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 2024  maggio 04 Sabato calendario

Biografia di Teresa Ciabatti

Teresa Ciabatti, nata a Orbetello (Grosseto) il 5 maggio 1972 (52 anni). Scrittrice. Sceneggiatrice.
Titoli di testa «Non sopporto quello che dico: è come quando uno si riascolta la voce, no?» [ad Arnaldo Greco, Linkiesta]
Vita «Papà chirurgo, madre anestesista. Vita di provincia. Anni Ottanta. Giorni felici in cui il mio universo è la Maremma: sono io la più ricca, la più bella. […] Come poi la madonna sia precipitata, caracollata, stramazzata a terra, è un’altra storia. I giorni dei sedici anni, il trasferimento a Roma, quartiere Parioli, addio Maremma. I giorni dei sedici anni in cui la verità mi piomba addosso. Inclemente, barbara, nemica. […] Qui, nei giorni dei sedici anni, io mi chiamo Teresa Ciabatti, e sono povera. Qui, nelle aule del liceo Mameli, tra figli di politici, dirigenti d’azienda e principi, io sono nessuno. Non esisto». «Teresa “la principessa” arriva ai Parioli a 16 anni. […] “Ad Orbetello pensavo di essere arrivata al più alto gradino della scala sociale e qui invece ero la paesana presa per il culo, lo zimbello della scuola, emarginata. Co ‘sto cognome… Ciabatti. Capirai!”. […] “Avevo carattere. Non la bellezza, ero grassa. Quelle altre invece, tutte fichissime, alte, bionde”. […] “Cercavo un’identità. Ho finto anche di essere morta; con la complicità di una mia amica ascoltavo al telefono le reazioni dei compagni di classe. L’80 per cento scoppiò a piangere, i nobilastri invece rimasero freddissimi, nessuna lacrima. Insomma, assistetti al mio funerale”. Teresa nella sua Roma in quegli anni era “un’arrampicatrice sociale. Il mio sogno era sposare un principe. La mia ambizione? Arrivare. Ma l’unico momento in cui raccattavo amicizie era d’estate: la nostra casa con la piscina a Santo Stefano. Perché nessuno l’aveva così, e dicevano ‘Ma chi cazzo è questa?’”» [Leonardo Jattarelli, Mess] • «Quando eravamo ragazzi c’erano degli amici che ogni tanto mi dimenticavano nei posti. Andavamo in estate a Porto Ercole e, quando dovevamo ripartire, se ne andavano perché non si ricordavano che in macchina c’ero anch’io. È successo almeno 3 volte. È stato questo a permettermi di diventare una scrittrice» [Marco Manca,Vanity] • «“Prima Giurisprudenza alla Sapienza. Il primo giorno m’è preso un colpo. La folla. Poi mi iscrivo a Lettere, seguo le lezioni di Asor Rosa, dopo un quarto d’ora mi alzo e me ne vado pensando ‘io non capirò mai niente’. Poi passo a indirizzo Spettacolo, quella cacata lì, imparavo tutto a memoria, tutti 30 ma tutte stronzate”. La nuova meta di Teresa diventa il mondo degli intellettuali: “Ci eravamo trasferiti qui in questa casa dietro il Pantheon. Frequentavo scrittori, giornalisti e passavo per una cretina totale perché ero davvero un’ignorante, una capra. La pariolina deficiente che faceva shopping, secondo loro”. La passione per la scrittura? “Pura voglia di competizione. Quelli erano andati tutti al Visconti e quindi iniziai a leggere, una bulimica dei libri. Mi appassiono e scopro Dickens, Grandi speranze, la bambina Estella di cui si innamora il protagonista. È bellissima e le insegnano ad odiare gli uomini, così diventa una belva. Avrei voluto essere come lei, è diventata il mio archetipo letterario”. Più tardi Teresa si formerà su Gioventù cannibale, Ammaniti, per poi andare a ritroso, Moravia, Pasolini: “Una ricerca a casaccio. Mia madre m’ha sempre rotto le palle con Calvino e quindi lo odiavo, e i russi e i francesi li ho letti verso i 25 anni. Proust a 30”. Quindi Teresa perché scrive? “Perché sono sempre stata una grande bugiarda. M’inventavo mondi per riempire quello che non tornava nella mia vita, e per me questa è stata la salvezza. Potevo avere un rapporto più sano col resto. Insomma, un’esistenza