il Giornale, 30 giugno 2024
La strategia di Giorgia
Giorgia Meloni ha tentato e ci sta ancora provando – di entrare nel fortino di Bruxelles dove tedeschi e francesi, circondati da vassalli fedeli, decidono della vita quotidiana di 27 nazioni europee, tra cui la nostra. Entrarci non è per lei tigna personale, ma nazionale. La questione dell’appartenenza partitica e delle relative alleanze sparisce dinanzi all’evidenza di un bene più grande. Rendiamoci conto di che cosa c’è in gioco. Ed evitiamo per una volta di ridere del folklore di certi obblighi: il diametro minimo delle zucchine, la rivoluzione dei tappi di plastica da tenere incollati alle bottigliette. Sono diversivi, invenzioni astute, per far credere al popolo bue che l’Europa sia una vecchia zia idiota con qualche fissazione vichinga, ma in fondo innocua. Balle. L’Unione Europea ha un potere invasivo, nelle piccole e grandi cose, quasi assoluto. Il 60 per cento delle leggi approvate dal nostro Parlamento è imposto da lassù; l’influenza si esercita fin quasi a essere totalitaria attraverso le direttive sui bilanci e, attualmente, sulla maniera di spendere i duecento e passa miliardi di fondi assegnati al nostro Paese (e in gran parte da restituire con gli interessi). Nei primi giorni della settimana si era radunato per spartirsi le cariche apicali (dette Top Jobs) e, già che c’era, pure quelle di seconda fila, il gotha dei tre partiti al comando la scorsa legislatura, come se non si fosse votato l’8 giugno scorso. In ordine di consistenza di seggi il Partito popolare europeo (i tedeschi Weber e von der Leyen), il Partito socialista (Scholz) e quello cosiddetto liberale (Macron). Hanno ricostituito il blocco di centrosinistra pigliatutto. Hanno passato il foglietto ai premier/presidenti degli altri 25 Stati dando per ovvia la formalizzazione del consenso, e al diavolo i risultati del 9 giugno. La Meloni, nella seduta di giovedì del consiglio europeo dei 27, si è ribellata e si è astenuta sulla von der Leyen («per rispetto di Forza Italia», che del Ppe è la colonna nostrana), e bocciando gli altri. Ho intuito un po’ di malizia in quell’asserito rispetto per (...)
(...) l’alleato di governo. Un modo per far sapere: caro Tajani, è impossibile che tu non fossi al corrente di quella riunione che ha tagliato fuori non tanto me, quanto l’Italia – sei o non sei un capo del Ppe?: perché hai accettato l’inciucio?
Ha ragione Meloni a essere furiosa? Ovvio. Se la sovranità appartiene ai popoli europei, non si capisce perché preordinare l’umiliazione dell’Italia, fondatrice dell’Ue, terza per abitanti e Pil, nonché governata dall’unica maggioranza uscita premiata dalle recenti consultazioni. Le elezioni dovrebbero essere fatte apposta per dare il biglietto di ingresso nella stanza dei nostri bottoni a chi ha vinto e negarlo a chi è stato sconfitto. Invece tornano a comandare come nulla fosse coloro che sono stati bitumati dal proprio popolo, cioè i leader di Germania e Francia, Scholz e Macron. Non solo loro: anche i raggruppamenti continentali di cui fanno parte, socialisti e liberali, sono usciti ischeletriti dalle urne. Invece sono cresciuti proprio come in Italia il Partito popolare europeo, i Conservatori e Riformisti (FdI-Meloni) e la destra identitaria di Le Pen di cui è parte la Lega.
Alt. Un attimo. Una domandina. Il Partito popolare europeo è il perno del centrosinistra in Europa, il suo dominus, e in questa veste imperiale lascia fuori dall’uscio, nell’anticamera dei valletti, il governo di centrodestra italiano a cui fornisce uno dei suoi capi nel ruolo di vicepremier? Abbiamo capito bene? Tradotto: Forza Italia a sinistra a Bruxelles e a destra in Italia, magari per convincere gli altri del governo ad allinearsi ai capataz alleati con la Schlein?
Leggo che Tajani ha confermato che Forza Italia in Parlamento Ue voterà compattamente von der Leyen. Con questo ragionamento: «È emersa una netta distinzione tra i rapporti tra partiti e i rapporti tra Paesi. Quindi non c’è stato nessun isolamento dell’Italia, se vogliamo fare un’analisi oggettiva». Preferisco la mia analisi soggettiva. Il bene dell’Italia è superiore alle esigenze di partito, se questo partito indebolisce il governo di cui è parte essenziale. Antonio caro, non vedi come gongolano Elly Schlein e la sinistra tutta? Non mi meraviglia. C’è una coerenza da avvoltoio in questo auspicare il male dell’Italia per far del male agli avversari domestici. È la logica comunista del tanto peggio tanto meglio. Berlusconi ci ha mostrato altro.
Invito Tajani a un atto salvifico di pirateria, a un’incursione gloriosa che in modo politicamente scorretto definirei da X Mas. Mi rendo conto che un balzo felino spezzerebbe l’incantesimo della silenziosa carriera europea dell’attuale capo di Forza Italia. Egli è giunto ai vertici del Parlamento di Strasburgo accomodato nella bambagia del Ppe acconciatagli da Berlusconi. Silvio se fosse vivo ruggirebbe, ma visto che il simbolo è ancora intestato a lui, lo sta facendo anche da morto. Faccia un giro al mausoleo di Arcore, e Tajani avvertirebbe un fremito attraversare l’urna delle sue ceneri. Berlusconi riuscì a far includere Forza Italia nel Partito popolare europeo, a dispetto dei democristiani di sinistra, ma non certo per fare da cavalier servente allo strapotere germanico. Sfidi lei e il presidente del Ppe anche lui tedesco, Manfred Weber. Ponga un ultimatum, caro Antonio. Fa ancora in tempo. O aprite alla premier nostra alleata in modo chiaro e ufficiale o scegliamo la tutela dell’Italia anche al prezzo di negare il voto a Ursula. Secondo me, Ursula cede. Qualsiasi cosa accada, però, caro vicepremier, i tuoi elettori ti porterebbero in giro sulla sedia gestatoria. Un salamelecco te lo dedicherei anch’io, a costo di strambarmi la schiena.
Vittorio Feltri