Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 24 Lunedì calendario

Intervista a Samuel Mariño, Il soprano che interpreta sia ruoli maschili che femminili

Una voce speciale. Un’anomalia rivelatasi prodigiosa. E se ancora sono una ferita aperta i risolini che suscitava negli altri durante l’adolescenza, oggi quella stessa voce manda in estasi il pubblico e cattura ben 140mila follower su Instagram, un’enormità per un cantante d’opera. Su un problema – il suo problema di ragazzo – il venezuelano Samuel Mariño ha costruito l’identità di adulto e di artista. Canta da soprano, non con voce maschile artefatta, in falsetto, bensì con quella che gli ha donato la natura, rimasta pressappoco come l’aveva da bambino. E spesso in scena si presenta abbigliato da primadonna, magari su zeppe vertiginose. «Sono fluido, ma non c’è da stupirsene in un millennial quale sono», afferma mentre stringe al petto Leia, la sua Cavalier King Charles. Il concerto al Museo del Violino di Cremona per il Monteverdi Festival è la sua seconda volta in Italia, dopo il debutto a Roma, alla Sapienza, lo scorso febbraio. «A Cremona ho interpretato per lo più arie super difficili del repertorio di Farinelli, il più celebre castrato del Settecento, ma pure arie barocche scritte per cantanti donne. Infatti la mia voce mi permette di essere credibile tanto nelle une quanto nelle altre. E, a dire il vero, quelle femminili le prediligo.
Al punto che oso spingermi fino alle fragili figure muliebri del romanticismo».
In rete è possibile sentirla cantare la “Sonnambula” di Bellini.
«Mi immedesimo così tanto nelle fanciulle dei melodrammi poiché punto all’espressività, a esternare tutto quel che sento, e ogni inflessione del mio animo tento di tradurla, per mezzo della voce, in petali di fiore. Perciò anche del repertorio barocco adoro più le parti femminili, emotive, profonde, di quelle concepite per i castrati, che all’epoca incarnavano il macho eroico, fiero, salvatore».
Ma che scrivono i critici quando affronta parti scritte per donne?
«Non li leggo. Quando sto sul palco è la reazione della platea che mi interessa. Perché faccio arte viva, non cose da museo. E comunque so bene che non si può piacere a tutti».
Dunque lei è paladino di un melodramma transgender.
«L’opera esibisce emozioni estreme, tristezza, amore, gioia, comuni a ogni individuo, indipendentemente dal sesso di chi le canta e di chi le ascolta».
È per questo che in concerto indossa anche abiti femminili?
«Gli outfit sfavillanti servono per fare spettacolo. L’opera non è solo canto, va vista, e oggi deve colpire tanto più chi la segue nei video e via social. Per i miei abiti di scena mi ispiro ai look anni 80 di Prince e Michael Jackson, due miti per me».
Cosa ha comportato, in lei ragazzo, avere la voce che ha?
«Un dramma. Tutti mi bullizzavano.
Coetanei maschi e femmine, perfino gli insegnanti delle superiori. E se gli adulti mi deridevano, dai ragazzi ricevevo anche botte. Ancora oggi, che ho trent’anni, mi fa star male ripensare ad allora, alle violenze psichiche e fisiche avvenute per anni, ogni giorno».
I medici che dicevano della voce?
«Che per qualche ragione la muta non era avvenuta appieno.
Suggerivano un’operazione che forse avrebbe rimesso tutto in sesto. Unoconsigliò di dedicarmi all’opera».
Ebbe fiuto.
«Beh, nell’arte mi trovavo già bene.
Suonavo il pianoforte, e per diciotto anni ho studiato danza: fare il ballerino classico sarebbe stato il mio sogno. Mi ci avevano avviato i miei, entrambi professori universitari che, essendo fuori casa per lavoro dall’alba al tramonto, dovevano occupare noi figli in tante attività».
L’opera le evitò la chirurgia?
«Devo la scoperta dell’opera all’ascolto delle registrazioni di Cecilia Bartoli. Mi imbattei in lei che cantava la turbinosa aria ‘Agitata da due venti’ di Vivaldi, una di quelle presenti nel mio recital cremonese.
Una svolta per la mia vita. Da quel momento la gente ha cominciato a guardarmi con occhi diversi: in quanto artista, non avevo più niente di ridicolo».
Diversità e libertà sono i temi che le stanno più a cuore, anche sui social.
«Su Instagram posto la mia quotidianità per far capire che non c’è nulla di sbagliato nell’esser differenti, nel mostrarci per quel che siamo. Bisogna volersi bene. Credo possa aiutare chi, come me, si è sentito a lungo solo, vessato».
Dato che lei abita a Berlino, magari avrà saputo che uno degli europarlamentari eletti in Italia, il generale Vannacci, ha preso una marea di voti denunciando le storture di un “mondo al contrario” in cui, per esempio, si fa passare per normale l’omosessualità.
«Allarmante. Temo, da trentenne che ha l’esistenza davanti, di vivere un futuro infiammato di odio. Nel mio piccolo, dal microcosmo del melodramma cui appartengo, professo l’abbattimento di confini tra nazioni, individui, generi, colori, affinché ciascuno, in un mondo ecosostenibile, possa esprimere se stesso in totale libertà, come capita a me sul palco. Certo non sono Beyoncé né Taylor Swift, ma cerco di dare il mio contributo nella battaglia contro i pregiudizi».