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 2024  giugno 28 Venerdì calendario

E CHE CAZZO! LORENZETTO: "SOLO NEGLI ULTIMI SEI MESI CAZZO È COMPARSO SULLA STAMPA ITALIANA BEN 1.042 VOLTE. DEL NOSTRO PASSEPARTOUT SEMANTICO CI SONO 15.146 RISULTATI NELL'ARCHIVIO STORICO DEL 'CORRIERE DELLA SERA', IL GIORNALE CHE PIÙ DI OGNI ALTRO È ATTENTO A PRESERVARE LA CORRETTEZZA FORMALE DEL LINGUAGGIO, ECCEZION FATTA PER 'L'OSSERVATORE ROMANO' CHE PERÒ SI PUBBLICA IN UN PAESE STRANIERO, DOVE PERALTRO DI RECENTE, SECONDO L'INFORMATISSIMO DAGOSPIA, SAREBBERO STATI SDOGANATI DAL SOVRANO REGNANTE LO SPREGIATIVO "CHECCHE" E IL NEOLOGISMO "FROCIAGGINE"… -



Mi sento assolto da don Lorenzo Milani, che all'occorrenza autorizzava a chiamare culo il culo, «ma non una volta di più né una di meno; scorrette sono soltanto le frasi inutili e false». Vorrete perdonare se vi sembra che asta virile e deretano siano più eleganti. Il pretesto per questa arditezza mi è stato offerto dalla visione del dolentissimo film lo Capitano del regista Matteo Garrone.

È la storia di due cugini neri che si affidano a spietati trafficanti di carne umana e fuggono dall'Africa per approdare sulle coste italiche a bordo di una carretta del mare. A sorreggerli nel loro sogno, vi sono le tre espressioni tipiche con cui immaginano di essere accolti nel Belpaese: «Mamma mia, non c'è problema, cazzo». Se le ripetono di continuo e sghignazzano. Ci hanno fotografato benissimo.

Il cazzo è diventato il nostro passepartout semantico. Lo Zingarelli 2025 ne elenca le infinite sfumature di significato: «che cazzo ti prende?; dove hai messo quelle cazzo di chiavi?; testa di cazzo; non me ne importa un cazzo; col cazzo, manco per il cazzo; stare sul cazzo a qualcuno; fatti i cazzi tuoi; cazzi amari, acidi». Non manca cazzone, accrescitivo, mentre segnalo all'amico professor Mario Cannella, che da più di 40 anni cura il dizionario fondato nel 1917 da Nicola Zingarelli, l'assenza dell'espressione a cazzo di cane. Mi capitò di udirla sostituita dall'ex ministro Giulio Tremonti con una perifrasi forbita: «a pene di segugio».

Se pensate che Arbiter stia infrangendo un tabù, vi sbagliate. Già il delicato poeta Giacomo Leopardi, in una lettera scritta a Roma il 22 gennaio 1823 e indirizzata al fratello Carlo a Recanati, sbarellò vistosamente: «Tutto quello che tiene al genio, insomma la vera letteratura, di qualunque genere sia, non vale un cazzo cogli stranieri: i quali non sapendo quasi niente d'italiano, non gusterebbero un cazzo le più belle produzioni che si mostrassero loro in questa lingua».

Con mia enorme sorpresa, ho scoperto che la ricerca della parola cazzo restituisce ben 15.146 risultati nell'archivio storico del Corriere della Sera, il giornale che più di ogni altro è attento a preservare la correttezza formale del linguaggio, eccezion fatta per L'Osservatore Romano che però si pubblica in un Paese straniero, dove peraltro di recente, secondo l'informatissimo Dagospia, sarebbero stati sdoganati dal sovrano regnante lo spregiativo checche e il neologismo frociaggine.

V interesserà anche sapere che correva l'anno 1479 quando Angelo Poliziano, nei suoi Detti piacevoli, si lasciò andare a una prosa che il Boccaccio, vissuto nel secolo precedente, gli avrebbe invidiato: «Fu al tempo di Cosimo un matto chiamato Uguccione, il quale, trovatolo in piazza insieme con uno de' Salviati, uomo prudente ma alquanto infame di sodomia, gli disse: "Cazzo in culo, Cosimo!"». Il predicatore Giordano Bruno, 12 anni prima di essere bruciato sul rogo come eretico a Roma, ci lasciò nel Candelaio il seguente testamento: «E la mia risoluzione sarà "cazzo in potta, e danari in mano"». Era il 1582.

Pensavo che la palma di autore più sboccato spettasse al veneziano Giorgio Baffo, che nelle sue poesie ricorre al cazzo ben 80 volte, fino a scrivere nell'Invocazione a Dio contro i preti e i frati del 1768: «Fè nascer senza cazzo sti prelati». E invece no. L'impiegato pontificio Giuseppe Gioachino Belli lo batté: cazzo compare nei suoi sonetti ben 189 volte.

L'ultima del 1863, sonetto 2278: «Móttocca a cqueli poveri cafoni, / e inzin che ccianno sta pietanza addosso / nun ze maggna ppiù un cazzo maccaroni». Poi cazzo sparì dalla letteratura italiana. Tornò in grande spolvero sui mass media il 25 ottobre 1976, quando lo sceneggiatore Cesare Zavattini annunciò dai microfoni della Rai, nel corso di Voi ed io, punto a capo: «Voglio pronunciare una parola che alla radio non si dice mai».

Lunga pausa: «Cazzo». Tramortì pure il giovane regista del programma, Beppe Grillo, che avrebbe imparato in fretta la lezione. Poi sarebbe arrivato il commentatore politico del Tg2 che sporse querela perché il suo volto era stato paragonato «a una bella faccia da cazzo».

Ebbe un insperato crescendo di popolarità: «Il pubblico lo segue con maggior attenzione. Mentre parla evoca», chiosò perfido Enzo Biagi. Forse però adesso stiamo esagerando: solo negli ultimi sei mesi, cazzo è comparso sulla stampa italiana ben 1.042 volte.

Si va dal «come mai non avesse morso il cazzo dell'accusato» di Adriano Sofri sul Foglio al «ma che cazzo è questa roba ti domandi» del campione olimpico Gianmarco Tamberi sul Giornale. E queste sarebbero le testate tradizionalmente oxfordiane, compassate. Figurarsi le altre.