Corriere della Sera, 29 giugno 2024
Fitto, Crosetto e Cingolani tra i nomi «spendibili»
BRUXELLES Esistono molte storie e molte ricostruzioni su quanto successo due sere fa al summit europeo, sulle ragioni che hanno indotto Giorgia Meloni ad astenersi sul bis alla guida della Commissione di Ursula von der Leyen. Una di queste ha tratti di colore e dettagli che la rafforzano, agli occhi di chi l’ascolta: fra gli ulivi di Borgo Ignazia, durante il G7, l’esponente tedesca avrebbe assicurato alla premier una vicepresidenza esecutiva della Commissione europea, una promessa che invece sarebbe diventata traballante, con un eufemismo, alla vigilia del Consiglio di giovedì scorso.
È un racconto che qualcuno fa, fra coloro che lavorano a stretto contatto con la premier, ma che altri smontano, dicendo che una vicepresidenza di peso non è mai stata all’altezza dell’Italia. Di sicuro per alcuni giorni è stata un target, nella narrazione di fonti italiane anche governative, e ora appare sfumata. Quello che di certo non può essere smentito sono i requisiti delle deleghe, o della delega al singolare, che l’Italia chiederà. Dovrà avere almeno due caratteristiche, che contribuiscono a dividere i Commissari fra una fascia alta e una di medio livello.
I due requisiti, una regola aurea per la tecnocrazia della Ue, sono una delega che abbia anche capacità finanziaria (quello che in Italia si chiamerebbe ministero con portafoglio) dunque la disponibilità diretta di fondi economici, e la capacità regolatoria su una materia in cui le competenze delle Ue sono esclusive e superiori rispetto a quelle nazionali. Insomma una sorta di potere legislativo europeo. Se a queste caratteristiche sommiamo il desiderio di Meloni di muoversi in un perimetro economico i possibili approdi sono fra gli altri il Bilancio, il Commercio, la Concorrenza, la Difesa, qualora dovesse nascere come delega nuova e con fondi adeguati.
Di questi argomenti Meloni e von der Leyen discuteranno in modo riservato già nelle prossime ore, anche se sulla carta, almeno sino al 18 luglio, la presidente in pectore della Commissione rischia parecchio: molte deleghe sono infatti un obiettivo di diversi Stati e una promessa segreta che diventa pubblica rischia di complicare non poco l’esito del voto parlamentare da cui la von der Leyen uscirà riconfermata o bocciata. La maggioranza su cui conta infatti è abbastanza esile e basta poco per far saltare tutto.
A Palazzo Chigi sono convinti che i voti di cui dispone Meloni, in modo diretto i 24 deputati di Fratelli d’Italia, facciano ancora molta gola e che «si pesano e non si contano» per molteplici ragioni, e in primo luogo per i margini di incertezza che avvolgono tutta la partita. Anche questa sarà materia riservata e sensibile fra le due leader, che spesso si sentono anche all’insaputa dei rispettivi staff, una materia sulla quale si avranno dati certi solo al momento del voto: di nuovo, il fatidico 18 luglio.
Guido Crosetto e Raffaele Fitto restano fra i pochi nomi spendibili dall’Italia se la scelta cadrà su un esponente politico e non tecnico. Ma è chiaro per alcune deleghe occorrono competenze e storie professionali non solo politiche e dunque anche qui le tessere del puzzle sono ancora troppe. Se è circolato il nome dell’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, è proprio per questo: la sua formazione e le sue esperienze, insieme allo stretto rapporto di fiducia con la premier, lo definiscono candidato adatto per alcuni posti dove un politico senza know how specifici rischia di restare stritolato dal proprio stesso gabinetto o dalla direzione generale di riferimento, che magari verrebbero controllati dalla von der Leyen. Obiettivo del governo italiano è anche avere un Commissario che non sia una figurina senza poteri reali, ostaggio della potente burocrazia europea, che spesso è di marca tedesca o francese, prima ancora che italiana.
È un’altra dinamica di non poco conto, mentre della notte del Consiglio affiora un altro dettaglio, che appare simbolico. Alle 23, quando si deve discutere dell’Agenzia strategica della Ue, Francia e Germania presentano a sorpresa un documento diverso da quello negoziato dai 27 negli ultimi 8 mesi. Italia e Grecia si mettono di traverso, sostenute da quasi tutti. Si ritorna al documento iniziale, passa un solo emendamento, chiesto da Berlino. Anche l’asse franco tedesco, ogni tanto, ha ambizioni mal riposte.