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 2024  giugno 28 Venerdì calendario

Una cena troppo salata


«È inaccettabile che anche una semplice cena fuori sia diventata un lusso per pochi a causa dell’aumento dei prezzi» sostiene il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso, secondo cui «i rincari generalizzati che accompagnano la prossima estate rappresentano un serio problema per le famiglie».
Stando agli ultimi dati dell’Istat riferiti a maggio i listini di ristoranti e pizzerie, in effetti, viaggiano ad una velocità 3/4 volte superiore alla media generale: +3,6% i ristoranti e +3,1% le pizzerie anziché +0,8. Questo in media, perché stando alle elaborazioni dell’Unione nazionale consumatori in certe realtà gli aumenti sono decisamente più alti. Il picco si tocca a Benevento (+14,1), con Olbia e Macerata sopra il 6%. E anche molte grandi città viaggiano comunque sopra la media nazionale: +4,3 Bologna, +3,8 Roma e Firenze, +3,5 Torino e Napoli.
Anno dopo anno i prezzi riportati sui menù sono sempre più alti ed inevitabilmente l’occhio che cade su certi ricarichi, che su un singolo calice di vino, su acqua e caffè viaggiano anche attorno al 3-4-500%. Al ristorante una bottiglia da un litro di acqua frizzante rigorosamente in vetro che al supermercato costa in media 60 centesimi la si paga infatti in media 4 euro, che salgono ad almeno 7 (a volte anche a 10) nel ristorante stellato che serve un’acqua griffata che un comune cittadino al supermercato paga invece dieci volte meno. Il caffè? Una cialda costa 30-40 centesimi, al barista che ce lo propone a un 1 euro/1 euro e 30 all’incirca 20-25 centesimi, al ristorante è difficile averlo a meno di 2 euro. Non parliamo poi dell’acqua depurata: secondo le stime del “Fatto alimentare” un ristorante con 50 coperti al giorno che propone una bottiglia di acqua trattata al prezzo di 2 euro, in due settimane copre le spese annuali dell’impianto ed in un anno arriva a guadagnare almeno 30 mila euro con un margine di ricarico «di gran lunga superiore a qualsiasi altro prodotto servito a tavola». Oltre a risparmiare spazio in magazzino e tempo nel gestire gli ordini e smaltire i vuoti.
Ricarichi altissimi, insomma, difficilmente spiegabili per un comune cittadino. In molti casi come i prezzi dei singoli piatti. In base alle regole della buona gestione di una impresa che opera nel campo della ristorazione il cosiddetto “food cost”, ovvero l’insieme dei costi delle materie prime che servono per realizzare un piatto, dovrebbe restare tra il 28% ed il 35% del prezzo finale. Questo perché se non si applica un ricarico del 100/130% alla fine dell’anno non si riescono a coprire i costi di gestione, stipendi del personale, affitti, tasse e quant’altro e men che meno si riesce ad ottenere un rendimento adeguato dell’attività. Un altro criterio prevede di applicare un moltiplicatore al costo di produzione del singolo piatto che nel campo della ristorazione, concorrenza permettendo, è compreso tra 4 e 4,5. In pratica a fronte di un costo di produzione pari a 5 euro il prezzo ideale del piatto dovrebbe essere 20 euro. Per paste e zuppe, a fronte di costi delle materie prime intorno ai 2 euro, al cliente si arriva a chiedere anche 9-10 euro come avviene per preparazioni molto semplici come ad esempio un piatto di spaghetti pomodoro e basilico.
Sui prezzi del vino, sui cui ciclicamente di accendono polemiche anche molto accese, la «buona regola» (si fa per dire) dovrebbe prevedere un ricarico del 200% per un vino di fascia bassa pagato dal ristoratore sotto i 6 euro a bottiglia, del 150% per quelli di fascia media (6-12 euro a bottiglia), del 120% per quelli di fascia alta (12-25 euro), del 100% per quelli di fascia altissima (25-50 euro) e di appena del 50% per quelli di lusso ovvero le bottiglie che al produttore vengono pagate più di 50 euro al pezzo. In realtà ognuno si regola come crede per cui capita che una bottiglia che vale 10 euro venga offerta a 30 al cliente ed una che acquistata a 50 venga venduta a 125. I ricavi più alti si ottengono vendendo i singoli bicchieri, i cui prezzi in media oscillando tra i 6 e gli 8 euro. Basta servirne 2 (o a volte anche uno solo) che il costo della bottiglia è già abbondantemente ripagato, per cui tutto il resto è guadagno.
«Sono tante le modalità per calcolare i ricarichi. Però, attenzione, la ristorazione tradizionale non è una attività di vendita di beni è una attività di servizio» avverte Luigi Sbraga, responsabile del centro studi della Fipe, la federazione dei pubblici esercizi che aderisce a Confcommercio. Per cui, spiega, «nel caso dei ristoranti per la formazione dei prezzi si guarda innanzitutto allo scontrino fiscale medio che serve per mantenere in piedi l’attività. Insomma più che il costo della materia prima va tenuto presente quanto spende il cliente sapendo che rispetto al passato è cambiato il modello dei consumi, al posto del menù completo fatto di primo, secondo e contorno oggi al massimo si consuma un piatto e mezzo ed è su questo che poi vanno caricati poi tutti i costi, dal personale agli affitti a tutto il resto». Un ragionamento, questo, che vale anche per l’acqua e il vino: anche questi prodotti, infatti, concorrono a formare lo scontrino medio per cui abbassare i prezzi di questi prodotti, sostengono gli operatori del settore, significherebbe doverne poi aumentare altri.
«Visto che sul territorio nazionale esistono disparità abnormi, i ricarichi nei ristoranti non dipendono dal costo delle materie prime ed i rincari non sono correlati agli aumenti del costo degli ingredienti – commenta il presidente dell’Unc, Massimiliano Dona -. In pratica ogni ristorante fa un po’ come vuole, a seconda della domanda, dell’afflusso turistico che registra la sua città in quel periodo, delle prenotazioni, di quanti clienti ha e può servire, di quanto è rinomato il suo locale e lo chef».
Prezzi troppo alti? «Ci possono anche essere cose squilibrate per cui uno carica troppo da una parte e poco dall’altra – spiega a sua volta Sbraga – ma posso assicurare che in Italia i prezzi medi sono abbordabili anche perché, tolti i locali più trendy, le grandi città ed i centri storici, nel complesso abbiamo ben 130 mila ristoranti tradizionali e c’è ampia possibilità di scelta». —