parallela”» [Jattarelli, cit.] • «Mi sono messa a scrivere in maniera irresponsabile. Non ero pronta. […] Scrissi Adelmo, torna da me in totale incoscienza. Sul Corriere della Sera, Paolo Di Stefano lo stroncò ferocemente. Fu spietato. Non usò alcun riguardo. E mi salvò. Senza quegli schiaffi, avrei continuato a scrivere cazzatine. Invece, mi misi finalmente a studiare: Dickens, Joyce Carol Oates, Calvino, Elsa Morante, Natalia Ginzburg. […] La più amata è un romanzo nato da un tormento. Mio padre era un medico, un massone, un fascista, membro della P2 di Licio Gelli, di cui era amico. Un giorno, nella nostra villa all’Argentario, lo rapirono. Ci dissero: “Balordi del posto”. Ci credetti, senza farmi alcuna domanda, fino a quando mio padre e mia madre non morirono. Poi, diventò un’ossessione. Dovevo sapere cosa era successo. Chi era mio padre. Se aveva ucciso. Chi aveva ucciso. Perché. Smisi di parlare con mio fratello. Allontanai amici. Non pensavo ad altro. L’unica cosa che m’interessava era la verità» [a Nicola Mirenzi, Huffington] • «La più amata, in fondo, è un finto memoir, perché c’è una scelta e una manipolazione narrativa del senso degli accadimenti: c’è molto, in termini di invenzione e narrazione. […] Ho cominciato cercando di capire chi è stato mio padre, e questa è diventata la mia ossessione nella vita. Il mio presente sembrava legato a quelle risposte, e di sicuro scrivendo il libro mi sono liberata. A un certo punto la risposta su mio padre non m’interessava più, perché la domanda era diventata “Chi è Teresa Ciabatti?”. E la risposta alla fine arriva: è nessuno, una donna qualunque, senza nessun privilegio». «Non si tratta di un’autobiografia in senso classico, in cui il narratore, quando inizia il suo racconto, è diverso dal personaggio protagonista (il sé stesso bambino o giovane), il quale poi si sviluppa, cresce, e alla fine del percorso diventa e coincide con chi scrive, adulto o vecchio. Non è così. […] Non c’è sviluppo, non c’è evoluzione, come non esiste distanza. La narratrice e la protagonista coincidono fin dal principio» [Simone Giusti, la ricerca] • Il romanzo, pubblicato da Mondadori nel febbraio 2017 e divenuto immediatamente un caso editoriale, venne candidato al Premio Strega, e per mesi fu considerato il quasi sicuro vincitore: la sera della finale si attestò invece secondo, con 119 voti, dietro Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi), destinatario di 208 voti. «Non posso dire di averla presa bene. Ma non ho sofferto: avevo immaginato quel momento di premiazione talmente tante volte che in qualche modo era come se lo avessi già vissuto davvero. A disturbarmi sono state le polemiche, le critiche personali. A un certo punto mi hanno detto che circolava addirittura una petizione, una raccolta di firme per far ritirare il mio libro dalla candidatura allo Strega. E poi lettere di insulti personali. Qualcuno mi ha bollata come viziata, capricciosa. Qualcun altro, invece, ha pensato che il mio libro non potesse vincere perché la donna che emerge dal romanzo non è un modello edificante. È questo che mi fa più tristezza: il fatto che ci sia un establishment letterario ancora legato a un vuoto moralismo. Io penso che il dovere della letteratura oggi sia un altro: penso che ormai non abbia più né forza né sostanza un racconto del male dal quale l’autore prende le distanze. Per essere vero, il male va raccontato da dentro. Questo è ciò che ho cerato di fare con La più amata. Assumendomi la responsabilità di essere me stessa: politicamente scorretta, ma vera» [ad Antonio Carnevale, Panorama] • Non ama la natura. «Quando vado in campagna mi chiudo in casa. Odio persino i cerbiatti: di notte gridano in modo osceno. Un mio editor, anni fa, mi disse che avrei dovuto inserire qualche paesaggio nei miei libri. E allora mi misi a studiare, creai