il Giornale, 25 giugno 2024
Timide bestie
In alcuni paesi la timidezza è annoverata tra i disturbi psichiatrici. Nel DSM-IV sono state incluse varianti assai specifiche, per alcune delle quali si raccomanda la psicoterapia e il trattamento con ansiolitici, come ad esempio la «sindrome della vescica timida», l’incapacità di urinare in un bagno pubblico.
Vi sono forme estreme di timidezza che forse possiamo ascrivere alla patologia, ma il punto di vista degli etologi e dei neurobiologi che guardano al comportamento degli animali è assai diverso. La timidezza probabilmente è una tattica evolutiva.
Nella dicotomia spavalderia-timidezza (boldness-shyness) è facile immaginare i vantaggi della prima: gli individui audaci e inclini all’esplorazione acquisendo più facilmente il cibo e le altre risorse, inclusi i potenziali partner sessuali. Tuttavia nelle popolazioni animali una percentuale che oscilla tra il 15 e il 20 per cento degli individui è timida. Lo stesso Darwin – che tremava come una foglia quando doveva parlare in pubblico – si pose il problema se la timidezza conferisca un vantaggio selettivo.
L’idea che esista un continuum nella personalità degli animali si è fatta strada a partire da alcuni studi condotti sulle salamandre negli anni ’90, dai quali emersero chiare differenze individuali: alcuni animali, spavaldi e attivi, mangiavano di più e crescevano più rapidamente delle loro controparti timide, ma a fare da contraltare c’era la risposta alla minaccia offerta dai predatori, cui soccombevano molto più gli spavaldi che i timidi. Da allora è stato condotto un gran numero di ricerche. Ad esempio, studi su cinciallegre catturate in natura e collocate in un ambiente nuovo in laboratorio hanno mostrato che alcuni individui stanno pressoché immobili e inattivi per svariati minuti, mentre altri immediatamente iniziano a esplorare il nuovo ambiente. Rilasciati in natura si è potuto osservare che a distanza di un anno mantenevano le loro caratteristiche di personalità, spavalda o timida. Come ci si poteva aspettare, i maschi spavaldi tendevano a essere più infedeli sessualmente, ma anche era più probabile che fossero traditi dalla partner rispetto ai maschi timidi però più attenti.
In termini di successo riproduttivo non vi è un vantaggio o uno svantaggio assoluto nell’essere spavaldi o timidi: in certe circostanze l’ambiente favorisce i primi, in altre i secondi. Gli ambienti sono complessi e mutevoli, per cui la selezione naturale può favorire l’una o l’altra strategia o anche entrambe simultaneamente.
Negli uccelli sialia (Sialia mexicana) i maschi audaci si assicurano i territori migliori e più ampi, il che li avvantaggia nel conquistare un partner e nella possibilità di avere più figli quando le risorse sono scarse; ma quando le risorse sono abbondanti i maschi timidi che sono dei padri più attenti riescono a condurre alla maturità un numero maggiore di figli. Le madri sembrano ritagliare le caratteristiche di personalità del loro piccoli per ottimizzarle in funzione delle condizioni dell’ambiente. I pulcini più anziani tendono a essere più aggressivi e audaci di quelli più giovani, per cui, manipolando l’ordine con cui vengono deposte le uova di maschi e femmine, le madri tendono a produrre maschi timidi se le risorse ambientali sono abbondanti e maschi aggressivi e inclini all’esplorazione quando le risorse sono scarse.
Nella nostra specie pare che la storia sia la stessa: sebbene si ritenga comunemente che timidi e introversi abbiano, almeno tra i maschi, in media meno partner sessuali (nelle femmine la ritrosia può avere esiti opposti), a parità di Qi essi ottengono migliori risultati scolastici e professionali, e quindi un rango sociale più elevato, che garantisce più partner sessuali.
Nelle società in cui la spavalderia è valutata assai positivamente (come in quella nordamericana) per i timidi la vita è difficile. Vale la pena perciò riconoscere le conseguenze negative della sopravvalutazione sociale della spavalderia. Molti anni fa un collaboratore di Konrad Lorenz, Erich von Holst, condusse un celebre esperimento su certi pescetti che si muovono restando sempre in gruppo per evitare di essere attaccati dai predatori. Attratto magari da un cibo interessante o da qualche altro stimolo, un singolo individuo può lasciare temporaneamente il gruppo nuotando per conto proprio per un breve tratto, ma lo fa voltandosi continuamente e quando si avvede che nessuno lo segue rientra precipitosamente nei ranghi. Von Holst provvide a lesionare una piccola porzione nel cervello di un animale, un’area associata al controllo inibitorio del comportamento (analoga alla corteccia frontale dei mammiferi), col risultato di renderlo audace e incurante. Collocato nel gruppo il pescetto spavaldamente si allontanava disinteressandosi del fatto che nessuno lo seguisse. Notata la sua sicumera accadeva però che i compagni decidessero di andargli dietro, incuranti del fatto che il loro leader fosse un autentico decerebrato. Da questa favoletta etologica ciascuno può trarre la morale che crede.