7 maggio 2024
Tags : Denis Verdini
Biografia di Denis Verdini
Denis Verdini, nato a Fivizzano (Massa Carrara), l’8 maggio 1951 (73 anni). Politico. Imprenditore Senatore nella XVII legislatura (2013-2018), eletto con il Pdl (poi Fi), nel luglio 2015 fondò il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare – Autonomie). Già coordinatore nazionale di Forza Italia («agli occhi del presidente la figura perfetta» per traghettare il partito nel Pdl). Eletto alla Camera nel 2001, 2006, 2008 (Fi, Pdl) • Già presidente del Credito cooperativo fiorentino (fino al 2010) e socio del Foglio (fino al 2015) • Condannato in via definitiva a 6 anni per bancarotta nelle vicende del Credito Cooperativo Fiorentino, a 5 anni e 6 mesi per il fallimento della Società Toscana Edizioni e a 3 anni e 10 mesi per il fallimento di un’impresa edile di Campi Bisenzio (Firenze). Condanne che sta scontando nel carcere di Sollicciano, dopo la revoca dei domiciliari decisa nel febbraio 2024. Fine pena prevista: 2032. «Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza» (Matteo Renzi).
Vita «È nato a Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, lo stesso paesino di Sandro Bondi, ex teologo del berlusconismo inteso come fede. Si chiama così, Denis, perché il padre era un prigioniero di guerra e quando ritornò in Italia il primo soldato cui rivolse la parola aveva questo nome. “Mi chiamo Denis perché per mio padre questo nome era il ritorno alla libertà”. Il papà era un ufficiale degli alpini, rigidissimo. Rinchiudeva il figlio ribelle in biblioteca e questi leggeva per far trascorrere il tempo» (Fabrizio D’Esposito) • Laurea in Scienze politiche, «quando commerciava in carni da macello in giro per l’Europa riusciva a fare tanti soldi che ogni volta che tornava nella sua Toscana comprava un palazzo. Altro viaggio tra la Germania e la Spagna, altre tonnellate di braciole per la ditta di import-export per cui lavorava, altro palazzo. Un giro in Irlanda (lì i pascoli non scherzano) e di nuovo: un palazzo. Alla fine, