Avvenire, 27 giugno 2024
Tradurre Dante in cinese
Proveremo a descrivere il processo di traduzione della Divina Commedia in Cina nell’arco degli ultimi cento anni. Il dato che sorprende è che delle otto traduzioni integrali della Commedia in lingua cinese, cinque apparse a partire dal 2000, cioè in questi primi 24 anni del XXI secolo abbiamo avuto cinque nuove traduzioni – non ristampe –, una ogni 5 anni, che è un numero elevatissimo, soprattutto per un’opera che non è un romanzo di un centinaio di pagine, ma un poema filosofica, politica, religiosa, letteraria, mitologica, classicista, in breve un’enciclopedia.
Il primo assaggio, come lo definì il traduttore stesso Qian Daosun, apparve nel 1921, in occasione del 600° anniversario della morte di Dante, sulla rivista Xiaoshuo yuebao, una delle più importanti riviste letterarie del Movimento del 4 Maggio; un assaggio perché si trattò solo dei primi 5 canti dell’Inferno, tradotti da una versione giapponese e forse italiana, e resa in cinese, secondo lo schema metrico utilizzato in uno dei poemi più famosi della Cina pre-imperiali, il Lisao di Qu Yuan. Il paragone tra Dante e Qu Yuan, poeta della classicità cinese, fu uno dei topoi ricorrenti nel presentare Dante dall’inizio del ‘900 fino a tempi recentissimi, quando per esempio Gao Xingjian, nel discorso pronunciato in occasione dell’ottenimento del Nobel 2000, La ragion d’essere della Letteratura cita Qu Yuan e Dante.
Ma torniamo alle traduzioni. Credo non sia necessario sottolineare quanto sia difficile tradurre in cinese una tale opera, non solo perché è poesia, ma per il contenuto che veicola, a partire dal titolo. Gli interpreti cinesi hanno dovuto infatti affrontare lo stesso dilemma filologico che è costretto ad affrontare l’Averroè di Borges quando traducendo opere aristoteliche si imbatte in tragedia e commedia, una distinzione di generi che non è mai esistita nel canone letterario cinese. Infatti nella traduzione cinese non è presente la parola “commedia”. Il titolo si compone di due caratteri: shen, che vuol dire spirito, divino, soprannaturale, e qu, che vuol dire canzone, musica e indica un genere poetico diffusosi durante il periodo della dinastia mongola (XII-XIII secolo) che fa uso di un linguaggio colloquiale o ancor meglio del dialetto del nord, l’avo antesignano della moderna lingua cinese. Una scelta perfettamente appropriata per la funzione, il valore linguistico della commedia, meno per tradurre – e quindi interpretare – il titolo dell’opera. Simili problemi si pongono anche per i nomi delle cantiche, i nomi dei tre mondi ultraterreni attraversati dal poeta. L’Inferno è reso in cinese con la parola diyu terra + prigione, che è un termine di derivazione buddhista. Tuttavia nella dottrina buddhista, l’inferno non era eterno ma luogo destinato alle anime che nelle vite precedenti avevano svolto azioni malvagie e vi sostavano per un periodo limitato (più simile dunque al purgatorio cristiano che non all’inferno). Soprattutto, la destinazione in questo luogo non era determinata da un’autorità divina ma dalle azioni che ciascun individuo aveva commesso.
Diversa è la situazione per il Purgatorio, che inizialmente è tradotto con jingjie – letteralmente pulire/ purificare + mondo. Ma all’inizio degli anni ‘20 i termini con cui tradurre il purgatorio sono diversi. La scelta di Wang è giustificata dal fatto che a suo dire questo poteva essere il termine che creava minor confusione con la dottrina buddhista, in realtà il termine indica qualunque confine pulito non contaminato (per esempio anche i templi o i monasteri buddhisti sono jingjie). Quindi intorno agli anni ’40 del secolo scorso si è preferito sostituirlo con un lemma creato dai missionari gesuiti nel XVII secolo per tradurre “purgatorio”, lianyu dove lian indica il raffinare i metalli, il temprare, e yu (come nella parola inferno) è prigione. Per l’ultima cantica due sono le soluzioni: tiantang cielo+sala, e tianguo cielo+ regno, cioè regno dei cieli. Sono entrambe parola create dai missionari, la prima dai gesuiti nel XVI e XVII secolo, mentre la seconda, dai protestanti nel XIX per tradurre Kingdom of Heaven.
Dopo il primo “assaggio” del 1921 ad opera di Qian, Dante rimane uno dei temi trattati dagli intellettuali del periodo, ma nessuno si confronta con l’impegno della traduzione. Sarà solo nel 1948 che Wang Weike darà alle stampe la prima traduzione integrale. Ma Wang non è un italianista, è un fisico e matematico, appassionato di letteratura. Nel 1962 esce quella molto apprezzata di Zhu Weiji (sarà quella di riferimento per Can Xue). Dante sarà tradotto direttamente dall’italiano solo a partire dagli anni ’80, quando apriranno i primi dipartimenti di Italianistica nelle università cinesi.