la Repubblica, 30 giugno 2024
Divorziare a 60 anni
«Sono stata innamorata tutta la vita». Così Isabel Allende, scrittrice adorata in tutto il mondo, aveva spiegato il suo terzo sì, in piena terza età, a chi le chiedeva come mai, a 74 anni – adesso ne ha 82 – avesse deciso di ricominciare una vita coniugale con Roger Kucras, avvocato di New York suo coetaneo, dopo aver divorziato dal secondo marito Willie Gordon, alla fine di un matrimonio durato ben 28 anni. Parole che sono un inno alla non età dell’amore, alla possibilità di ricominciare sempre, anche quando una relazione finisce, anche quando un divorzio è tardivo, arriva, cioè, tra i sessanta e i settanta, anni un tempo definiti vecchiaia oggi invece considerati maturi, complice la rivoluzione della longevità.“La stagione dell’amore viene e va. All’improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà”, cantava Battiato. L’Istat ci dice che la cosiddetta “instabilità coniugale” sta avvolgendo come una tempesta sentimentale anche le coppie più grandi, tra il 2015 e il 2021 i divorzi tra over60, igrey divorce così li ha definiti la sociologia americana, sono aumentati di oltre il 40%, passando, in numeri assoluti, dai 6.131 del 2015 agli 8.715 del 2021. La statistica si ferma qui, la platea è ristretta, certo, ma la tendenza è chiara, chiarissima. «Non dobbiamo dimenticare che in Europa siamo il paese con il più basso tasso di divorzi, ma i numeri sono sottostimati. Molte coppie mature si lasciano senza arrivare al divorzio, per questo i dati sfuggono, il fenomeno però sta diventando strutturale, basti pensare che dal 1974 al 2015 il numero di separazioni tra gli over sessanta è passato dal 3,2 al 14,6% e anche in questo caso le statistiche non fotografano esattamente la realtà». Laura Arosio è professoressa associata di Sociologia all’università Bicocca di Milano e ai divorzi tardivi ha dedicato diversi studi pubblicati su Neodemos.«Dietro igrey divorce ci sono due fattori: l’allungamento dell’aspettativa di vita e una diversa percezione culturale del matrimonio che ha raggiunto le fasce di età più avanzata. E cioè il diritto al sentimento, esattamente come nelle coppie giovani: se l’amore finisce, si scioglie anche il patto coniugale, complice la consapevolezza che superati i sessant’anni ci può essere ancora un bel pezzo di vita davanti. Per l’Italia così familista è una rivoluzione culturale, un fenomeno trasversale ai ceti sociali e anche alle aree geografiche. A sorpresa, infatti, i divorzi grigi sono diffusi in prevalenza alSud».La spiegazione, dice Arosio, è di tipo storico-sociale, perché si tratta di coppie con impianto più tradizionale che «si lasciano soltanto quando i figli escono di casa e nei primi decenni della legge sul divorzio, dal 1974 in poi, non erano ancora culturalmente pronte a mettere fine a un matrimonio, mentre oggi questa è una opzione realistica di libertà».Perché se è vero che si tratta di una rivoluzione e come dice la scrittrice Lidia Ravera «per una vita che duri tutta la vita certe volte bisogna divorziare», lasciarsi però nel «terzo tempo dell’esistenza» sempre con le parole di Ravera, non è certo indolore. Aggiunge Laura Arosio: «Una delle cause dei grey divorce nasce dalla sindrome del nido vuoto, quando la casa si svuota perché i figli se ne vanno e si resta soli, magari prigionieri di una relazione finita ma sopportata in nome dell’unità della famiglia. La differenza però è che oggi anche oltre i sessant’anni non ci si sente più troppo vecchi per separarsi, per mettere fine all’infelicità coniugale, del resto l’entrata nella terza età è stata spostata ben oltre, anche dalle società scientifiche. C’è però un lato d’ombra: quando si rompe una coppia anziana, viene meno l’accudimento reciproco, perché gli anziani danno e ricevono cura».È una delle nuove emergenze. In particolare in Italia dove il welfare è drammaticamente basato sulle alleanze familiari. «Sociologi ed economisti hanno lanciato l’allarme: lo sciogliersi dei legami in età avanzata, con un allentamento dei rapporti con i figli, rischia di creare vuoti di cura ai quali dovrebbe supplire lo stato. Ma nel nostro paese, purtroppo, questo non avviene». Conseguenze inevitabili di un volano che gira però alla ricerca della felicità. Lidia Ravera da anni racconta il terzo tempo della vita, la “adultità” avanzata che secondo le nuove classifiche Oms non diventa anzianità, vecchiaia prima degli ottanta anni. E contro ogni ageismo ha scritto per Einaudi un saggio, anzi un pamphlet dal titoloAge pride, orgoglio d’età. «I divorzi tardivi sono un segnale positivo di ricerca dell’amore e non solo del ricordo dell’amore. Ma bisogna cambiare lo sguardo e considerare la vecchiaia una parte della vita, non la selva oscura, la parte da buttare. James Hillman diceva: Il più grave dei mali della vecchiaia è l’idea che se ne ha. E questo in particolare vale per le donne».Quando arriva la terza età le asimmetrie e le disuguaglianze tra sessi accumulate per tutta una vita infatti si acuiscono. Basti pensare alle pensioni: le donne percepiscono in media il 30% in meno dei maschi, sono quindi anziane più povere, avendo spesso interrotto il lavoro per le maternità, per accudire la famiglia, perché obbligate a part time involontari. «Tutto questo – conferma Laura Arosio – contribuisce certamente alla libertà o meno di affrontare un divorzio nella maturità».Lidia Ravera torna all’orgoglio dell’età. «Divorziare può voler dire ricominciare, sentendosi magari più soggetti di desiderio che oggetti di desiderio. Se una donna ama il sesso, lo cercherà a sessant’anni come a venti, qual è lo scandalo? È vero che c’è una differenza tra maschi e femmine, pensiamo al linguaggio: dopo la menopausa la donna viene definita “vecchia” mentre l’uomo anche di settant’anni maturo. Ma se si è infelici in un matrimonio ogni stagione è buona per divorziare, basta nonpensare: è troppo tardi, accontentiamoci». Raccontava Isabel Allende descrivendo a 74 anni l’amore inaspettato per il suo ultimo marito Roger. «Agli occhi del mondo sono una anziana, ma io non mi sento così. Sono piena di energia, ho voglia di romanticismo, di una relazione, anche di sesso, non sento affatto che la vita mi abbia messo da parte».Maria Rita Parsi è psicologa di lungo corso e dichiara, orgogliosamente la sua età: 77 anni. Uno dei suoi ultimi libri si chiama:Noi siamo bellissimi. Elogio della vecchiaia. «Potersi lasciare da vecchi è una grande liberazione. Poter dire a 70 anni: adesso mi godo questa stagione dopo aver chiuso storie dolorose, ricucito ferite, con i figli già grandi, invece di ammuffire tra i rancori di un matrimonio finito. Dal mio osservatorio di psicologa ho visto soprattutto le donne rifiorire, finalmente sole, dopo vite dedicate alla famiglia, i maschi, invece, se la cavano peggio, cercano subito una nuova compagnia. Certo, si lascia chi se lo può permettere, ancor più se la relazione si rompe nella terza età, quando le forze fisiche e le risorse economiche si assottigliano. Ma è, senza dubbio, una via per la libertà».