Corriere della Sera, 30 giugno 2024
Intervista a Giovanni Angelo Becciu
Eminenza Giovanni Angelo Becciu, perché ha deciso di parlare?
«Perché davanti a un’ingiustizia non si deve tacere. La Bibbia dice di non lasciare tramontare il sole senza che si renda giustizia al povero defraudato. Era considerato un peccato che gridava vendetta al cospetto di Dio. E io quasi da quattro anni sono stato defraudato dell’onore, del ministero episcopale e della serenità. È molto più di un tramonto».
Non crede che la sua vicenda segni un cambio di fase, nella quale l’uso disinvolto del denaro in Vaticano non è più consentito? La condanna per peculato e truffa in primo grado parla chiaro.
«Io non ho commesso nessuna truffa e nessun peculato e lo grido a gran voce. In un processo bisogna trovare i responsabili di chi ha fatto uso disinvolto di danaro. E soprattutto chi ha commesso un reato. Io nego di essere stato tra costoro, ho agito in base a quanto è stato studiato e proposto dai nostri uffici. Inoltre l’investimento della somma fu autorizzata dal mio Superiore, l’allora Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone».
Eppure si ha la sensazione che con Francesco si cerchi una trasparenza che punisce comportamenti prima abituali. Gli investimenti sul palazzo vaticano a Londra non dicono questo?
«Non so se i comportamenti a cui Lei si riferisce fossero abituali, io comunque non mi occupavo di investimenti. Come Sostituto avevo ben altro a cui pensare. Per la Segreteria di Stato vi era un ufficio apposito che si occupava di questa materia e io mi sono limitato a seguire le loro indicazioni. Peraltro, l’ufficio mi presentò l’investimento che comprendeva anche il Palazzo di Londra come massimamente vantaggioso per la Santa sede. Dov’era il reato? Ho forse ottenuto un beneficio personale? Nessuno! E poi badi bene che quando la Segreteria di Stato decise di acquistare l’intera proprietà del Palazzo io non ero più Sostituto».
Non avrà sottovalutato il fatto che alcuni comportamenti, quando c’è un processo, non sono più ritenuti legali?
«Se intende dire che oggi abbiamo una magistratura vaticana dotata di una sorta di imperatività, può darsi. Da anni sentiamo notizie di processi, e poi processi. Ma l’immagine di una Santa Sede coinvolta in processi a ogni piè sospinto induce a credere che il Vaticano sia composto da gente dedita al malaffare. E questo non contribuisce alla sua fama positiva».
Forse non contribuiscono neppure casi come il suo.
«In effetti, mi duole, ma il Vaticano con il processo a mio carico ha perso un’occasione unica per mostrare al mondo come amministrare la giustizia nel rispetto dei diritti degli accusati. Mi ha ferito essere stato presentato come un cardinale affarista. Io non lo sono. Mai un centesimo è andato nelle mie tasche e il processo tutto questo lo ha ampiamente dimostrato. Io non ho disonorato il Vaticano, io ho dato la mia vita per la Chiesa servendola in tutto il mondo, nelle varie Nunziature, con dedizione e impegno».
È rimasto sorpreso dai quattro controversi rescripta del Papa con il processo in corso?
«Che a sorprendersi sia stato io è di poco conto, ma è grave che ad essere fortemente critici siano stati due tra i più illustri canonisti del mondo al punto da mettere in dubbio la validità dei quattro documenti. La cosa che mi stupì fu soprattutto il cambio della norma sul Tribunale chiamato a giudicare cardinali e vescovi. Una norma ad hoc!»
Ha detto di essersi sentito svantaggiato come imputato.
«Certamente, ma dal Papa l’ho accettato. Il Santo Padre mi disse di sottopormi al giudizio con tranquillità, perché sarebbe stato il modo migliore per provare la mia innocenza. Purtroppo il processo ha disatteso le aspettative di Papa Francesco e ha finito per non accertare la verità. E poi non c’è stata uguaglianza tra le parti, perché io sono stato l’unico ad entrare in Aula con una “condanna”, quella di chi era stato già privato delle prerogative cardinalizie, e presentato come colpevole da una violenta campagna mediatica di dimensioni mondiali».
Ha scritto che il processo è stata «la fossa del Vangelo». Non le pare un’esagerazione?
«No, non è stata un’esagerazione. Mi spiace sottolinearlo, ma in un processo in cui non ho avvertito che si cercasse la Verità, non si è osservata la carità, non si è mostrato il rispetto dell’altro, si è giurato il falso, si è calunniato, io non ho ritrovato il Vangelo».
