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 2024  maggio 02 Giovedì calendario

Biografia di Carlo Rovelli

Carlo Rovelli, nato a Verona il 3 maggio 1956 (68 anni). Fisico teorico, saggista e divulgatore scientifico italiano, specializzato in fisica teorica.
Titoli di testa «Riusciamo a vedere più lontano soltanto nel momento in cui ci sentiamo ignoranti».
Vita Com’eri a scuola? «Molto rompiscatole. Ribelle. Bravo, in fondo. Ma studiavo quello che pareva a me, invece che quello che mi dicevano. I miei voti di condotta viaggiavano al minimo» [Antonio Gnoli, Rep] • Ma da piccolo che cosa sognava di fare? «Non so, probabilmente sognavo di essere come Gengis Khan, l’Imperatore del mondo... Sa, sono figlio unico. Comunque da adolescente ricordo bene che la scienza non era per niente nei miei pensieri» [a Eleonora Barbieri, iornale] • Accennando alla tua adolescenza racconti della noia che provavi davanti alla fisica classica. «Cominciai a studiare fisica per capire come è fatto il mondo. Il libro di Dirac – I principi della meccanica quantistica – è splendido, perché è limpidissimo nel descrivere la struttura matematica della teoria; non si perde in chiacchiere, ma l’immagine che dà del mondo, l’immagine quantistica del mondo, è di un’astrattezza allucinante. Eppure funziona. Che significa? È un libro che ha spalancato su di me numerose domande» [Gnoli, cit.] • «Ho sempre letto tantissimo. I libri che più mi hanno segnato non sono libri di scienza. Sono I fratelli Karamazov, l’Odissea, l’Etica di Spinoza. Come vedi, i grandi classici. Penso che tutte le idee che abbiamo dentro di noi provengano dalle nostre letture, ma soprattutto da quelle dimenticate» [Gnoli, cit.] • Quale ambiente familiare ti ha formato? «La media borghesia di provincia degli anni del boom economico. Sono nato a Verona, una città chiusa verso gli stranieri. E i miei genitori erano “stranieri” perché venivano dalle Marche e dal Piemonte. Non che Verona mi abbia trattato male, anzi, ma non mi ha mai fatto sentire “uno di loro”. Fin da piccolo. Ho avuto qualche splendido amico che mi ha accettato sempre e comunque, ma rispetto all’ambiente mi sono sempre sentito diverso». Come hai vissuto questa diversità? «È stata la mia fortuna. Mia madre era una donna di straordinaria intelligenza, passionale e tormentata, una combinazione letale. Mio padre era anch’egli un uomo acuto, ma riservato, dolce, affidabile, rasserenante e attento. È stato un padre straordinario. Né l’uno né l’altra erano intellettuali, ma avevano riempito la casa di libri, avevano un rispetto quasi devoto, un po’ tedesco, per la cultura. Io sono sempre stato un ribelle, ma in realtà ho assorbito tantissimo dei loro valori profondi. Non tutti, a dire il vero» [Gnoli, cit.] • «A quattordici anni sono andato a passare qualche mese in una famiglia francese a Nîmes. A diciotto, con la prima fidanzata, abbiamo fatto un lungo giro per la Francia su una minuscola Fiat 126 verde chiaro, dormendo in auto o in una tendina, cibandoci di baguettes, Caprice des Dieux e pomodori, generalmente presi senza pagare nei supermercati, e procurandoci benzina con un tubo, di notte, dalle auto di grossa cilindrata posteggiate all’aperto (ho cominciato solo più tardi ad apprezzare il valore della legalità). A Saint Tropez la mia ragazza si è coraggiosamente messa in topless sulla spiaggia: allora da noi in Italia era impensabile, qui era normale. A Monte Carlo abbiamo cercato di entrare al Casinò, ma siamo stati buttati fuori, non so se perché fossimo troppo piccoli o troppo evidentemente senza denari» [Giovanni Collot e Baptiste Roger-Lacan, Legrandcontinent. eu] • Scrive con Enrico Palandri, Claudio Piersanti, Maurizio Torrealta Bologna, marzo 1977.. .fatti nostri... un libro sui movimenti studenteschi: «La polizia ha fatto di tutto