La Stampa, 28 giugno 2024
Intervista a Massimo Cacciari
Non c’è alcun vero argine all’estrema destra, in Europa. Quello che è in atto è piuttosto un contagio: delle sue idee, delle sue ricette, dei suoi nazionalismi. Massimo Cacciari teme che la sinistra sia arrivata a questo appuntamento con le elezioni per il nuovo Parlamento Ue, e quindi alla scelta di chi guiderà le sue istituzioni, completamente disarmata. «Inevitabilmente subordinata alle scelte che verranno compiute al centro».
Perché alla fine la vittoria dei popolari si salda con la crescita dell’estrema destra?
«I popolari hanno vinto, certo, ma mi vien da dire: chi si accontenta gode. Con un’avanzata del genere delle destre più estreme – dall’Afd al Rassemblement National – cantare vittoria è un po’ irresponsabile per non dire di peggio».
Eppure, pare reggere il patto tra popolari, socialisti e liberali per scegliere la guida dell’Unione. Non è confortante?
«Se la coalizione che finora ha retto l’Europa potrà continuare a farlo è grazie al risultato dei popolari, del centro. I socialdemocratici, se vogliono stare in questo gioco, dovranno accettare quello che deciderà il centro. Che comprende Forza Italia. Un problema per loro, ma anche per Giorgia Meloni».
La posizione di Forza Italia in Ue non avvantaggia la premier?
«No perché se le nomine dovessero premiare Forza Italia ci sarebbe una certa contraddizione tra quel che avviene in Europa e quel che avviene nel nostro Paese».
Un ribaltamento tra chi comanda e chi no. Quindi non crede all’argine dell’Europa contro la destra estrema?
«No perché ai vertici si sta ragionando in termini di puro politichese. In Europa c’è una tendenza di fondo: un’avanzata della destra molto decisa. E non si tratta solo della destra che inevitabilmente resterà all’opposizione, Le Pen, Afd. Anche se, anche qui, bisognerà vedere come andranno le cose in Francia: se all’Italia si aggiungesse una Francia guidata dall’estrema destra, il panorama cambierebbe completamente».
Perché in Europa contano anche gli Stati e chi li guida ovviamente.
«Certo. Ed è irresponsabile che la sinistra non veda che il problema non riguarda solo le destre che rimangono all’opposizione, come dicevo, ma l’avanzata della destra nel suo complesso. Le politiche di destra, la convergenza con il centro sul piano economico, sociale, fiscale, per non parlare della politica estera».
Quindi, il problema non è solo Marine Le Pen.
«Per niente. Il problema è la spinta degli estremisti sul centro. Una spinta che sta portando a destra tutta la politica europea».
Un contagio?
«È la parola esatta. E la sinistra è del tutto subordinata a questa tendenza complessiva, mentre dovrebbe urlare: dov’è l’Europa della solidarietà, della sussidiarietà? L’Europa che pensava a forme di maggiore democratizzazione, addirittura a una sua Costituzione? Dov’è andata a finire?».
Dovrebbero chiederselo anche i moderati?
«Certo, dovrebbe farlo anche il centro non propenso a uno spostamento a destra dell’asse politico europeo. Ma se la sinistra non grida queste cose, cosa ci sta a fare? Sta diventando ininfluente».
Eppure il Pse, di cui fino a qualche tempo fa si temeva il tracollo, resta il secondo partito, e cresce nei numeri.
«Non basta qualche europarlamentare in più portato dal Pd o dagli spagnoli a salvare la baracca. La tendenza generale è inequivocabile e va contrastata con molta più forza. E ripeto, la tendenza generale è l’avanzata delle destre che sosta a destra tutto l’asse politico europeo».
Come si vede sulla questione migranti, con la lettera di Von der Leyen che apre a soluzioni innovative, le stesse parole usate da Meloni, e quindi a patti come quello con l’Albania.
«Esatto. C’è una regressione evidente rispetto alle idee e alle politiche di una centrista come Angela Merkel: sui migranti, sui diritti, sulle politiche sociali. La prossima governance europea sarà di centrodestra».
Nonostante i socialisti siano dentro l’accordo che conferma Von der Leyen? Cosa dovrebbero fare, sfilarsi?
«Mah, questo no. Se in modo molto cinico stare dentro l’accordo significasse per il nostro Paese avere un rappresentante di un certo rilievo, di un certo calibro, scelto al di là di giochetti localistici all’interno della coalizione, consiglierei a tutti – anche a Meloni – di starci».
A chi pensa?
«Si parlava addirittura di Draghi».
Sembra un’idea scomparsa dalla scena.
«Ma nulla vieta che si vada in quella direzione. Meloni ci farebbe un figurone, se come governo italiano proponessimo un uomo di prestigio in un posto di rilievo. Com’era Monti commissario, per non parlare di quando c’era Prodi».
