Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 21 Martedì calendario

Biografia di Karl-Heinz Schnellinger

Karl-Heinz Schnellinger (1939-2024). Calciatore tedesco. «I telecronisti lo adoravano. Tutto merito di quella zazzera bionda che la riconoscevi anche quando a San Siro c’era ancora la nebbia. Poi, casomai, i problemi cominciavano quando dovevano pronunciare il nome. Un difensore come pochi, il soprannome diceva tutto: Volkswagen. Perché era affidabile proprio come un’auto tedesca, di quelle che magari non filano via veloci ma non ti lasciano mai a piedi. Una carriera cominciata nella sua Germania e subito approdata in Italia. Roma, Mantova e poi Milan, tanto Milan. Tanto da diventare rossonero nel profondo. Erano gli anni di Rivera e di Prati. Di Rocco e di Carraro. E di una Coppa dei Campioni di quelle che si vincono con il gioco. Una lezione ai futuri maestri olandesi del talento Cruijff. Era il 1969. Un anno dopo Schnellinger rischiò di rompere l’idillio con l’Italia che l’aveva adottato, apprezzato e persino amato. Il gol in sforbiciata che rimetteva tutto in pari la semifinale mondiale tra Italia e Germania all’Azteca fu una stilettata al cuore del Paese. Lui si giustificò dicendo che si portò in area per arrivare prima a farsi la doccia e quel pallone se lo trovò addosso... Fatto sta che ci regalò un sogno, un 4-3 che ancora stiamo a raccontarci. Solo che allora non lo sapevamo. Il bello, o il brutto dipende da che parte è il nostro tifo, è che Schnellinger in 222 partite con la maglia del Milan non segnò neanche un gol. In undici stagioni di Serie A del resto finì nel tabellino dei marcatori solo per tre volte. Ma sollevò tanti trofei internazionali, anche una Coppa Intercontinentale e si cucì sul petto scudetti e coccarde. Con la nazionale tedesca ha nel carniere la finale di Wembley del 1966, persa contro gli inglesi. Con lui l’altro “italiano” Helmut Haller. Con lui se ne va un altro alfiere di quel calcio che era capace di dividere ma anche di unire» [Baroni, CdS].