per impedire la pubblicazione del libro e ci ha incriminato per ogni sorta di reati: vilipendio, associazione sovversiva, apologia di reato...I giudici, come sempre più ragionevoli, hanno chiuso tutto senza conseguenze» [a Rossella Grasso, Rep] • «Appartengo a quella generazione un po’ ribelle che voleva rifiutare tutto e cambiare il mondo: ero più attratto dalla rivoluzione che dalla scienza. Ero un po’ hippie». È vero che fu anche arrestato? «Sì sì. È che avevo fatto domanda per l’obiezione di coscienza, ma mi era stata rifiutata. Così, quando ho ricevuto la cartolina per presentarmi in caserma, con degli amici organizzai una manifestazione e mi consegnai come disertore». E poi? «E poi niente, alla fine ci hanno lasciato liberi e dopo un po’ di tempo mi è arrivato il foglio di congedo» [Barbieri, cit.] • Come mai si è iscritto a fisica? «Alla fine del liceo classico avrei voluto fare il vagabondo, girare il mondo. Ma fra la questione del militare e poi qualche foglia di marijuana che mi trovarono in tasca, non potevo partire. Così mi iscrissi all’università a Bologna e scelsi fisica: un po’ a caso, insomma» [Barbieri, cit.] • «Il primo anno di università non feci niente, poi passai un altro anno a viaggiare col sacco a pelo, tutto il Canada coast to coast, e alla fine nel ’78, quando tornai, capii che l’idea di cambiare il mondo si scontrava un po’ con la realtà. Proprio in quel momento studiavo la fisica del Novecento e lì è successo: mi sono innamorato». Così, all’improvviso? «Sì, è stato un colpo di fulmine. Il libro racconta la fisica con gli occhi di me studente, quando me ne innamorai. Volevo capirla, studiarla: mi sono immerso. E ho trovato un problema che mi sembrava interessante, la gravità quantistica, di cui poi mi sono occupato per tutta la vita» [Barbieri, cit.] • In una foto ti si vede con i capelli lunghi seduto accanto ad Allen Ginsberg. Sembra quasi che cantiate. «Ma no, sono stonato come una campana rotta. I capelli lunghi li ho portati fino a quarant’anni. Mi sembravano una piccolissima dichiarazione di irriducibilità. Un bel giorno mi sono guardato allo specchio e non mi piacevo più. E li ho fatti tagliare corti. Comunque, per la precisione con Ginsberg non cantavo, salmodiavo “Ohm”». Ti piacevano i poeti della Beat Generation? «Mi affascinavano da ragazzo, perché esprimevano un’immensa libertà […]». Sostieni che il mondo dei quanti è così pieno di stranezze da aver attratto la cultura hippie. In che senso? «È stata una frangia marginale, in California. Ma curiosamente ha avuto un’influenza nella discussione sulla meccanica quantistica. Qualche anno fa uscì un libro, Come gli hippies hanno salvato la fisica, che traccia la storia di un gruppo molto alternativo che negli anni Sessanta ha fatto ripartire la discussione sulla fisica quantistica, quando questa si era arenata» [Gnoli, cit.] • Come è riuscito a fare carriera accademica? «Mi sono dato sei anni di tempo. Ho ottenuto una borsa di dottorato a Trento e Padova, era il primo ciclo attivato: sono stato uno dei primi “dottori” di ricerca del nostro Paese». E come è arrivato a insegnare negli Stati Uniti? «Per qualche anno ho viaggiato, un po’ a mie spese e un po’ con borse private, per andare a trovare i colleghi a Londra e in America; poi ho scritto i primi lavori, che sono stati notati. E nell’89 ho ricevuto un’offerta per fare il professore a Pittsburgh. Sono rimasto dal 1990 al 2000». Si è trovato bene? «Molto. A Pittsburgh ci sono i filosofi della scienza migliori d’America. Poi, però, dopo dieci anni, avevo voglia di tornare in Europa. Mi hanno proposto Marsiglia e sono arrivato nel 2000: bellissima, il mare, il cielo blu, la luce, le scogliere... Ho letto Izzo appena arrivato e me ne sono innamorato ancora di più». Italia niente? «Per la verità avevo vinto un