Davvero le sembra un’ipotesi probabile?
«Mi sembrerebbe una buona idea, ma vedo Meloni un po’ incartata. Credo che nel suo animo non le dispiacerebbe un’ipotesi di questo genere, ma come fa in questa situazione a rompere con la destra destra? Una mossa come questa provocherebbe una contraddizione fortissima all’interno del suo stesso partito, del suo stesso governo e con gli alleati in Europa».
E Schlein, le sembra incartata anche lei?
«Mi pare che il Pd di Schlein abbia finalmente capito che muoversi sulla linea di Renzi o Calenda portava alla fine. Al suicidio programmato, la morte assistita della sinistra. Dopo di che si è messa a insistere su slogan – c’è poco di più – che però fanno in qualche modo sperare che si possa piano piano organizzare un progetto politico. Nelle condizioni date, col partito che si ritrova, ha fatto quel che poteva».
Per via del contagio di cui parla, l’Europa rischia di perdere l’anima?
«L’anima l’ha già persa. Bisognerà vedere se c’è ancora spazio per la politica. Vede, non si tratta solo di valori scomparsi, ma della capacità di fare i propri interessi. L’Europa in questo momento non è in grado di rappresentarli, basta vedere i limiti economici, quelli di politica internazionale».
Colpa dei sovranismi arrembanti?
«L’egoismo nazionale ha preso il sopravvento, in mancanza di politiche serie di convergenza che non ci sono state e non hanno accompagnato l’allargamento, fatto in modo sconclusionato. Così ognuno va per conto suo, e nell’Europa dell’Est le destre la fanno da padrone. In più, le guerre supinamente subite che massacrano le nostre economie, come sta accadendo con quella tedesca, hanno fatto il resto. Lasciamo perdere l’anima, ma questa Unione non sta facendo il proprio interesse materiale. Questo è il punto. La sinistra dovrebbe riprendere il bandolo della matassa da qui, ma mi pare che non riesca a farlo con molta efficacia, anche perché non è unita nemmeno sul piano europeo».
Possono essere l’atlantismo e la difesa dell’Ucraina l’unica richiesta per far parte del consesso dei partiti responsabili, come sta accadendo in parte con Fratelli d’Italia? Non si rischia di tralasciare altri principi insormontabili?
«È logico che sia così perché siamo in guerra e in guerra vince sempre questa regola. O di qui o di lì. Churchill, per via della guerra, era alleato di Stalin. Tutto questo fa parte del disastro europeo, della totale mancanza di una politica estera e internazionale efficace, che fa tutt’uno con la debolezza del commercio, della formazione, della ricerca. Per cui l’Occidente non è l’Europa, ma l’America. Da qui, tutte le inevitabili conseguenze».
A proposito di principi insormontabili, dovrebbero esserlo il no al razzismo, all’antisemitismo, alla violenza politica. L’inchiesta di Fanpage sulla Gioventù meloniana mostra svastiche, insulti antisemiti, desideri di “impalare” la segretaria del Pd. Davvero possiamo stare tranquilli?
«Purtroppo c’è un livello, a volte bestiale, di ignoranza. Non ci farei su troppi svolazzi perché si tratta di episodi che fanno il male di Meloni. Ogni volta che vengono fuori, lei perde credibilità in Italia e all’estero. Ma credo che in Italia il pericolo obiettivo che rappresentano sia infinitamente meno grave dei loro fratelli, o dovrei dire “camerati”, tedeschi, o di settori molto più forti e diffusi in Francia dove l’antisemitismo ha radici ben più profonde delle nostre».
È comunque grave?
«È tutto gravissimo, come ho detto varie volte sono fenomeni che andrebbero estirpati a partire da una buona educazione primaria e secondaria, che manca completamente».
Ma cosa dovrebbe fare la leader di un partito che si ritrova queste parole d’ordine nel suo movimento giovanile, quello da cui proviene e che sovvenziona?
«Espellere queste persone immediatamente, come si fa nei partiti seri quando qualcuno esce totalmente dalla linea politica. O da quella che la premier dichiara essere la linea politica di Fratelli d’Italia. Se non li espelle significa che vuole rieducarli, e dovrebbe spiegare come. Oppure che le servono, e questo sarebbe più grave».
Serve una cesura netta?
«Meloni dovrebbe chiudere le sezioni giovanili in cui sono emerse situazioni di questo tipo, punire i responsabili. Dopo di che sarebbe ridicolo pensare che da questi quattro sciagurati vengano pericoli per la democrazia».
Non teme un ritorno di violenza politica, il clima da guerra civile evocato tra l’altro proprio da Meloni?
«Non c’è assolutamente alcun ritorno alla violenza politica. Nella maggior parte dei giovani vedo soprattutto forme di disaffezione, di allontanamento dalla politica, di disimpegno». —