Corriere della Sera, 27 giugno 2024
Intervista ad Achille Occhetto
«Ringrazio la presidente Meloni che ha messo in evidenza la capacità di innovazione alle riforme istituzionali che avevamo. Non c’è dubbio che il Pds abbia avuto una grande attenzione e apertura ai temi dell’innovazione istituzionale», dice Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e primo del Pds.
Occhetto, Meloni è andata oltre: ha detto che lei è più avanti di Elly Schlein… È così?
«Ripeto: la ringrazio ma la nostra idea di riforma non andava nella direzione auspicata da Giorgia Meloni. Noi abbiamo avuto una funzione di punta nel movimento referendario diretto da Mario Segni tant’è che Segni stesso ha dichiarato che senza il Pds non ci sarebbe stato il referendum. Da questo sono scaturite alcune proposte coraggiose: il passaggio al maggioritario e soprattutto l’inizio del bipolarismo che ha cambiato la politica italiana in maniera significativa soprattutto su due punti strategici rilevanti».
Quali?
«In primo luogo ha messo in discussione l’unità politica dei cattolici in un solo partito, ovvero la Democrazia cristiana. Il secondo elemento di novità importante è la bellissima legge dei sindaci che ha cambiato il volto e la stabilità delle città italiane. E che voglio sottolineare è incentrata sul doppio turno».
Doppio turno che adesso il centrodestra vorrebbe eliminare o comunque rivedere.
«Le rispondo così: io allora non ero più avanti come dice la Meloni della Schlein, ma ero più avanti di La Russa che oggi vuole mettere in discussione l’elemento fondamentale di questa bellissima legge che è il doppio turno…».
E pure al sindaco d’Italia
«All’epoca, in quel clima di apertura ai problemi istituzionali, si iniziava a discutere del presidenzialismo alla francese che non consideravamo certo autoritario. E all’interno del dibattito delle forze referendarie si guardava anche al sindaco d’Italia. Ma era una proposta molto diversa dall’attuale premierato. Tant’è che oggi la destra si guarderebbe bene di puntarci, come appare chiaramente dall’avversione di questi giorni al doppio turno».
Premierato no e sindaco d’Italia sì, quindi?
«Ho cambiato idea. Oggi sono contrario anche a quel progetto che veniva chiamato “sindaco d’Italia”».
Per quale ragione?
«Quando si fanno le proposte istituzionali si deve tenere conto dei cambiamenti. Allora i partiti erano molto forti. Oggi siamo entrati nell’era del populismo e del leaderismo che hanno messo in secondo piano la funzione dei partiti. Se vogliamo ridare un’anima alla politica bisogna lavorare tutti insieme e ridare centralità ai partiti politici e allo stesso tempo educare i cittadini italiani a scegliere non in base alle persone ma in base ai programmi e alle idealità».
Lei dunque ritiene che la Costituzione non debba essere toccata?
«Il premierato proposto dalla maggioranza di fatto cancella il valore dei partiti proprio perché come tutti sanno si pensa di corredarlo di una legge elettorale secondo la quale se il premier vince con il 28% trascina tutta la coalizione che l’ha sostenuto fino ad arrivare alla maggioranza assoluta. A quel punto è chiaro che è la fine della centralità del Parlamento, è la fine dei pesi e dei contrappesi presenti nella nostra Costituzione, e questo mutamento si riverbera sui principi fondamentali della Carta costituzionale perché annebbia e rende inefficaci i capisaldi dello stato di diritto a partire dalla divisione dei poteri e dai necessari contrappesi sociali e politici per sostituirlo con il rapporto diretto del popolo con il capo. Tutto questo sarebbe pericoloso, a maggior ragione in questa fase in cui in Europa si vuole far prevalere l’idea di democrazia illiberale».
I risultati delle Europee e delle amministrative ridanno speranza al campo largo?
«Adesso si tratta di costruire l’alternativa alle destre su un programma condiviso che parli alla società e non alle sigle di partito, un programma volto a dar vita a un blocco sociale alternativo, incurante delle facezie politiciste sullo spostamento più a sinistra o più al centro. Lo abbiamo visto: il centro è un “buco nero” che inghiottisce e fa sparire chi si avvicina “all’orizzonte degli eventi”. Ma il problema rimane: quello della ricerca delle più ampie alleanze sociali, anche nella direzione delle componenti più moderate».