concorso, come professore ordinario. E mi aveva chiamato il dipartimento di Fisica a Roma. Però il direttore del dipartimento ha insabbiato tutto, e quindi non se n’è fatto niente». In che senso ha insabbiato tutto? «Beh, a un certo punto mi ha chiesto: “Ti spiace se aspettiamo un altro anno?” e io: “No”. E poi ne è passato un altro, e un altro... alla fine ne sono trascorsi dieci». E non ha fatto niente? «Io non è che insisto, non vado in un posto se non mi vogliono. Certo, mi sarebbe piaciuto insegnare alla Sapienza, portare all’Italia quello che ho fatto. Ma a Marsiglia sto bene, c’è un gruppo di venti ragazzi che lavora con me» […]. Di che cosa ha bisogno uno che studia la gravità quantistica? «Di niente. Gessetti, una lavagna, dei quaderni. È un lavoro completamente teorico: bisogna conoscere le teorie attuali, leggere, provare a fare dei conti e vedere se poi le equazioni possono funzionare». Non serve altro? «Viaggiare per parlare con le persone che lavorano sulle stesse questioni: sono appena tornato da Pechino, prima ero in California. Questo è il mio costo. E un gruppo che lavora con me». Quante ore lavora al giorno? «Ventisei. Mi diverto tantissimo quando faccio fisica: se ho una domenica libera sono felice perché posso stare in casa, prendere un quaderno e fare i conti». Non serve un laboratorio? «No. Scrivi teorie ed equazioni e poi chi fa gli esperimenti dovrebbe verificarle. Per esempio, ora stiamo studiando l’ipotesi di una esplosione di buchi neri, una specie di “rimbalzo” della materia chiusa nel buco nero. Ci dovrebbero essere certi segnali: se gli astronomi li rilevano vuol dire che la teoria è giusta» [Barbieri, cit.] • Scrive Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio? (2004), Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (2011), La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (2014). Il successo però arriva con Sette brevi lezioni di fisica pubblicato con Adelphi nel 2014. In sole 85 pagine spiega cosa siano relatività, quantistica, universo, particelle elementari, termodinamica, buchi neri e... oltre! Il libro è stato tradotto in 24 lingue e per mesi è stato in cima alle classifiche dei libri più venduti. Sul podio, accanto al libro di Rovelli c’erano opere di autori quali Umberto Eco, Dario Fo e Michel Houellebecq. Secondo lei a cosa è dovuto il successo del suo libro Sette brevi lezioni di fisica? «Gli Italiani hanno curiosità per la scienza. La nostra scuola e la nostra televisione, a differenza degli altri paesi sia ricchi che poveri, non offre molta scienza. Forse anche qualcos’altro: sentire parlare un punto di vista lontano dal cattolicesimo dominante ma che lascia tutto lo spazio alle emozioni e alla meraviglia». Cosa ne pensano i suoi colleghi del libro? «Sono molto contenti che si parli di scienza, e in termini positivi» [a Rossella Grasso, cit.] • Nel 2017 arriva L’ordine del tempo. Sorpreso dal successo? «Pensi che all’inizio, con il primo libro, eravamo partiti con l’idea di stampare tre o cinquemila copie. Un successo simile non me lo aspettavo nella maniera più assoluta; non era neanche ipotizzabile». Ora, un libro sul tempo. Perché? «Non volevo fare una operazione commerciale. Tutti mi dicevano: fai qualcosa di simile alle Sette brevi lezioni e venderai altrettante copie, ma a me non andava. Il mio mestiere non è scrivere, ma fare ricerca scientifica; così mi sono detto: faccio una cosa più seria, più alta. E ne ho approfittato per parlare dell’argomento che a me sta più a cuore, il tempo». Un libro più complesso del precedente, ma sempre molto divulgativo. Ci sono persino grafici con dei puffi. Temeva che il lettore si annoiasse? (Ride) «No i puffi mi sono sempre stati simpatici, sin da ragazzo, quando ero in campagna con gli amici mi sembrava di stare in una comunità di questi personaggi