il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2024
Estratto da Autobiografia bugiarda Paolo Villaggio e Luca Sommi Pagine: 128 Prezzo: 12 e Editore: Aliber tiLeggo dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli
Estratto da Autobiografia bugiarda Paolo Villaggio e Luca Sommi Pagine: 128 Prezzo: 12 e Editore: Aliber ti
Leggo dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli. “Fantozziano, aggettivo – Che ricorda i modi goffi e impacciati di Ugo Fantozzi”…
Oggi è un aggettivo di uso comune. Figurati che lo usano anche gli intellettuali.
Con Fantozzi hai inventato una maschera immortale della commedia italiana…
È stato una rivoluzione: è un eroe negativo, non è simpatico, è un millantatore… Un uomo di livello culturale infimo, cattivo, perfido in famiglia, un despota col telecomando. Però era umile, umilissimo con i capi. Un vero vigliacco.
Oggi Fantozzi come sarebbe?
Un uomo uguale ad allora. Però cercherebbe di dissimulare la sua natura, proverebbe a darsi un tono. Probabilmente in questa dissimulazione ci cascherebbe anche lui, credendo di essere una persona felice. Ce ne sono tanti oggi così.
Quando hai capito che stava nascendo un mito?
Un giorno decido di andare con mia figlia in Sardegna. Andiamo a prendere il traghetto ma all’imbarco, a causa di uno sciopero, troviamo una fila chilometrica. Hai presente la ritirata di Russia? Uguale. Mentre siamo in fila una vecchia mi vede e grida: “Il Villaggio! Il Villaggio!”. Tutta la fila è impazzita: urlavano, ballavano, sembravano dei matti “Villaggio! Fantozzi! Merdaccia!”. Fu in quel momento che capii che il personaggio stava avendo un successo enorme.
E secondo te perché?
Perché Fantozzi è terapeutico, ha liberato tutti dall’essere degli animali senza successo. Il 90% della popolazione è sfigata in modo incredibile. E da quando è nato Fantozzi si sono sentiti meno soli.
E poi con la scena “La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca” hai alleggerito la vita a un’intera generazione.
Io direi di sì. Finalmente si sono sentiti liberi. È stata la prima incrinatura alle certezze dei “sinistresi”. Gian Maria Volonté, nonostante fosse un attore così impegnato, rideva a crepapelle.
Dove è nata questa idea?
Io e Fabrizio De André da ragazzi andavamo sempre a vedere questi film impegnatissimi. Il raduno era di domenica, alle 15, in una fetida saletta parrocchiale. Alla porta c’era un disperato, il capo della cineteca, al quale tutti chiedevano: “Cosa proiettate oggi?”. Tutti speravano in cose tipo L’infermiera al servizio militare. Ma lui, la carogna, rispondeva con titoli del genere: “Dies irae, di Carlo Theodor Dreyer!”. Uno spaventoso film muto di quasi tre ore. E, a seguire, il dibattito: “Quell’uso del montaggio analogico è geniale” o “Il maestro manda un segnale fortissimo con quella dissolvenza subliminale”. E tutti i presenti urlavano come indemoniati. Qualcuno ululava!…
Raccontaci le famosissime cene a casa di Tognazzi, quelle in cui lui cucinava. Innanzitutto chi c’era?
Marco Ferreri, Mario Monicelli, Vittorio Gassman, Luciano Salce, Adolfo Celi e altri.
Il grande cinema italiano…
Un rituale famoso. Lui era un uomo allegro e sincero ma aveva un grosso difetto: era convinto di essere un ottimo cuoco. Invece non lo era, anzi, era un disastro. Avrà letto mille libri di cucina, ma non gli riusciva.
Quando avvenivano queste cene?
Sempre di venerdì sera. Un rituale che avevamo chiamato “L’ultima cena dei dodici apostoli”. Lui si impegnava al massimo: inventava, sperimentava, cucinava piatti stranissimi.
Ad esempio?
Il Maial-tonné, terribile, oppure fettoni di mortadella impanati come le bistecche alla milanese. E diceva: “Questa è una mia invenzione”. Sì, va bene, ma perché inventare quando esistono tante buone ricette? Ricordo una volta in cui cucinò queste fettone di mortadella impanate con ancora la pellicola di cellophane intorno…
Voi gli dicevate la verità?
Alla fine della cena lui chiedeva: “Voglio sapere la verità”. Io rispondevo sempre: “Nessuno dirà mai la verità, sono tutti attori”. Come quando vai a vedere qualcuno a teatro, magari vedi una cagata pazzesca ma poi in camerino fai i complimenti.
Dunque, non seppe mai il vostro giudizio?
Una volta decidemmo di fare delle votazioni segrete su ogni portata con dei bigliettini anonimi. Si poteva scegliere tra i seguenti giudizi: straordinario, ottimo, sufficiente, insufficiente, cagata, grandissima cagata. Lui parte con Risotto alla moda mia. Ferreri, solo sentendo il nome della portata, si rifiutò di assaggiare. C’erano dentro delle cose atroci. Alla fine di questa cena lo spoglio delle schede. Verdetto. Risotto alla moda mia: grandissima cagata, cagata, cagata, grandissima cagata, grandissima cagata, cagata, grandissima cagata, grandissima cagata. Triglie di bosco: cagata, grandissima cagata, grandissima cagata, grandissima cagata, grandissima cagata, grandissima cagata, cagata, grandissima cagata. Coniglio di paranza: grandissima cagata, grandissima cagata… a questo punto lui disse: “Basta! Adesso mangiamo in silenzio e finiamola con questa pagliacciata”. Alla fine Ugo mi chiese tutti i bigliettini: voleva portarli da un grafologo per scoprire chi erano gli infami.
Altro aneddoto.
Una volta Monicelli, alla fine della cena, prese una busta di plastica trasparente e cominciò a girare per la tavola e a riempirla degli avanzi. Tognazzi, ancora vestito da cuoco, col cappello bianco, chiese: “Mario cosa fai? Ti porti a casa la cena? Ti è piaciuta così tanto?”. La risposta di Monicelli: “No, li porto all’istituto italiano di criminologia! Ti voglio denunciare per tentato omicidio!”.