Corriere della Sera, 24 giugno 2024
La crisi dell’Europa
Ok, in Europa la destra è in marcia, i popolari crescono, la sinistra quasi tiene, i liberali vacillano. Probabilmente, però, non sono queste le novità maggiori delle recenti elezioni europee, quelle utili per individuare ciò che cambierà la dinamica politica a Bruxelles e buona parte delle relazioni tra Paesi. Il fatto più rilevante, che darà il segno alla legislatura Ue dei prossimi cinque anni, è il blocco del motore franco-tedesco. Di quel motore che per decenni ha fatto avanzare l’Unione, solidissimo durante la Guerra Fredda e comunque indispensabile anche dopo la caduta del Muro di Berlino.
La sconfitta di Emmanuel Macron in Francia è il fatto più destabilizzante, a maggior ragione se verrà ribadita nelle elezioni per l’Assemblea Nazionale del 30 giugno-7 luglio. Anche il crollo dei tre partiti che sostengono il governo di Olaf Scholz in Germania indica instabilità: partono abbattuti verso mesi di appuntamenti formidabili. Macron non ha numeri e forza per essere un leader della Ue, Scholz nemmeno: a differenza che in passato, sarà per loro difficilissimo esserlo anche assieme, se ci dovessero provare. Una cosa è decidere i vertici di Bruxelles, un’altra indirizzare il futuro della Ue. Il motore Parigi-Berlino in panne lascia l’Europa continentale senza un baricentro e senza una guida: ultimamente, il ruolo delle due capitali non è stato granché ma ora anche la parvenza viene meno.
Ma cron è da sette anni sulla scena internazionale e sin dall’inizio ha cercato un ruolo da protagonista. Rivelando almeno due debolezze formidabili. La prima è che il suo approccio alle vicende nazionali e soprattutto europee, divide. Angela Merkel, che alcuni americani definirono «la leader del mondo libero», nei suoi 16 anni di cancellierato ha fatto errori ma la sua forza e il suo merito sono stati la capacità di tenere unita la Ue nelle maggiori sfide, dalla prima invasione russa dell’Ucraina all’ondata di immigrati siriani e afgani nel 2015. Il presidente francese sembra invece avere una capacità innata di dividere gli europei: quando litiga con Roma, quando vede la Nato a encefalogramma piatto, quando si dice pronto a mandare soldati in Ucraina. Suscita il sospetto di mettere i propri obiettivi francesi davanti a quelli europei e di aspettarsi che gli altri seguano. In Merkel avevano tutti fiducia (magari sbagliando), in Macron c’è sfiducia in molte capitali europee.
La seconda debolezza del presidente francese è che si è mostrato piuttosto flip-flop: un giorno sostiene una cosa, un altro giorno una diversa, spesso contraria. Sulla morte cerebrale della Nato, ha dovuto ricredersi dopo l’attacco di Mosca all’Ucraina. Prima di pensare a stivali francesi in difesa di Kiev, predicava la non umiliazione dell’aggressore Putin. Chiede alla Ue un «aggiornamento» delle politiche europee verso Pechino di fronte a una temuta invasione di prodotti cinesi ma quando incontra Xi Jinping dice che in sostanza la sicurezza di Taiwan non è un affare degli europei. Nonostante il desiderio riformista, nonostante credenziali liberali, nonostante la sua dinamicità, con queste debolezze Macron non ha l’abito per essere il leader dell’Europa. Ancora meno dopo le elezioni in Francia delle prossime settimane, dalle quali è possibile che esca ulteriormente azzoppato, con altri tre anni di presidenza da portare a termine.
N ei decenni scorsi, si è sempre detto che la Germania aveva sull’Europa «un’egemonia riluttante»: destinata a guidare la Ue in quanto centrale in politica, in economia, in geografia ma timorosa nel ricordo della catastrofe dell’ultima volta che l’egemonia l’aveva cercata. Questo timore non ha più ragione di essere: la centralità geografica rimane ma in politica e in economia il Paese è in confusione. Se il governo Scholz resisterà, le prossime elezioni federali si dovranno tenere entro l’ottobre 2025: i tre partiti ora in maggioranza – socialdemocratici, verdi e liberali – sono in caduta libera. I cristianodemocratici sono invece in crescita e così l’estrema destra AfD e i rossobruni di Bsw. I prossimi mesi saranno inusualmente caldi per la politica tedesca con, tra l’altro, elezioni in tre Stati dell’Est dove può vincere AfD. La Spd di Scholz, glorioso partito di massa fondato nel 1863, rischia di ridursi a poco, i verdi di perdere lo slancio degli anni scorsi e i liberali di non avere rappresentanti nel prossimo Bundestag.
In economia, il modello dell’era merkeliana – comprare energia dalla Russia ed esportare e investire in Cina – è finito sugli scogli. La dipendenza dalla Cina sembra quasi impossibile da ridurre: i massicci investimenti dei grandi gruppi non si fermano nonostante i rischi molto aumentati e Scholz continua a guidare delegazioni d’affari a Pechino in cerca di business. La stabilità politica e l’economia erano le basi dell’egemonia (riluttante) tedesca. Il loro flop interno diventa flop europeo.
La crisi di leadership è seria e riguarda l’intera Ue. Il mondo sottosopra e il potente attacco ai Paesi democratici da parte delle autocrazie stanno mettendo in tensione quello che da tempo si dice essere il vaso di coccio Europa. Buona parte dei suoi cittadini sembra non accorgersene, sonnambula nel crepuscolo del tramonto, e il confronto sugli organigrammi dei vertici di Bruxelles non ispira. Una leadership, un sistema di governance politico, nuovi equilibri non si improvvisano ma sono urgenti. Il problema è di tutti, a Roma come a Varsavia e persino a Londra, non solo a Parigi e a Berlino.