immaginari. E anche quando guardo la gente, mi sembrano tutti dei puffi...» [a Riccardo De Palo, Mess] • Nel 2020 pubblica Helgoland. Hai dato un titolo al tuo libro, edito da Adelphi, abbastanza singolare. «L’ho chiamato Helgoland, che è un’isola del Mare del Nord. Un luogo battuto dal vento, raccontato da Goethe, che scrisse che su quell’isola poteva sperimentarsi lo spirito del mondo […]». Lì dunque nacque la fisica quantistica? «Lì fu messa a punto una grande intuizione. Poi però la teoria dei quanti fu arricchita e in un certo senso completata da quattro fisici: oltre a Heisenberg, Pascual Jordan, Paul Dirac e Bohr. I primi tre erano ventenni. L’unico adulto era Born, quarantenne. All’inizio la chiamavano la knabenphisyk, la fisica dei ragazzi. Non credo sia un caso: ci vuole lo sfrenato coraggio dei vent’anni per avere la forza di ripensare tutto in modo così radicale» [Gnoli, cit.] • Nel 2023 sale sul palco del primo maggio. Premette di non voler prodigarsi in una lezione di scienza per parlare di un argomento decisamente più leggero: il più grave conflitto europeo dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il fisico ne ha avute per tutti: ha attaccato, senza nominarlo, il ministro della Difesa Guido Crosetto, dandogli pure del piazzista per i suoi trascorsi professionali nel settore dei produttori di armamenti; ha puntato il dito contro le spese militari, il commercio di armi e la costruzione di strumenti di morte «per ammazzarci l’un l’altro». Era consapevole della possibilità che il suo intervento al Primo Maggio sollevasse un polverone? «Ho detto quello che pensavo. Molti hanno apprezzato. Qualcuno no. È normale, in un Paese democratico». Possibile che la colpa sia sempre della gente che non capisce? «Non c’è nessuna colpa. Penso piuttosto che possa esistere un sano dibattito civile su cosa fare. Penso che la maggioranza degli italiani non vogliano essere coinvolti in nuove guerre e nuove provocazioni. Cosa ci vanno a fare le nostre portaerei nel mare della Cina, se non a provocare? Non siamo i padroni del mondo, dobbiamo convivere con il mondo. Io non ho visto molte portaerei cinesi davanti a Chioggia. La stampa italiana ha riportato che questa missione ha anche lo scopo di mostrare ai vari Paesi i prodotti militari italiani che potrebbero comprare: a me sembra scandaloso che la nostra Difesa, guidata da una persona così vicina alle industrie belliche, si occupi di fare il piazzista di armi, invece di occuparsi della difesa dell’Italia dalla guerra». Si aspettava la «precisazione» da parte della conduttrice del Concerto del Primo Maggio? «Sì. Immagino che gli organizzatori abbiano avuto timore di essere rimproverati dal governo». Risponderà all’invito a pranzo del ministro Crosetto? «Ho apprezzato la cortesia e la signorilità con cui il ministro ha risposto alle mie critiche. Ma non si tratta di una questione fra me e lui. Si tratta di un problema politico che vorrei discutesse il Paese, non lui ed io a cena. Poi ovviamente per me sarà un piacere incontrarlo, se lo desidera» [ad Antonello Caporale, Fatto] • Polemiche perché dopo il discorso al primo maggio gli è stato revocato l’invito a rappresentare l’Italia alla Fiera del libro di Francoforte. «Siccome ho osato criticare il ministro della Difesa, il mio intervento è stato cancellato» • Nel 2023 pubblica Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte. Non è solo un viaggio vertiginoso là dove persino Einstein, la nostra guida sicura, pare abbandonarci, ma è allo stesso tempo una peregrinazione intima lungo una via tracciata dall’amore della ricerca. Qual è il valore che l’argomento del libro riveste per lei? «Sì, esatto. Non si tratta tanto di un libro di divulgazione scientifica, quanto di un racconto del viaggio che è la ricerca scientifica teorica. Per