Corriere della Sera, 24 giugno 2024
Intervista a Nick Clegg, ora presidente degli Affari Globali di Meta
«Da europeo, non voglio che i miei figli utilizzino Intelligenze artificiali addestrate su dati della California o dell’Iowa, ma su dati rilevanti per la mia cultura». Nick Clegg, presidente degli Affari Globali di Meta, parte da questo presupposto esponendo la strategia del colosso sull’AI. Britannico, ex vice premier del Regno Unito (dal 2010 al 2015) e tuttora sostenitore dei Liberal Democratici con costanti donazioni in vista del voto del 4 luglio, Clegg è fra i dirigenti più potenti di Meta, dopo Mark Zuckerberg, dall’uscita di Sheryl Sandberg, che era considerata la numero due dell’azienda e di cui ha ereditato parte del ruolo. Ed è – parole sue – «uno degli europei più alti in grado della Silicon Valley».
L’Europa è al centro del suo discorso per due motivi: da una parte, Meta dedica alle startup europee un nuovo programma di accelerazione che dia loro accesso a modelli open source e altre risorse nel campo dell’AI. Dall’altra, ha da poco deciso di sospendere il lancio della sua intelligenza artificiale generativa Meta AI in Europa su sollecitazione dell’autorità irlandese per la protezione della privacy, che agisce per conto degli omologhi nel Vecchio Continente.
Q ual è l’obiettivo dell’AI Startup Program?
«Un po’ di contesto: l’Europa ha un enorme problema. Tutte le grandi aziende di AI sono cinesi e americane. Quasi tutte le prime cento aziende in Europa sono state fondate oltre 40 anni fa: stiamo commercializzando sul passato, non sul futuro. Quello che faremo, presso l’incubatore Station F di Parigi, è mettere a disposizione le nostre tecnologie. In Italia, per esempio, la torinese Aitem usa già il nostro modello linguistico Llama3 per il software che aiuta i veterinari a fare le diagnosi».
Servono Intelligenze artificiali addestrate su dati della cultura del Vecchio Continente
Subito una partnership tra Silicon Valley e industria Ue
Che ritorno vi aspettate?
«Nulla di diretto. Certo, non lo facciamo solo per altruismo: vogliamo che sempre più persone usino Llama, sperimentino e innovino. Come gestiranno attività e prodotti poi dipenderà da loro: è come dare del legno, gratis, a un falegname. Penso sia un modo per creare una vera partnership fra la Silicon Valley e gli imprenditori europei».
L’Europa vi impone anche cautela: per ora non lancerete la vostra AI, addestrata con i dati pubblicati su Facebook e Instagram.
«Abbiamo parlato con i regolatori a febbraio, marzo e aprile. Abbiamo condiviso i nostri piani, soddisfatto le richieste e inviato più di due miliardi di notifiche, dando la possibilità alle persone di escludere i loro dati dall’addestramento (il termine corretto è opt-out: per opporsi bisogna compilare un modulo, altrimenti i dati vengono usati, ndr). Dati che sono già pubblici (testi, foto e video. Sono esclusi scambi e profili privati, ndr). I nostri concorrenti, come OpenAI e Google, stanno già addestrando i loro modelli sui dati pubblici europei (ma non possiedono piattaforme social, ndr). Ed è importante farlo, altrimenti gli europei useranno AI americane e non culturalmente, linguisticamente e geograficamente specifiche per l’Europa».
Introdurrete la richiesta del consenso esplicito?
«Vedremo quello che ci chiederanno i regolatori e agiremo in modo pragmatico».
Avete già usato i dati dei social per addestrare l’AI?
«Sì, ma si è trattato solo di dati pubblici e concessi con regolare licenza».
Come agire con i contenuti protetti da copyright?
«Bisogna partire dalla distinzione tra privato e pubblico: una volta superata la soglia in cui hai reso pubblici i tuoi dati, che sia un articolo o un post sui social media, dobbiamo scegliere come società. E l’Europa deve fare una scelta come continente, tenendo conto del fatto che più dati metti a disposizione, più risultati ottieni in termini di produttività».
Il punto è anche come viene riconosciuto il valore dei contenuti.
«Penso che per gli editori, a lungo termine, sarebbe uno svantaggio escludere i contenuti dall’addestramento dell’AI: non verrebbero digeriti dai sistemi e non verrebbero riflessi nei risultati che le persone ottengono. Ci sarà sempre più bisogno di giornalismo e cura delle notizie, non credo che la strada migliore e più produttiva sia quella della battaglia legale».