Corriere della Sera, 29 giugno 2024
Le trasgressioni di Rampling
Chi non ha sognato di incontrare quella sua sensualità così crudele, estrema, sofisticata. Quegli occhi impenetrabili, due lame di ghiaccio penetranti. Charlotte Rampling mette insieme luoghi, persone. Apre lo specchio proibito e ritrova i ricordi, racconta le sue ombre ricorrendo a volte all’humour, forse per proteggersi. Si confessa come può farlo una donna inglese. Ma è sempre stata libera. Domani all’Ischia Film festival diretto da Michelangelo Messina porta Juniper – Un bicchiere di gin di Matthew J.Saville. Nel film lei non cammina, se ne sta tutto il tempo sulla sedia a rotelle. Figlio e nipote tra loro la chiamano vecchia puttana. Cosa le piace di questo film?
«La possibilità della redenzione, la fragilità, il senso di perdita. E la necessità di venire a patti con la vita. Qui sono una donna indipendente, dura, che ha lasciato la famiglia, con una salute precaria. È outdalle convenzioni familiari».
Il suo personaggio dice di non avere rimpianti. Lei, nella vita reale, ne ha?
«No. Tiro dritto. Non è nella mia indole dire, oh, se avessi preso quella decisione. Quando sei giovane i rimpianti non esistono, non sai cosa sono. Da adulta dico che il rimpianto è parte della vita».
Quella donna è dipendente dall’alcol.
«I creativi dipendono sempre da qualcosa, è un modo di aiutare noi stessi».
Va a Ischia, luogo caro al suo amato regista Visconti.
«È uno dei motivi per cui ho accettato. Luchino mi invitò tante volte nella sua villa di Ischia ma non potei mai andare. Ecco, questo potrebbe essere un rimpianto. Al tempo di La caduta degli dei ero una giovane ragazza inglese. Non sapevo nulla di lui. Mi fece scoprire un altro modo di fare cinema, al di là di Hollywood e dei film commerciali. In Inghilterra nei 60 non succedeva nulla nei sobborghi dove abitavo. Io sono del 1946, l’anno dopo la guerra. Quando ero piccola c’erano le macerie. E la mia famiglia non era ricca. In casa non avevamo nemmeno la tv. Lasciai presto gli studi, a 16 anni. Ebbi una formazione basica. Papà, militare tutto d’un pezzo, quando lasciai la scuola mi iscrisse a un corso di segretaria. Ma si fidava, mi lasciava libera purché rispettassi le regole».
Charlotte Rampling segretaria?
«Lo ricordo come un periodo piacevole. È utile imparare a scrivere velocemente a macchina usando dieci dita».
In Italia da «Il portiere di notte» a «Yuppi Du» fu un gran salto…
«La gente mi vedeva come una scultura, il berretto da nazista, le bretelle sul mio torace nudo…Il film di Liliana Cavani fu un trauma, a lungo non seppi nulla dell’Olocausto, la gente cominciò a parlarne solo negli Anni 70. Quanto a Yuppi Du, dopo Visconti e Cavani, il figlio di un anno e il matrimonio recente, incontrare quel pazzo uomo di Celentano fu un’iniezione di freschezza».
Nel nuovo film suo nipote guarda le foto di lei ragazza. E lei dice: ho ancora il mio fascino. Quando si ha una bellezza unica, è difficile accettare il tempo che se ne va?
«Torniamo ai rimpianti. Non so come la mia faccia cambierà. Invecchiare non è bello, ma non posso farci nulla. Anni fa le dissi di Nicole Kidman, che dopo la chirurgia ha cambiato faccia, io non potrei recitare con un’espressione che non è mia».
C’è sempre questa sua immagine giovanile che prevarica sul presente…
«Mi sono guadagnata il privilegio di essere me stessa, vivo in pace con la mia immagine di donna matura».
A 65 anni lei ha posato nuda al Louvre.
«In quel museo ci sono tante altre donne nude, ero in buona compagnia, mi sono sentita privilegiata. Mai avuto problemi a mostrarmi nuda, lavoro con il corpo, da lì passano le varie forme di vita».
E qual è la parte del suo corpo che le piace di più?
«I piedi. Belli come quelli che aveva mio padre. Tutti pensano ai miei occhi. Ma è la vostra percezione, io i miei occhi non posso vederli, se non allo specchio. Però posso guardarmi i piedi».
Lei è l’attrice dell’ombra e dell’inquietudine. È così anche nella vita di tutti?
«Sì, sono quella donna lì, i film mi accompagnano. Cerco di convivere con i miei angeli e i miei démoni. Se ci pensa, Woody Allen mi chiamò per il suo film più introspettivo e autobiografico. Stardust Memories è il suo Otto e mezzo>.
Lei soffrì di depressione.
«È il dolore che si trasformò…Accadde dopo il suicidio di mia sorella Sarah, a 23 anni, dopo aver messo al mondo un bimbo prematuro. L’ho saputo anni dopo. Ho cercato una risposta nella religione. Mi sono avvicinata al buddhismo, allo yoga, alla meditazione, agli psicologi».
Si parlò per anni del suo ménage a tre, con il publicist Bryan Southcombe e il modello Randall Laurence.
«C’è stato un fraintendimento, non era un ménage a tre come potete intendere. Era un amore libero fra tre persone nei liberi Anni 70».
Cos’è trasgressivo per lei?
«È complicato. Io rispetto la gente ma so di essere una persona inusuale, fuori dagli schemi. Lo sono sempre stata. Sono anche una nonna presente, ma non sono una nonna nonna, per intenderci».
Le fa paura la violenza?
«Sì, in ogni forma. Dovremmo parlare di più degli eroi, più angeli e meno démoni».
Chi è la sua erede?
«Forse Marion Cotillard».