Il Messaggero, 27 giugno 2024
«Roma è come una Ferrari rimasta senza benzina». Parola di Francesco Gaetano Caltagirone
Roma è come una Ferrari rimasta senza benzina. Perché la benzina, goccia a goccia, le è stata sottratta nel tempo. È dunque arrivato il momento di restituirle il carburante. E il carburante sono quelle risorse finanziarie che negli anni le sono state tolte con l’idea, va detto assai peregrina, di un’Italia bicipite. Una “restituzione” alla quale è legata la stessa «sopravvivenza» della Capitale. Sta qui il succo del ragionamento consegnato da Francesco Gaetano Caltagirone, Presidente del Messaggero, ai ministri e ai capi azienda presenti all’evento «L’Italia si trasforma, una sfida Capitale». Roma, secondo l’analisi di Caltagirone, si trova in una posizione di fragilità, sia per scelte politiche passate che presenti, ma anche per il contesto economico attuale. Partiamo da quest’ultimo. «In Italia secondo l’Istat», è il ragionamento, «l’inflazione è dello 0,8 per cento, mentre in Germania è oltre il 2,4 per cento e in Francia è molto simile. Con i tassi di interesse a breve al 3,6 per cento, il tasso reale (depurato dell’inflazione, ndr) è del 2,8 per cento in Italia». Una politica monetaria restrittiva «insostenibile», che comporta una forte «emorragia reale». La Germania avendo un inflazione più alta, ha un tasso reale di interesse più basso. Insomma, i tassi sono «punitivi» per far calare l’inflazione. Ma quale inflazione? Si è chiesto Caltagirone. «Quella di Francia e Germania», perché «la nostra è sotto controllo». Ma, ha aggiunto, «c’è un rovescio della medaglia: l’Italia avendo meno inflazione è più competitiva». Le imprese riescono a esportare di più sui mercati internazionali. Per capire quanto questo sia vero basta leggere i bollettini che continuamente aggiornano verso l’alto il saldo della bilancia commerciale con l’estero. Solo pochi giorni fa, la Banca d’Italia ha ricordato che siamo arrivati ad avere un saldo positivo di ben 155 miliardi. Questo “dividendo” però non è distribuito equamente.
IL VANTAGGIO
Va a vantaggio di quelle Regioni che hanno sui loro territori le imprese esportatrici. Roma non le ha. Non può insomma contare su questa «compensazione». Certo, questo effetto «non è voluto da nessuno» ma, ha sottolineato Caltagirone, si aggiunge e aumenta quel «divario storico» che si è creato dapprima verso l’alto con il decentramento amministrativo a favore dell’Europa, e che ora prosegue verso il basso con l’autonomia regionale che non fa che «aggravare il problema». Il meccanismo di “svuotamento” è sempre lo stesso. «Si decentrano risorse e, quindi, occupazione, Pil e imposte locali».
Tutto questo, ha spiegato ancora Caltagirone, si somma ai tre eventi principali che negli anni hanno ridotto i flussi finanziari della città. Il primo è stato «la fine dell’industria pubblica e dell’Iri», con il decentramento di un certo numero di imprese che prima avevano la loro testa nella Capitale. Le storie di “insuccesso” di questa politica non si contano: Alitalia, Telecom, l’acciaio di Stato. «Sfaceli», li ha definiti il Presidente del Messaggero. L’altro grande “svuotamento” che ha dovuto subire la Capitale, è stato quello della finanza. Non lo ricorda più nessuno, ma la Bnl, la Banca Nazionale del Lavoro, era la più grande banca italiana e aveva sede a Roma. Ora è solo una filiale del gruppo francese Bnp Paribas. Delle tre banche di interesse nazionale, le Bin, la Banca Commerciale italiana, la Banca di Roma e il Credito italiano, una, la Banca di Roma, aveva sede nella Capitale.Anche quella che era la più grande banca privata, la Banca Nazionale dell’Agricoltura, aveva la sua sede a Roma. Così come la seconda compagnia di assicurazioni, l’Ina Assitalia. «Di tutto questo», ha ricordato Caltagirone, «non è rimasto quasi niente». La Capitale ha perso anche la Borsa. Altro paradosso. Roma, con il mercato dei titoli pubblici, faceva il 95 per cento degli scambi. Ma si è scelto di privilegiare il mercato delle azioni e così oggi «siamo l’unico Paese in cui il Tesoro, che ha il secondo debito pubblico in Europa, lo amministra a 600 chilometri di distanza. È una cosa», ha detto Caltagirone, «che non è ragionevole, ma è successa».Così come non era evidentemente ragionevole e sostenibile, ma pure è successo, l’idea di creare in un Paese due hub aeroportuali mentre tutti gli altri Stati cercavano di aumentare la massa critica dei loro aeroporti. E non si può nemmeno obiettare di una ipotetica inefficienza o di una scarsa propensione di Roma alla gestione aziendale. Anzi, è esattamente il contrario.
I SUCCESSI
Quello che è rimasto delle partecipate statali sta lì a dimostrarlo. Eni, Enel, Terna, Leonardo, Fincantieri, sono storie di successo. «Quelle cedute ai privati», ha ribadito Caltagirone, «sono state disastrate».Ma veniamo al terzo punto dello “svuotamento” del carburante finanziario della Capitale: l’azzoppamento dei dipendenti pubblici. Il costo delle politiche cosiddette “anti casta” è stato messo in conto a Roma. «Il tetto degli stipendi ai dipendenti pubblici, peraltro non indicizzato all’inflazione, ha prima abbassato e poi impedito la crescita delle retribuzioni di un certo livello e quindi dei consumi», ha sottolineato Caltagirone. Qual è la conclusione? Che Roma è «una Ferrari senza benzina». E ora rischia «perdita di posti di lavoro, di Pil, di risorse» e «senza lavoro i romani se ne andranno». Si rischia una «crisi demografica che metterà ulteriormente in difficoltà la città». Dunque, dice Caltagirone, «sono indispensabili partite compensative», misure per ridare alla città «i flussi finanziari che ha perso. A Roma è stato tolto molto». È arrivato il momento di iniziare a restituire.