Forse l’ha resa negativa anche la registrazione della telefonata con Francesco che lei fece a sua insaputa. Una cosa grave, non crede?
«Corsi subito da papa Francesco a spiegarmi e a scusarmi. E lui capì. Ero disperato e la disperazione dell’innocente accusato è ancora più drammatica. Il Papa era uscito da poco dall’ospedale e giravano voci allarmanti sulla sua salute, col processo alle porte. Non volendolo indicare come testimone gli chiesi se poteva mettere per iscritto le cose che sapevamo solo io e lui: che mi aveva autorizzato a mediare per la liberazione di una suora colombiana in Mali. Mi chiese di scrivere la lettera che poi gli inviai. Ma in risposta ne ricevetti una dura, severa, firmata da lui ma con un linguaggio che non era il suo, in cui non lo riconoscevo. Mi vennero dei dubbi. Lo richiamai, perché era la mia unica salvezza. E registrai il nostro colloquio. Ma non usai mai quella registrazione, né fui io a renderla pubblica».
Il palazzo dello scandalo
L’investimento per il palazzo di Londra?
Ho seguito le indicazioni dei nostri uffici
Ed è stata usata contro di lei. Ma il silenzio degli altri cardinali non è un brutto segnale, per lei?
«Sono passato dalla fase del lebbroso isolato, alla fase in cui durante il processo, quando si cominciava a capire che le accuse erano tutte inconsistenti, ho ricevuto un crescendo di attestati di solidarietà».
Molto privati, però.
«Al Concistoro ho avuto un’accoglienza cordiale. Ho scritto in una lettera che avrei voluto una difesa a voce alta, ma soprattutto dopo una requisitoria offensiva. Non si tratta così un cardinale, anche se imputato, è innocente fino a prova contraria. Non si dovrebbe trattare così nessuno».
Quando arriveranno le motivazioni della sentenza?
«Non lo so e risulta difficile prevederlo».
Il processo d’appello potrebbe cominciare con il Giubileo del 2025.
«Sarebbe bene che arrivasse prima. Altrimenti temo che sarebbe un danno enorme per la Chiesa e per lo stesso Giubileo».
In caso di amnistia accetterebbe di essere amnistiato dal Papa?
«Sinceramente, non penso all’amnistia o a chiedere la grazia. Io spero che la Corte d’Appello riconosca la mia innocenza. Lo sa che non riesco ancora a capire per cosa sono stato accusato e condannato?»
Nulla da rimproverarsi per i soldi alla consulente dell’intelligence Cecilia Marogna, che li spese in beni di lusso?
«Io ho agito sempre in piena buona fede e perseguendo un fine nobile. Sono stato condannato per aver truffato in questa vicenda il Papa: è un’assurdità totale. Quella era una operazione umanitaria concordata con il Papa e da Lui fui autorizzato a portarla a termine».
Rimane il mistero del perché il 24 settembre del 2020 entrò dal Papa da cardinale e uscì da ex.
«A dir la verità non sono uscito da ex cardinale, ma con la sospensione delle prerogative cardinalizie. Purtroppo qualcuno ha detto al Papa tante falsità contro di me, dopo sette anni di rapporti leali e sinceri. Per me rimane un buco nero. Bisognava annientarmi, senza processo. Speravano che mi ritirassi in Sardegna, senza combattere. Ma non l’ho fatto né lo farò. Urlerò al mondo la mia innocenza con la forza della verità. Una forza interiore ancor più forte da quando sono stato condannato».
Si sente ingannato?
«Non dal Papa, ma dal modo in cui sono stato catapultato ingiustamente in questo processo. Proprio nel processo è emerso come sia stato ordito un complotto da due signore per spingere monsignor Alberto Perlasca, che era stato accusato nella vicenda degli investimenti, a coinvolgermi. Che dire poi dei messaggi inviati dalla signora Genoveffa Ciferri al Promotore di giustizia coperti con «omissis» dall’accusa? Sono ben 126, di questi ne abbiamo potuti leggere solo 6. Perché? È diritto della difesa poterli avere in mano. Tra le altre cose che non riesco a spiegarmi è come mai si sia realizzato il vaticinio, fattomi dalla citata signora in tono minaccioso nel luglio 2020 e confermato nel processo, che io avrei perso il berretto cardinalizio da lì a poco e che monsignor Perlasca sarebbe stato pienamente riabilitato in Vaticano!»
Ha una risposta?
«No, ma resta una vicenda inquietante».