la Repubblica, 27 giugno 2024
Perché la Nona è la sinfonia dell’inconscio
Il capolavoro di Beethoven compie duecento anni: ascoltato oggi mantiene intatto il suo incanto. E la capacità di rivelare il dolore del grandissimo compositore, come dimostrano lettere e documenti
Il 7 maggio 1824 veniva eseguita per la prima volta a Vienna La Nona sinfonia di Beethoven, una delle più celebri composizioni della storia umana non solo per la qualità della musica ma per il contenuto ideale, per il messaggio di umana fratellanza lanciato dal maestro ai suoi contemporanei e a chi sarebbe venuto dopo di lui. Nel 2001 l’Unesco l’ha inserita nel patrimonio immateriale dell’umanità.
Con l’esecuzione dell’ Ottava sinfonia e appunto della Nona si conclude stasera all’Auditorium Parco della Musica di Roma il ciclo integrale delle sinfonie di Beethoven dirette dal maestro Daniele Gatti con una smagliante orchestra di Santa Cecilia e il magnifico coro guidato da Andrea Secchi. Primo violino sarà Carlo Maria Parazzoli. Impresa notevole e meritoria concentrata nel giro di pochi giorni con esecuzioni fin qui di altissima qualità.
Nel 1824 Beethoven aveva 54 anni, di lì a tre anni sarebbe morto, era afflitto da numerosi malanni oltre alla sordità di cui tutti sanno. In aggiunta c‘erano mali psicologici, traversie affettive, difficoltà di rapporti. Nonostante questo, osa concludere il suo percorso sinfonico con un’Ode dedicata niente meno che alla Gioia (An die Freude ), facendo suoi i versi del grande poeta romantico Friedrich von Schiller, aggiunge la voce umana nell’ultimo movimento perché le parole rendano definitivamente chiari i suoi sentimenti e i suoi ideali. Dice il maestro Gatti: «Mi commuove in questo monumento che è laNonal’aspetto umano. Messe da parte le notazioni di carattere tecnico musicale, mi colpisce un uomo il cui cuore trabocca d’amore. “Alle Menschen werden Brüder” – tutti gli uomini saranno fratelli – fa cantare al coro. Poi nel finale “Seid umschlungen, Millionen! Diesen Kuss der ganzen Welt!”, abbracciatevi moltitudini, questo bacio vada al mondo intero. Lo stereotipo di un Beethoven musone e collerico scompare davanti alla grandezza e sincerità di questa confessione».
Daniele Gatti ha ragione. Conferma le sue parole un documento noto come Testamento di Heiligenstadt. In realtà si tratta di una lettera sconsolata indirizzata ai suoi fratelli e mai spedita. Venne trovata dopo la morte nel cassetto segreto d’una sua credenza insieme ad un gruppetto di tre lettere indirizzate all’immortale Amata, grande amore di Ludwig per una donna rimasta sconosciuta.
Anche poche righe dal Testamento, ci mettono davanti un Beethoven nudo nella sua sconsolatezza, ed è forse proprio questa la ragione per la quale il manoscritto rimase chiuso in quel cassetto: «O voi uomini che mi ritenete o definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire così. Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano aperti al delicato sentimento della benevolenza e sono stato sempre disposto a compiere azioni generose. Considerate però che da sei anni mi ha colpito un grave malanno, peggiorato per colpa di medici incompetenti…».
Il maestro ebbe più volte rapporti amorosi drammatici o chiusi da uno smacco. Il più famoso è quello con la contessina Giulietta Guicciardi che al tempo aveva 17 anni. L’aveva conosciuta in casa dei nobili Brunsvik dove andava ad insegnare piano alle tre ragazze Brunsvik e a questa Giulietta, una cugina figlia di un ex consigliere a Trieste. Di lei parla in una lettera definendola: «Una cara ragazza che mi ama e che io amo… Per la prima volta sento che il matrimonio potrebbe rendere felici…».
Ma qui viene il colpo di pugnale: «Purtroppo essa non è della mia condizione sociale». Lui era solo un musicista, Giulietta era una nobile. Del resto, anche lei scrive della situazione a un’amica. Dice: «Avrei tanta voglia di liberarmi del mio fidanzato, il Gallenberg, e sposare questo brutto Beethoven così simpatico se non dovessi scendere così tanto in basso».
Alla fine, sposò proprio il conte Gallenberg, musicista di modesto talento, che finirà a Napoli come maître de ballet in quella corte. A Giulietta Beethoven dedicò la famosa Sonata per piano opera 27detta Chiaro di luna.
Il colpo di quel rifiuto fu, comunque, durissimo non fossero bastati quelli della prima giovinezza con suo padre Johann che attenuava col vino il dolore d’un sostanziale fallimento. Uomo debole tentava di rimediare alla generale disistima con scatti di inutile severità nell’educazione del figlio.
Quando Ludwig venne al mondo, Bonn 1770, Johann era sui trent’anni, tenore di corte e insegnante di musica. Sua moglie, Maria Magdalena Keverich, di anni ne aveva solo 24 anche se era al secondo matrimonio. Era rimasta precocemente vedova di un valletto dell’elettore di Treviri, sposato quando di anni ne aveva solo 16.
Al vertice della famiglia, negli anni di cui parliamo, si trovava il patriarca Ludwig senior, nonno del nostro. I Beethoven erano originari delle Fiandre, regione del Brabante, da lì veniva anche il prefisso “van” del cognome che, al contrario del “Von” tedesco, non implica un’ascendenza nobiliare.
Alla metà del Settecento nessuno si curava molto dei problemi psicologici, tantomeno diquelli psicoanalitici di là da venire, noi però sappiamo bene quanto contino nell’esistenza di un individuo le esperienze vissute negli anni della fanciullezza, possiamo quindi inserire il comportamento e lo status di Johann tra le cause che motivarono il carattere di Ludwig.
Anche il nonno era musicista, ma di ben altro livello rispetto al figlio Johann. Nel 1733 ottenne la carica di Kappelmeister (maestro di cappella) alla corte dell’arcivescovo di Colonia, Clemente Augusto, principe elettore del Sacro Romano impero.
IlKappelmeister era responsabile della musica da eseguirsi nella cappella ma anche nella sala da concerto, nel teatro e nella sala da ballo. In termini attuali potremmo dire che il suo era un incarico complesso tra l’impresario, il direttore musicale e il maestro concertatore. Ricorda il maestro Gatti: «A 22 anni Beethoven si trasferisce da Bonn a Vienna. Dovette costruirsi da solo qualche amicizia, assicurarsi commesse, guadagnarsi da vivere, avviare cioè una carriera. Tutte prove durissime mentre la salute declinava. Anche questo rende eroica la sua inesauribile capacità d’amore». Osservazione che ci riporta alla Nona. La sua vita fu una sfida continua vinta dalla forza d’un genio che accantonò per sempre il Settecento, pose le basi per tutta la musica che dopo di lui sarebbe stata scritta, fece della Nona un’esperienza umana, musicale, forse potrei perfino dire politica, senza uguali.