La Stampa, 27 giugno 2024
Le buche di Keynes
Quando Mario Draghi lasciò il governo, nelle carceri ita-
liane c’erano 56 mila detenuti, circa cinquemila in più ri-
spetto alla capienza stabilita da una legge costantemente
violata senza che nessuno sia chiamato a risponderne. Og-
gi i detenuti sono 61 mila, diecimila in più del tetto stabili-
to per legge, il doppio dell’eccedenza ereditata. È succes-
so che, da quando sono in carica, Giorgia Meloni e i suoi
hanno voluto dimostrare di non essere dei mollaccioni
buonisti come i predecessori, e hanno preso a inventarsi
reati nuovi e ad aggravare le pene per quelli vecchi. Un
successone, come si evince dai numeri. E però ora le carce-
ri traboccano e dall’inizio dell’anno ci sono stati quaranta-
quattro suicidi, che proietta la contabilità del 2024 verso
il record di tutti i tempi. Così ora il governo è obbligato a
studiare il modo di togliere un po’ di gente dalle celle. L’i-
dea, da quello che s’è capito, sarebbe di rendere più auto-
matici gli sconti di pena. Ora soffermatevi un minuto a ri-
flettere su un governo che deve fare leggi per svuotare le
carceri perché prima ha fatto leggi per riempire le carceri,
e precisamente fa leggi per alleviare le pene perché prima
ha fatto leggi per aggravare le pene. John Maynard Key-
nes, grande economista del Novecento, riteneva che in
momenti particolarmente critici lo Stato dovesse assume-
re gente per fare le buche e poi per riempirle: un modo per
contenere la disoccupazione e dare stipendi alle famiglie.
Non so se ci fosse davvero bisogno di un tale welfare per i
nostri ministri, ma si potrebbe intanto dirgli di non scava-
re buche e di non riempirle. Se restano fermi è meglio