un file con le migliori descrizioni di paesaggi che trovavo nei libri che leggevo, per poi disporne. Ne La più amata ne ho copiaincollata una di Starnone. Gliel’ho raccontato l’anno scorso. Mi ha promesso che per il mio compleanno me ne scriverà una originale, solo per me, così potrò metterla in un mio libro senza che sia un plagio. E meno male che non sono tradotta all’estero: qualcuno potrebbe accorgersi che i cieli e i venti li ho presi tutti da Oates» [a Simonetta Sciandivasci, Foglio] • Prima de La più amata, «ho firmato delle sceneggiature orrende e pubblicato romanzi che non hanno venduto niente. La critica o mi ha distrutta o mi ha ignorata». Tra i romanzi precedenti, oltre ad Adelmo torna da me (Einaudi 2002), Il mio paradiso è deserto (Rizzoli 2013) e Tuttissanti (Il Saggiatore 2013); tra le sceneggiature, quelle per Tre metri sopra il cielo di Luca Lucini (2004) e Ho voglia di te di Luis Prieto (2007), ispirate agli omonimi libri di Federico Moccia, e L’estate del mio primo bacio di Carlo Virzì (2006), ispirata ad Adelmo torna da me. Teresa Ciabatti inoltre collabora da tempo con alcuni giornali e riviste, tra cui il Corriere della Sera, Io donna, Diario e Nuovi Argomenti • Nel 2018 esce Matrigna. Quanto ci hai messo a scriverlo? «Otto mesi. C’è una tipologia di persone, di cui io faccio parte, a cui il fallimento fa benissimo, funziona da spinta» • «Da ragazzina il mio sogno da mitomane era di sparire, essere Emanuela Orlandi, Cesare Casella. Ero giovane, non contemplavo la possibilità della morte: quindi era previsto un ritorno. E tornavo, e tutti tornavano con me: ricompariva Emanuela Orlandi, Alfredino usciva dal pozzo, e io fantasticavo tutti quei ritorni, vivendoli al posto loro. Forse questo libro rappresenta una fase un po’ più matura della fantasia di ritorno» [a Chiara Mazzoleni, Rivista Studio] • Nel 2021 Sembrava bellezza per Mondadori. Il titolo è suo, «mi è venuto subito, è la prima volta che succede. Volevo che evocasse qualcosa di perduto, che sarebbe impossibile trattenere». È un romanzo sulle metamorfosi dell’età, sul deflagrare violento della giovinezza, sui ruoli che si rovesciano. La bella della scuola, Livia, reginetta di un liceo dei Parioli negli Anni Ottanta, desiderata e invidiata, si trasforma in una reietta proprio perché rimane imprigionata in una giovinezza perenne; mentre la protagonista, l’invidiosa, diventa una scrittrice di successo, e si ritrova, senza accorgersene, sulla soglia della mezza età [Ilaria Gaspari, Sette] • Allo Strega è settima: «All’inizio rimasi molto male, mi sono fatta pure un pianterello. Poi mi sono ripresa. La sconfitta precedente, quella contro Paolo Cognetti, era stata più dura, per giorni, anzi mesi, mi ero disperata. Sentivo ostilità intorno a me e mi faceva stare male. Avevo la sensazione di essere stata fraintesa, che ne fossi uscita risultando antipatica. Per stare bene ho bisogno di sentirmi amata» [a Raffaella De Santis, Rep] • Aldo Cazzullo risponde ai lettori che non si capacitano dell’esclusione della Ciabatti: «Cari lettori, il motivo per cui Teresa Ciabatti è stata esclusa dalla cinquina dei finalisti dello Strega è molto semplice: perché sta sulle scatole a un sacco di gente. Bastava sentire come la notizia veniva prima sussurrata e poi commentata negli ambienti editoriali e giornalistici romani. Non voglio impancarmi a critico letterario (anche se di critici letterari onesti e coraggiosi, a parte il nostro Antonio D’Orrico, non se ne vedono molti. Vedo e leggo invece molti che esercitano l’arte dell’insulto autopromozionale, che è un’altra cosa). Però insomma noi umili lettori più o meno sappiamo riconoscere quando una persona sa scrivere; e Teresa Ciabatti sa scrivere» • «Nel mestiere di scrittore sei destinato continuamente all’insuccesso e al fallimento. Ti può andare bene un