La Stampa, 25 giugno 2024
Oro rosso
Dal seme agli scaffali con rincari solo nell’ultima parte della filiera per la metà del costo finale. La suddivisione dei costi è semplice, come fanno notare le stime di Coldiretti. Prendendo in esame che il prezzo finale del pomodoro sia di 2 euro al kg, la filiera si compone così: 30 centesimi per la coltivazione, 20 per la raccolta, 20 per il trasporto, 20 per l’imballaggio, 10 per la lavorazione, 50 cent per la distribuzione, idem per la vendita. Ed è facile capire quali sono i punti cruciali per la determinazione del prezzo finale, spiegano le associazioni di settore. Che sono tre in particolare. Nell’ordine, il comparto della distribuzione e della vendita, che incidono per il 50% sul listino al supermercato. E la coltivazione, che invece ha un impatto del 15% sullo scaffale.
Per<CW-20> un chilogrammo di pomodoro sono distribuzione e vendita diretta a incidere di più. Solo il resto è lasciato a chi, in modo effettivo, produce, raccoglie, trasporta e lavora quel pomodoro. Il problema è che dal campo alla tavola, ci sono «circa 10 mila lavoratori fissi e oltre 25 mila lavoratori stagionali, cui si aggiunge la manodopera impegnata nell’indotto», come spiega Ismea. Il tutto per un mercato da 4,4 miliardi di euro. I prezzi, sia del fresco sia del lavorato, sono in aumento a doppia cifra (+22% su base annua per il 2023). Gli eventi climatici sono sempre più estremi, le coltivazioni più fragili. E soprattutto su quest’ultima voce, a incidere saranno gli effetti del cambiamento climatico, che potrebbe determinare costi di produzione molto maggiorati nei prossimi decenni. A ricordarlo sono le analisi della World Bank, che in più d’una occasione ha rimarcato come fra le colture più a rischio ci sia proprio quella legata ai pomodori.</CW>
<CW-30>Ma poi ci sono gli altri capitoli di spesa. Raccolta, trasporto e imballaggio valgono il 10% del cartellino rispettivamente, almeno a livello nominale. Ancora minore è l’incidenza sul totale, circa il 5%, della lavorazione dei pomodori. La Commissione europea, già prima della pandemia, ha messo nel mirino il mercato dei migranti nelle coltivazioni di pomodoro. Ma le azioni concrete sono state sempre poche, con la conseguenza che lo sfruttamento dei corpi intermedi continua e le remunerazioni sono irrisorie rispetto all’effettivo valore aggiunto.</CW>
U<CW-20>na delle peculiarità della filiera italiana del pomodoro è che, in media, nel bacino sud la resa è significativamente migliore rispetto al bacino nord: 878 quintali per ettaro del Mezzogiorno contro i 696 quintali per ettaro del Settentrione. A spiegarlo nel dettaglio è un rapporto di Crea, ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari per conto di Anicav, che registra come al nord sia presente una certa uniformità delle rese, mentre il sud è caratterizzato da un’alta variabilità, segno evidente che «nel primo caso è attivo un processo di standardizzazione dei modelli produttivi, mentre nel secondo c’è una forte diversificazione».</CW>
<CW-20>Poi però ci sono le voci di uscita. «Relativamente alla ripartizione dei costi di produzione il quadro è abbastanza omogeneo e le varie voci hanno più o meno lo stesso peso nel conto finale. La maggiore incidenza è relativa al costo del lavoro (27% al nord e 29% al sud), al costo lavoro macchine (14% al nord e 17% al sud) e all’acquisto di sementi (14% al nord e 15% al sud)», fa notare il rapporto. Che poi entra nel dettaglio delle discrepanze. «Al di là dell’incidenza, quello che desta particolare attenzione è la differenza che si registra su determinate voci di costo, molto più alte al sud che al nord». Nel primo distretto «il costo di acquisto di sementi e piantine segna un +48% rispetto al nord, mentre i costi di acquisto e utilizzo di agrofarmaci per la difesa delle colture registrano un +59%». Ma da evidenziare ci sono anche altri punti: nel Mezzogiorno il costo delle risorse idriche è superiore «addirittura del 71%». Al sud più elevati anche «i costi delle macchine (+68%) per il maggior ricorso al contoterzismo, così come il costo del lavoro (+58%) legato al maggiore fabbisogno di personale per la tipologia di raccolta in bins (le cassette, <CF1002>ndr)</CF>». </CW>
A <CW-20>finire sulle tavole degli italiani, per</CW><CW-30>ò, non ci sono solo pomodori domestici. Come spiegato da Isma nell’ultima analisi del settore, <CW-20>ci sono degli squilibri. Nel 2023, sono state prodotte e trasformate circa 5,4 milioni di tonnellate di pomodoro che corrispondono al 12% della produzione mondiale e al 52% di quella europea. Ma è importante anche la percentuale in arrivo dai mercati di approvvigionamento. E in questo caso c’è una marcata concentrazione. «La quota appannaggio dei Paesi extra Ue è del 74% di cui il 50% dalla sola Cina. Nella </CW>campagna 2022/2023, i primi cinque fornitori sommavano l’81% dell’approvvigionamento complessivo dell’Italia, con Cina e Spagna che da sole hanno coperto il 65% delle importazioni», fa notare Ismea. L’oro rosso delle nostre campagne, in molti casi, è comprato come italiano, ma è in larga parte straniero.