il Giornale, 29 giugno 2024
Il Tamigi, la fortuna di Londra
Per tutta la sua storia, l’anima di Londra non è stata che il Tamigi. La città emerge dal nulla ma, a renderla subito forte, fu proprio il suo fiume. Londra, infatti, sorse sulla riva nord del Tamigi: un posto speciale, perché la fortuna della città comincia qui, dal nascere proprio nel punto dove meglio si potesse costruire un ponte che attraversasse questo fiume che divideva l’Isola in due. I primi a pensare a Londra, in termini strategici, furono i romani: il ponte sul fiume diventa cruciale nella logica della loro rete stradale. Senza di esso, nord e sud sarebbero stati separati e, dalla Manica, arrivare fino alle Midlands sarebbe risultato impossibile. La natura vincente della città sta, dunque, nella sua posizione, che è perfetta; e la ragnatela viaria romana viene strutturata in funzione di questa posizione dominante.
All’epoca dell’imperatore Adriano, Londinium è già la più grande città della Britannia, la sede del governatore, con un foro spazioso, la sua basilica, un anfiteatro, due bagni pubblici, difesa da un forte, nell’angolo nord-est, fatto in pietra. All’inizio del III secolo, però, la città comincia a declinare e una parte di essa viene abbandonata, ma non quella che si estende lungo il fiume. Poi, la crisi diviene netta, con la reale prospettiva di una definitiva scomparsa. La città comincia a germogliare dal X secolo, con la crescita dell’attuale area della City. La ripartenza avviene tuttavia dal VII secolo ed è di natura economica. Si comincia a parlare di Lundewich, più che una vera e propria città, un luogo di mercato che, rispetto all’antica città romana, si sviluppava un po’ più a ovest, al di là del distrutto ponte antico, la zona del cosiddetto old wik, Aldwych.
Ecco, il London Bridge, la grande testimonianza di questo rapporto indissolubile tra la città e il suo fiume e l’effettiva cartina di tornasole di un decollo in atto. La decisione di costruire un ponte di pietra fu il sogno di un chierico, Peter di Colechurch: fu lui a pensare ad un grande investimento sul futuro, il più grande che si potesse immaginare per la città, un ponte che durasse, che attraversasse il fiume e sostituisse il vecchio e ormai cadente ponte di legno, così da stabilire un rapporto solido e durevole tra Londra e tutto il sud dell’Inghilterra. Si cominciò a costruirlo verso il 1176 e dopo una trentina d’anni i lavori erano finiti. Per finanziare l’opera, Peter pensò di edificare, sul ponte, una cappella dedicata al santo di casa, Tommaso Becket, il famoso arcivescovo assassinato il 29 dicembre 1170, mentre stava officiando messa nella cattedrale di Canterbury, da quattro cavalieri al soldo del re, Enrico II. Per la cappella arrivarono, dai devoti sparsi in tutta l’Inghilterra, danaro e donativi che consentirono di partire con la prima struttura del ponte.
Lungo il fiume nascono due approdi pubblici a Queenhithe a nord del London Bridge e a Billingsgate a sud, con magazzini, depositi, strade, vicoli, dove sorgeva anche la sede della dogana, il Custom. E tutt’intorno piccoli moli privati vengono trasformati in strutture più solide, con pontili e moli, dove le imbarcazioni più piccole potevano attraccare e scaricare le loro merci, mentre molte navi ancoravano nel bel mezzo del fiume e scaricavano le loro merci su chiatte o imbarcazioni più piccole. A raggiera, poi, si estendevano magazzini in pietra o legno, di due, tre piani, sorgenti direttamente sull’acqua; depositi allineati a nord lungo la Tamisestrete, ossia Thames street, separati da stretti vicoli coperti che si aprivano a sud sulle banchine; mercati e stocks, il regno dei mercanti lombardi, la gente di Lombard street: lucchesi, fiorentini, genovesi, veneziani.
Questa vitalità sul Tamigi naturalmente andava finanziata. Dal 1246 diventa responsabilità dei cittadini garantire la cura degli approdi e, a Queenhite, gli amministratori cittadini riscuotevano pedaggi sulle merci portate lì per la vendita, soldi da adoperare per la gestione dei moli. Poi, nei dieci anni tra 1357 e 1367, si prende una decisione radicale: una bella tassa speciale da imporre a tutti i mercanti per rinnovare Queenhite, ripulire l’ingresso della darsena e riorganizzare lo spazio dove le navi scaricavano le loro merci.
Mano a mano il Tamigi diventa il grande collettore dei commerci internazionali e della esportazione del maggior prodotto inglese, la lana grezza, che rappresentava il core business di italiani e inglesi. Ma qui arrivava di tutto, in una città che già nel corso del Tre-Quattrocento, ha assunto la dimensione dell’emporio più importante d’Inghilterra. La città attrae, per i suoi commerci, viaggiatori e clienti facoltosi, che arrivano da ogni parte d’Inghilterra e d’Oltremanica e che qui trovano sarti, oggetti di lusso, tessuti fini, gioielli, spezie, con il mito avvolgente di Londra dove ogni ben di Dio può sbarcare e ogni cosa si desideri si può comprare. Inoltre, come sostiene un cronista, la città viene «riempita di merci portate dai commercianti di tutti i paesi, ma soprattutto da quelli della Germania; e quando c’è scarsità di grano in altre parti dell’Inghilterra, la città è il posto giusto dove puoi trovare grano a prezzi più economici che altrove».
Il Tamigi, alla fine del Medioevo, ha trasformato Londra in una città di successo, ruolo raggiunto non per una bizzarria della storia, ma con sforzo, solerzia, capacità progettuale, grazie all’impegno di tante generazioni di mercanti, di privati cittadini, di uomini della municipalità e dell’amministrazione, di sindaci e, non ultimo, grazie allo sforzo collaborativo della Corona. Nel Cinquecento, comincia un tempo nuovo, il tempo dei mercanti londinesi che vivono non una escalation ma un graduale processo di sottrazione del mercato inglese dalle intrusioni del capitale straniero. Sempre di più le merci passano attraverso il porto di Londra, con un andamento che vede progressivamente emergere le navi inglesi: se ancora alla fine del Quattrocento più del cinquanta per cento del naviglio che entra nel porto è straniero, un secolo dopo questa proporzione si è invertita, con il decollo della marineria inglese. È questo l’inizio del boom della fortuna commerciale britannica, fino all’apogeo del XVIII e XIX secolo, quando il Tamigi e le strade tutt’intorno divennero l’epicentro del capitalismo globale.