il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2024
Dallo slip rosso ai 20 secondi per un no. Il bestiario del sessismo in Aula
“Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia come donne? Che anche nei tribunali si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto”. È il 1979 e l’avvocata Tina Lagostena Bassi difende Fiorella, una ragazza violentata da quattro uomini. Nel corso di quel processo, trasmesso dalla Rai con grande seguito, Lagostena Bassi rese palese che in Italia nei processi per violenza sessuale, spesso, è la vittima a finire sul banco degli imputati. Fermo restando che estrapolare un’unica frase da una sentenza cercando di sintetizzarne il senso è un esercizio rischioso, negli ultimi anni sono diversi i pareri dei giudici che sollevano il dubbio che dal ’79 ad oggi non sia cambiato granché.
Quello che è certo è che nel 2021 l’Italia viene condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per la violazione dei diritti di una “presunta vittima di stupro”. La sentenza è stata ritenuta discriminatoria perché contiene “commenti ingiustificati” e un “linguaggio e argomenti tali da esporre le donne a una vittimizzazione secondaria”. Il caso è quello della presunta violenza di gruppo (in sei) ai danni di una 22enne nel luglio 2008 fuori dalla Fortezza da Basso a Firenze. Cosa scrissero i giudici della Corte d’appello rovesciando la condanna di primo grado? Che la ragazza aveva “atteggiamenti disinvolti e provocatori”, che “aveva ballato strusciandosi con alcuni di loro” e “aveva mostrato gli slip rossi mentre cavalcava il toro meccanico”. Peggio: “non aveva palesato particolare fastidio per le avances ricevute” e che poi era rimasta “in trance”, “inerme”, “come un qualcosa in balia della corrente”.
L’articolo 36 della Convenzione di Istanbul specifica che il consenso deve essere liberamente espresso e valutato nel contesto circostanziale. Difficile farlo se sei “in trance”. In una sentenza (n.2201 del 2019) la Cassazione ha ritenuto che persino un bacio, nel corso di un rapporto sessuale a pagamento consensuale, integrasse il reato di violenza sessuale perché la sexworker non aveva prestato il consenso a quello specifico atto. Un’altra cosa certa è che a luglio del 2022 l’Italia è stata richiamata dal Comitato della Cedaw, la convenzione internazionale adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna. Il Comitato ha ritenuto violati diversi articoli da parte della magistratura italiana per una pronuncia emessa nei confronti di una donna che, già vittima di violenza domestica, aveva denunciato lo stupro da parte del carabiniere incaricato di svolgere indagini sull’ex marito. La Corte d’Appello aveva citato come prova del consenso della vittima il fatto che l’uomo avesse fatto in tempo a mettersi il preservativo, spiegando che in quel caso “ci sarebbe stato un momento in cui una vera vittima di stupro sarebbe certamente fuggita”.
Il tempo è fondamentale. È notizia di pochi giorni fa che la Corte d’Appello di Milano ha assolto anche in secondo grado un ex sindacalista della Cisl dall’accusa di violenza sessuale perché la donna ci ha messo 20 secondi a reagire. Quel tempo è bastato “a non dare prova del dissenso”.
Erano 5, forse 10 o di più i secondi passati invece con le mani nelle mutande di una minorenne ma non sono bastati a condannare un bidello di una scuola di Roma. Nelle motivazioni, del 2022, viene spiegato che alcune caratteristiche della palpata “non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza richiesto dalla norma penale”. I secondi sono troppo pochi “senza alcuna insistenza nel toccamento”, “quasi uno sfioramento” peraltro “in pieno giorno e in presenza di altre persone”. Insomma era solo uno scherzo, “una manovra maldestra”. La procura ha fatto ricorso.
Ricapitolando quindi una “vera” vittima non indossa slip rossi. Una “vera” vittima scappa. Una “vera” vittima urla no. Ma quanto forte? “È possibile pensare che un diniego sussurrato dalla giovane, che faceva di tutto per sembrare tranquilla, potrebbe non essere stato colto” è la ragione con la quale è stato assolto un ragazzo nel 2022 nel Ravennate dalle accuse di violenza sessuale e lesioni aggravate. E se la vittima è brutta? Sembra incredibile ma c’è stato anche questo caso. Nel 2017 la corte d’Appello di Ancona assolve due ragazzi dall’accusa di violenza sessuale perché “la ragazza (ndr la vittima) neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare con il nominativo “Vikingo” con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina”. E quindi “non abbastanza attraente per subire uno stupro”. I due sono stati poi condannati in via definitiva.
In Spagna è stata approvata una legge nota come la ley del solo sí es sí: è stupro quando una delle persone coinvolte non ha dato il proprio consenso esplicito. Banale? Non in Italia.