti svaccati sul divano a parlare fino alle due di notte. Non ne condivido tutte le opinioni, ma ne apprezzo la libertà di pensiero».
Come si spiega il suo successo?
«Col fatto che i suoi avversari politici lo hanno dipinto come un mostro. Ma non lo è».
Lo ha votato?
«Sì, ma ero indeciso fra lui e Stefano Bandecchi».
Il sindaco di Terni celebre per le sfuriate.
«Mi piace perché è pazzo come me, anche se ha eccessi che io non ho. Io sono mite, se qualcuno mi vuole menare, mi faccio menare. Quando a Radio24 ho esibito un salame e sono arrivati gli animalisti, sono scappato. Mi interessano le risse verbali, non quelle fisiche. E se sei famoso, nella rissa, ci rimetti sempre tu, meglio passare per vittima. L’ho detto anche al mio amico Fedez. In generale, senza riferimenti alla presunta rissa».
Lei ritiene la monogamia impraticabile. Ha una compagna?
«Da tanti anni e stiamo molto bene insieme. È una persona sensibile, abbiamo caratteri diversi, ma abbiamo trovato un equilibrio».
Un suo cavallo di battaglia è la tolleranza zero contro gli immigrati.
«Non sono razzista, ma l’immigrazione clandestina è da combattere. Invece, per il politicamente corretto, l’immigrazione è di per sé buona e dobbiamo accogliere per senso di colpa. Ma io non mi sento in colpa di essere nato qui e rivendico il diritto di essere egoista. Senza egoismo, non ci sarebbero sviluppo e progresso».
Non trova che anche chi scappa dall’Africa non ha colpa di essere nato lì e abbia il diritto di desiderare una vita migliore così come lei desidera preservare i suoi privilegi?
«Giustissima osservazione, tu hai il diritto di prendere una barca e andare dove vuoi, dopodiché c’è il diritto di uno Stato di difendere i suoi confini in modo contrario alle tue speranze».
In principio, la Zanzara era celebre per far dire cose impensabili ai politici.
«Non potevamo andare avanti a intervistare gente per mezz’ora cercando una frasetta da rilanciare. E poi c’è stato il caso Barilla, finito nei manuali di comunicazione in America. Pietro Barilla disse che non avrebbe mai fatto uno spot con una famiglia gay. Fu un turning point per noi: apparimmo come mostri che potevano rovinare un’azienda. Chi voleva venire in un posto così? Fu un momento drammatico».
Altri momenti drammatici?
«Sul Covid, io ero contro l’obbligo vaccinale e David a favore: abbiamo molto litigato, fu un periodo duro. Mi dispiaceva perché lo stimo e siamo amici. Io fui pure accusato di aver provocato la morte di Mauro da Mantova, un ascoltatore super complottista, contrario ai vaccini. Ma sono stato io a convincerlo a ricoverarsi, anche se ormai aveva la saturazione a 54».
Ha mai il dubbio, in radio, di aver esagerato?
«A volte, mi dico che sono stato troppo duro con un ascoltatore».
Si chiede mai se è giusto far leva sugli istinti peggiori delle persone?
«Qualcuno me lo contesta, ma le persone sono così, indipendentemente da me».
La notte dorme bene?
«La notte, a volte, ripenso a cosa ho detto in radio, non dormo se penso che potevo gestire meglio un passaggio. So che il successo ha sempre una parabola e mi ossessiona riuscire ad avere una discesa lieve, non repentina».
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