Avvenire, 30 giugno 2024
Il debito africano preso sul serio: ecco come si dovrebbe intervenire
La drammatica rivolta dei giovani keniani contro l’indiscriminato aumento delle tasse da parte delle autorità locali è un fenomeno che potrebbe replicarsi in altre parti dell’Africa. Infatti, la crescita dei tassi d’interesse e la stagnazione dell’economia stanno gonfiando a dismisura il debito dei Paesi del cosiddetto Global South, molti dei quali proprio nel continente africano. A penalizzare molte economie concorrono diversi fattori, ma i principali restano le azioni predatorie perpetrate dai grandi attori internazionali secondo le tradizionali dinamiche protese alla massimizzazione dei profitti e attività speculative sulle piazze finanziarie, all’origine della questione del debito, spada di Damocle che incombe sempre più minacciosa sul destino di molti Paesi. Le cause risultano di comprensione evidente se si torna indietro con la moviola della Storia. L’Africa attraversò una devastante crisi debitoria dagli anni Ottanta del secolo scorso fino a quando, all’inizio di questo secolo, grazie al progetto Highly Indebted Poor Countries, ad opera del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, una trentina di Paesi a basso reddito della fascia subsahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma si aggiunse un altro, la Multilateral Debt Relief Initiative. Queste iniziative suscitarono grande speranza perché consentirono a molti governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Purtroppo, ben presto molti governi africani, per non dire quasi tutti, caddero nella trappola di sostituire il debito multilaterale a basso costo e lungo termine con un debito verso creditori privati – assicurazioni, banche, fondi di investimento, fondi di private equity – molto più oneroso e a breve termine. Così il debito è stato letteralmente finanziarizzato e il pagamento degli interessi inscindibilmente legato alle attività speculative sui mercati internazionali. Questo ha comportato costi di servizio del debito e rischi di rifinanziamento più elevati che hanno fatto salire il totale del debito africano a 1.140 miliardi di dollari. Non è certo una cifra paragonabile a quella dei debiti delle economie cosiddette più avanzate, ma è spaventosa se raffrontata al valore complessivo del Pil africano che è di circa 3mila miliardi di dollari. Per esempio, quello dell’Unione Europea (con una popolazione di un terzo di quella africana) è di 16mila miliardi e mezzo.
È evidente che le responsabilità ricadano non solo sulle classi dirigenti africane, ma anche e soprattutto sui grandi attori della finanza internazionale, specialmente per la pretesa che per arginare il debito le concessioni per lo sfruttamento delle materie prime, unitamente alle privatizzazioni (soprattutto l’accaparramento dei terreni da parte delle aziende straniere) vengano attuate “senza se e senza ma”. Si tratta di un affare colossale dato il forte deprezzamento delle monete locali, mentre i debiti si pagano in dollari oppure, appunto, in natura a prezzi fissati dagli acquirenti. Di fatto, il cosiddetto il Piano Mattei, o qualsivoglia Piano Marshall per l’Africa o per il Sud del mondo in generale, restano vaniloqui se si prescinde dalle questioni fin qui illustrate.
Alla luce di queste considerazioni, è più che fondato l’auspicio espresso da alcuni giuristi cattolici, estensori della Carta di Sant’Agata dei Goti, che prima o poi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite giunga a formulare una richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja sui principi e sulle regole applicabili al debito internazionale, nonché al debito pubblico e privato. Lo stesso Papa Francesco ha affermato nel discorso ai partecipanti all’incontro di studio promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze (5 giugno 2024) che il tema del debito estero «investe i principi etici fondamentali e deve trovare spazio nel diritto internazionale» per essere adeguatamente risolto. Interessante è anche la proposta della rete Link 2007, che associa alcune tra le più importanti Ong italiane. Con l’aiuto di esperti, Link 2007 auspica la conversione del debito in valuta locale, un’operazione che potrebbe generare un circolo virtuoso: infatti quei soldi dovrebbero necessariamente essere spesi all’interno dei Paesi poveri sotto forma d’investimenti. La posta in gioco è alta se intendiamo davvero «aiutare gli africani a casa loro».