questo è un libro che sento particolarmente vicino. Racconto come nascono le idee, le emozioni, i dubbi, la gioia della ricerca…» [Delvecchio, Sole] • «Vorrei dire ai giornalisti di essere un po’ più cauti. Non è vero che, ogni volta che c’è una scoperta scientifica, questa debba per forza cambiare le nostre esistenze» [De Palo, cit.] • Contrario alla guerra in Ucraina e in Medio Oriente: «Perché non li facciamo finire, questi conflitti? Basterebbe lasciare che gli abitanti delle zone occupate dalla Russia votassero sotto un controllo internazionale con chi vogliono stare, o i Paesi dell’Onu imponessero a Palestina e Israele gli accordi di Oslo. A parte gli Usa, sarebbero d’accordo tutti. Sono stati ragionevoli i Kennedy e Krusciov a evitare la guerra, Mandela e i bianchi sudafricani a evitare il massacro, gli Irlandesi e gli Inglesi con l’accordo del Good Friday… e tanti altri. Vincere per la reputazione? E ci massacriamo» [ad Antonello Caporale, Fatto] • Difende gli studenti che protestano contro la guerra in Palestina: «Brandire la clava dell’accusa di antisemitismo contro dei giovani generosi che si indignano per 30 mila morti e per la situazione disperata di milioni di esseri umani non è combattere l’antisemitismo: è alimentarlo» […]. Quindi è giusto interrompere i rapporti con gli istituti israeliani? «Non lo metterei nei termini di “giusto o sbagliato”, penso sia opportuno. Un’azione di pressione su Israele potrebbe essere ragionevole». Vede un rischio antisemitismo? «Leggere tutto, incluse le proteste, in chiave di razze o religioni, questo è razzismo, e questo alimenta l’antisemitismo. Quello che è male, come massacrare esseri umani, è male indipendentemente dalla religione di chi prende queste decisioni. Chi protesta per Gaza non ha nulla contro gli ebrei: molti adorano Noam Chomsky e Bob Dylan» [a Serena Riformato, Sta] • Come giudica la destra al potere in Italia? «È come chiedermi come giudico il fatto che oggi piove invece che esserci il Sole» [ad Antonello Caporale, Fatto] • «Non mi piace Trump. Biden ancora meno. Fa l’amico dei neri, ma tiene stretto il potere nelle mani di pochi bianchi. Ha spinto più guerre lui che tutti i repubblicani. È inevitabile, per l’evoluzione economica globale, che l’America debba accettare di non essere più padrone indiscusso. Non mi pare Biden abbia flessibilità e lungimiranza per gestire questo passaggio delicato» [ibid.] • È filorusso? «Detesto la politica del governo russo e di Putin. Penso sia una delle peggiori al mondo. È all’opposto dei miei valori politici. Non sono filorusso». Esiste una possibile via tra pacifismo e arrendevolezza rispetto alla Russia? «Le guerre si protraggono a lungo perché nessuno vuole essere “arrendevole”. È la logica del gorilla. Sediamoci attorno a un tavolo e cerchiamo un punto di equilibrio senza ammazzarci». [a Marco Imarisio, Cds].
Religione Lei crede in Dio? «No, non credo in Dio. O meglio, non ho mai capito cosa significhi credere in Dio. Quando lo chiedo a chi mi dice di credere in Dio (lo faccio spesso), ricevo le risposte più varie e strampalate. Non ce n’è una che abbia uno straccio di senso per me, eccetto quella di una suora e di una amica d’infanzia che mi dicevano ma io lo sperimento tutti i giorni, è in me, che capisco perfettamente, e condivido: anch’io parlo con gli alberi, e per me è importante. Sì, certo, che l’uomo vuole tutelare l’invisibile con un inno: è un altro modo, per usare le sue parole di poco sopra, di non di spiegare il mondo, ma di piegarlo, perfino di ammazzarlo. Ma l’uomo è complesso» [a Davide Brullo, Giornale].
Curiosità Adora il mare. Ha un gozzo di cent’anni. Quando può cammina in montagna.
Titoli di coda Non ama la letteratura contemporanea: «Mi annoia, descrive sempre lo squallore della vita quotidiana e io invece la trovo bella».