Corriere della Sera, 27 giugno 2024
Ritratto di Édouard Philippe
«Che cosa deve bere qui un uomo del Nord?», chiede Édouard Philippe seduto all’ora dell’aperitivo sul canale di Sète, la piccola città del Sud della Francia dove sono nati Georges Brassens e Paul Valéry, tra gli altri. Gli portano un pac à l’eau (una specie di limonata, perché qui siamo vicini a Montpellier e il pastis sarebbe roba da marsigliesi, gli spiegano), poi il sindaco di Le Havre, mille chilometri più su, parla con i candidati locali del suo partito Horizons ed espone l’idea per uscire dalla crisi politica francese: «Dovremmo imparare a fare una cosa normale in tanti grandi Paesi, ovvero governare con una grande coalizione». In sostanza, l’ex premier propone di provare quel che Macron, per carattere o incapacità politica, non si è mai piegato a fare davvero: allargare la maggioranza, trattare, convincere, venire a patti con le parti più moderate della destra e della sinistra, ma senza puntare a svuotarle. Conquistare partner, non bottini di guerra.
«La maggioranza di Macron è morta, ed è il presidente ad averla uccisa. Però abbiamo a portata di mano una soluzione che ci eviterebbe di finire nella tenaglia formata dal Rassemblement national a destra e dalla France Insoumise a sinistra». Sembra un governo di unità nazionale, una soluzione che ricorda l’Italia pre-Meloni, gli facciamo notare. «L’Italia è sempre stata un esempio politico. O meglio, l’Italia da sempre conosce situazioni politiche e deve prendere decisioni che poi si presentano pure in Francia e che anche noi finiamo per dovere affrontare. Noi francesi dovremmo osservare di più l’Italia, le sue difficoltà, le sue contraddizioni e le sue soluzioni».
Come tanti francesi innamorato del nostro Paese – «la Sicilia, ma anche Milano, Bologna, Pisa e Lucca» —, ed estimatore delle sue alchimie politiche, Philippe pronuncia il de profundis della maggioranza macronista ma vuole già andare oltre anche alla frettolosa ricomposizione di questi giorni, con tre blocchi contrapposti – destra, sinistra e un più debole centro macronista – che sembrano contendersi la vittoria. Il primo premier dell’era Macron, poi riaccompagnato a Le Havre quando stava diventando troppo popolare per i gusti del presidente, sogna una coalizione che vada dalla destra gollista anti-Bardella alla sinistra moderata anti-Mélenchon, da Xavier Bertrand a Raphaël Glucksmann, «una coalizione che rappresenterebbe la maggioranza dei francesi, che non vogliono affatto il RN né un Nouveau Front Populaire che comprende non solo Jean-Luc Mélenchon ma anche chi è persino più a sinistra di lui, come il Nuovo Partito Anticapitalista».
Nei giorni in cui Emmanuel Macron evoca una possibile «guerra civile in caso di vittoria delle estreme» e già si pensa a possibili rivolte nelle banlieue in caso di vittoria del partito anti-stranieri di Jordan Bardella e Marine Le Pen, lo stile pacato di Edouard Philippe continua a distinguersi, come ha sempre fatto in questi anni. Se Macron ha finito per essere odiato da molti perché percepito come arrogante, duro, inadatto all’ascolto e quindi al compromesso, Philippe è uno strano esemplare di iper-diplomato (solito percorso delle élite, Sciences Po poi Ena) che però sta tendenzialmente simpatico a tutti: forse perché prende molto sul serio i problemi, e poco sul serio sé stesso.
Il regista suo migliore amico Laurent Cibien (di sinistra) gli ha dedicato un documentario in tre parti intitolato «Edouard, il mio amico di destra», nel quale lo riprende dalla vittoriosa rielezione a Le Havre nel 2014 alla fase drammatica della gestione del Covid, da primo ministro, nella primavera 2020. «Putain, quanto sono stanco. Sono cotto!», ammette davanti alla cinepresa nei giorni dei lockdown. «Ho solo cattive opzioni, alcune peggiori delle altre, e nessuna è buona, è spaventoso».
Eppure la sera Philippe parlava in tv ai francesi in modo chiaro, competente, preciso, senza manfrine. Di quei giorni a Matignon Edouard Philippe ha ricavato la rottura dell’intesa con Macron (che gli ha preferito l’incolore Jean Castex), molto stress e due malattie autoimmuni, vitiligine e alopecia: prima macchie bianche sulla barba, poi macchie sulla pelle e infine niente più peli. «Ho capito a che cosa servono le sopracciglia – dice a proposito della sua evidente trasformazione fisica —: a farsi notare quando cadono».
Grande e affettuoso imitatore di Giscard d’Estaing, dotato di humour ma volutamente mai tagliente, in queste ore Edouard Philippe è tra i pochi avversari del RN a rispettarne gli elettori: «Troppo facile amare la democrazia a patto che la democrazia sia d’accordo con me». Ma non rinuncia a criticare l’annuncio di Bardella, che vorrebbe tenere i francesi con doppio passaporto lontani dai posti di lavoro strategici. In fondo siamo a Sète, la città di Georges Brassens che nella Ballata di quelli che sono nati da qualche parte se la prendeva con sciovinisti e nazionalisti. E Philippe dice che «la polemica contro i bi-nazionali rivela qualcosa di profondo nel Rassemblement national: il loro bisogno di dividere, e creare diverse categorie di francesi. Non mi piace».