libro, come è successo a me, ma è stato un momento effimero, sono durata una stagione. In questo libro ho dato alla protagonista proprio quel mio successo breve, perché ho avuto tre mesi in cui mi cercavano e mi volevano tutti, tre mesi e dopo niente» [Greco, cit.] • Ma come, un’irregolare disfunzionale come lei va a letto presto? «Mi sveglio alle sette tutti i giorni. Scrivo, pranzo, faccio un pisolino, mi rimetto alla scrivania, alle sette stacco, ceno, guardo la tv con mia figlia, m’addormento quasi subito. Non esco mai. Quando le mie amiche vengono a trovarmi, s’accordano con mio marito, non con me. Dormire è bellissimo, che male c’è?». Ester Viola, come lei grande dormitrice, dice che niente è più grossier di dormire otto ore di fila. Si salvi, mi dica che ha almeno un disturbo del sonno, un’insonnia psicosomatica. «Ho avuto incubi mostruosi per buona parte della mia vita. Ogni notte sognavo di morire. Cadeva il mio aereo e mi ritrovavo sott’acqua, vedevo i pesci, capivo che sarei annegata. Poi ho scoperto il rivotril, quindici anni fa, e ho trovato la pace. Adesso sogno di fare la valigia e, quando proprio sono agitata, di dimenticare di prendere un golfino». A occhi aperti cosa sogna? «Tutto. Nella mia fantasia ho fatto e visto tutto, vinto premi, conquistato vette. La fantasia vale da esperienza, per questo non ho bisogno di vivere chissà come, uscire, far festa, andare all’avventura. Invento vite parallele e, inventandole, le vivo. Quando la realtà non mi dà ciò che vorrei, in fondo, non sono delusa: vado a prendermelo con la mia immaginazione» [a Sciadivasci, cit.] • A casa guarda Uomini e donne, Un posto al sole e Caduta libera. A visto anche il reality dei Ferragnez [De Santis, cit.] • Non fa il bagno al mare da trent’anni. «Sono guardinga più che pessimista, non riesco a essere felice».
Amori Sposata con lo sceneggiatore Antonio Leotti, una figlia adolescente di nome Agata. «Ho voluto tantissimo questa bambina e me l’ero immaginata in un mondo rosa, quasi una proiezione di quello che ero stata io. Le avevo preparato una magnifica casa delle bambole che lei non ha mai neanche sfiorato, perché mia figlia è dark, completamente diversa da come la immaginavo. La maternità per me è iniziata quando ho preso coscienza che questo essere umano non ero io, e nemmeno la mia bambina ideale» • Con sua figlia Agata come va? “Ci amiamo moltissimo. E litighiamo furiosamente. Faccio tutte le cose che una madre non dovrebbe fare. Non sono in grado di dirle dei no, di darle delle regole, dei limiti: a quello pensa la sua tata, Svetlana, che forse è anche la tata di tutti noi. Tutti in casa le obbediamo. Mia figlia ha persino imparato il moldavo, la sua lingua. È a lei, non a me, che chiede il permesso di fare le cose. Io, tuttalpiù, la copro quando fa una cazzata. Sono sotto lo scacco di Svetlana anche io, e pensare che l’assunsi perché era molto sovrappeso: essendolo anche io, pensai che non avrebbe mai messo becco sul cibo, sulla mia forma, che non mi avrebbe rotto le palle sulla dieta. Invece, quando cominciò a lavorare per me, dimagrì. Ora lei e mia figlia mi dicono che mangio troppo, mi nascondono il cibo, mi insultano». Come ha conosciuto suo marito? «Era il mio insegnante di sceneggiatura alla scuola Holden. Mi innamorai immediatamente di lui, che però mi respinse. Fece bene: ero inconsistente. Dieci anni dopo lo rincontrai, insistetti, ci sposammo» [Sciandivasci, cit.] • Suo marito non le ha comprato l’anello di fidanzamento? «Ma tanto non me lo sarei messo. Mi ha fatto, però, il frigorifero nuovo, molto bello» [Manca, cit.].
Titoli di coda «Si crede che la letteratura (soprattutto femminile) debba dare risposte. E anche sagge. Io risposte non ne ho da dare. Io faccio solo domande che restano senza risposte. Ci può essere una scrittrice cretina?» (ad Antonio D’Orrico).