La Stampa, 24 giugno 2024
Processo alla Bossi-Fini
Perfino Gianfranco Fini, padrino politico di Giorgia Meloni, ha detto più volte che la legge sull’immigrazione che porta la sua firma e quella di Umberto Bossi è superata e andrebbe rivista. Sul punto, in realtà, sono d’accordo tutti o quasi, a destra e a sinistra. Il punto, ovviamente, è il come. Sono passati 22 anni dall’approvazione in Parlamento e, ciclicamente, si riapre il dibattito. Di solito, accade sull’onda emotiva delle tragedie, come nel febbraio 2023 dopo il naufragio davanti alla spiaggia di Cutro, come oggi dopo la morte del bracciante Satnam Singh nell’agro pontino.Già diverse settimane fa Elly Schlein ha annunciato una proposta di legge del Pd per archiviare la Bossi-Fini, obiettivo che aveva già esplicitato nella sua mozione congressuale, prima di diventare segretaria. Sul testo sta lavorando, in particolare, l’ex ministro Graziano Delrio, ora presidente del Comitato parlamentare Schengen. Poco prima delle elezioni europee, nel mezzo delle polemiche per la costruzione dei centri per migranti in Albania, anche Meloni ha affrontato la questione con un’informativa in Consiglio dei ministri, promettendo una bozza di riforma da presentare dopo la tornata elettorale.La premier ha puntato il dito sui decreti flussi, evidenziando «dati allarmanti» riguardo agli ultimi due varati dal governo, nel dicembre 2022 e nel settembre 2023, con uno «scarto significativo» tra il numero di ingressi in Italia per motivi di lavoro e i contratti di lavoro che vengono poi effettivamente stipulati, soprattutto in alcune regioni. Poi ha fatto sapere di aver consegnato alla procura nazionale Antimafia un esposto per chiedere di indagare sul fenomeno. Un modo per mettere le mani avanti rispetto alla lettura del governo: i decreti flussi ormai sono una forma surrettizia di ingresso illegale in Italia di migliaia di persone, con infiltrazioni della criminalità organizzata. Quindi, bisogna intervenire in senso restrittivo: entra solo chi ha già in mano un contratto di lavoro. O meglio: visto che, come noto, la maggior parte delle domande riguarda lavoratori irregolari che già sono in Italia, ottiene il permesso di soggiorno solo chi dimostra di avere un rapporto di lavoro. Inoltre, si pensa a una profonda revisione del sistema dei decreti flussi, con una verifica delle domande di nulla osta al lavoro, del meccanismo del “click day” e della definizione delle quote, rafforzando la collaborazione con le associazioni di categoria, per definire i reali fabbisogni di manodopera.Approccio ben diverso quello suggerito dalle opposizioni. La proposta su cui sta lavorando Delrio per il Pd riprenderà in parte quelle già depositate in Parlamento, in particolare a quella firmata da Riccardo Magi di +Europa e sottoscritta un anno fa, in commissione Affari costituzionali alla Camera, anche dai dem, da Avs, da Azione e da Italia Viva (il M5s sul tema continua a tenersi le mani libere). Un testo che ricalca, a sua volta, quello della legge di iniziativa popolare “Ero straniero”, per la quale anni fa si erano attivate nella raccolta firme Acli, Arci, Caritas, Sant’Egidio, Cgil e diverse altre associazioni. Prevede l’istituzione di un permesso di soggiorno temporaneo connesso alla ricerca di lavoro nel nostro Paese e la reintroduzione della chiamata diretta, cioè del sistema dello “sponsor” italiano (cittadino, azienda o associazione), che fa da garante per lo straniero extracomunitario, come già previsto dalla legge Turco-Napolitano, in vigore fino al 2002. In entrambi i casi il migrante, aspirante lavoratore, può entrare in Italia anche senza un contratto già stipulato, con alcuni mesi di tempo (fino a un anno) a disposizione per trovarne uno. «Così le persone che arrivano saranno più capaci di far valere i propri diritti e non saranno oggetto di forme di sfruttamento», spiega Pierfrancesco Majorino, responsabile Immigrazione del Pd. Altro punto qualificante è la possibilità di regolarizzazione su base individuale degli stranieri “radicati”, sul modello spagnolo e tedesco: chi può dimostrare di avere un rapporto lavorativo in Italia, ha diritto a fare domanda per sanare la propria posizione e ottenere i documenti. Senza doversi cimentare con la trafila burocratica del decreto flussi, come avviene oggi.Nell’impostazione del Pd, in parte anticipata lo scorso gennaio al seminario sull’immigrazione organizzato al Nazareno, c’è anche l’idea di mutuare sistemi già rodati, come quello canadese o australiano, «ragionando sulle esigenze del sistema produttivo» e spostando il maggior numero di competenze dal ministero dell’Interno a quello del Lavoro: «La polizia ha ben altro da fare e il problema non è di ordine pubblico», aveva sottolineato in quella sede proprio Delrio. Altra esigenza sulla quale ci si era soffermati è quella di semplificare i rinnovi dei permessi di soggiorno affidandola ai Comuni, e non più alle questure, trattandosi di una «questione amministrativa e non di sicurezza».Insomma, da destra a sinistra si confrontano due strategie molto diverse per provare a raggiungere lo stesso obiettivo: meno stranieri irregolari sul territorio italiano e più lavoratori regolari a disposizione nei settori produttivi che ne hanno maggiore bisogno. —