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 2024  giugno 26 Mercoledì calendario

Il corpo come arma politica Così Julian ha cambiato la giustizia americana

Finalmente è accaduto: Julian Assange è libero. Per cinque anni è stato detenuto nel carcere di Belmarsh, dopo aver trascorso dal 2012 al 2019 la sua latitanza nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. È proprio qui, al numero 3 di Hans Crescent, che ho conosciuto Julian, un uomo in fuga tra quattro mura. Camera in penombra, tende chiuse, arredamento cupo. Il primo scatto insieme rifletteva l’ambiente che ci circondava, così Julian si avvicina a me, mi abbraccia e dice: «Facciamone un’altra, sorridiamo, non mostriamoci sconfitti».
Un corpo non più suo
L’attivismo è questo: mettere a disposizione il proprio corpo che smette di essere qualcosa di tuo per diventare terreno di lotta politica. Non è facile reggere, anzi, è quasi impossibile rimanere saldi. Si cede alla disperazione, più spesso alla depressione. Non si riesce a comprendere come mai si è finiti nel girone infernale di coloro i quali disturbano il potere, marchio d’infamia che ti si attacca addosso. L’unico strumento che il potere politico ha per vendicarsi dissimulando l’arbitrio è la leva giudiziaria. Si porta a processo chi, esponente della società civile, osa scardinare meccanismi, accendere un faro, talvolta basta anche una candela. È quello che è successo a Julian Assange. Tutto parte nel 2010, quando WikiLeaks, sito internet che riceve e diffonde documenti militari e diplomatici per lo più coperti da segreto, pubblica migliaia di cablogrammi del governo Usa riguardanti le operazioni degli americani in Afghanistan. Immediata è la reazione: viene accusato di stupro in Svezia. Proprio così: la delegittimazione arriva su un altro fronte,su cui Assange, come chiunque faccia attivismo, in genere è senza difese. Le donne che l’hanno accusato di stupro sono attiviste di WikiLeaks e lo avevano ospitato in Svezia durante una trasferta per presentare il suo lavoro. Di fatto, dopo 10 anni, cade anche la prima e più infamante delle accuse, quella che aveva il preciso scopo di isolare Julian.
L’odissea
Ma come ci si rialza da una accusa di stupro? Non ci si rialza, eppure WikiLeaks non si ferma e pochi mesi dopo pubblicherà centinaia di migliaia di documenti sulla guerra in Iraq. Assange si trova in Gran Bretagna, dove viene arrestato e rilasciato su cauzione. È qui che inizia quel processo che vedrà il suo corpo trasformarsi in un campo di battaglia. Dapprima a chiedere l’estradizione è la Svezia, ma la richiesta nasconde il vero pericolo, che Julian sia trasferito negli Stati Uniti. Le autorità giudiziarie britanniche, nonostante questo pericolo, acconsentono all’estradizione ed è qui – siamo nel 2012 – che Julian decide di chiedere asilo politico all’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove resterà fino al 2019. Ad aprile viene arrestato all’interno dell’ambasciata ecuadoriana, perché i diplomatici danno luce verde alla polizia britannica. Pochi mesi dopo il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti chiede di estradarlo. Nel 2021 un giudice britannico stabilisce che non deve essere estradato per timore che possa togliersi la vita, ma il corpo ormai non gli appartiene più, sulla sua pelle si giocano equilibri tra potenze e così la ministra degli interni Priti Patel firma l’ordine di estradizione. È nel 2022 che abbiamo seriamente temuto, nonostante la moglie Stella Moris, sposata in carcere e da cui Julian ha avuto due figli, continuasse a ripetere i pericoli ai quali le autorità britanniche avrebbero esposto Julian in caso di estradizione negli Stati Uniti.
Una svolta improvvisa
Quando credevamo che per Julian le cose non sarebbero cambiate, accetta di dichiararsi colpevole come parte di un accordo con il dipartimento di Giustizia americano grazie al quale sarà libero di rientrare in Australia. Aveva giurato che non avrebbe patteggiato mai, ma quello che gli hanno fatto è oltre l’immaginabile. Spesso di lui si parla come di un mistico, di un folle che sapesse a cosa andava incontro e che non si sia fermato. Ma sappiamo cosa ha fatto Assange per aver meritato 14 anni di martirio giudiziario? Ha ricevuto e versato sulla piattaforma WikiLeaks informazioni che metteva a disposizione della stampa internazionale perché, vagliando quelle fonti, i giornalisti potessero raccontare cosa accade nei luoghi di conflitto, dove gli interessi delle potenze mondiali si scontrano.
Joe Biden sente forse la responsabilità di dimostrare un percorso differente rispetto a paesi come Cina, Russia, Turchia, Iran dove i dissidenti vengono arrestati, condannati con processi farsa e lasciati morire in carcere, come è avvenuto in Cina al Premio Nobel Liu Xiaobo. Assange, dopo 14 anni di persecuzione giudiziaria, ha trasformato la giustizia americana; gli Usa hanno finalmente compreso che non ha commesso un crimine, ma ha aperto alla possibilità di avere a disposizione fonti preziosissime da verificare. Non potevano cadere tutte le accuse, è una questione non solo di forma ma anche di sostanza: aver tenuto sotto processo per anni un attivista e dire «abbiamo sbagliato» avrebbe comportato anche un danno economico, avrebbe aperto alla possibilità di chiedere un risarcimento. Da qui il patteggiamento.
A noi la consapevolezza che Assange, proprio patteggiando, ha dato una possibilità alla democrazia e lo ha fatto regalandoci se stesso.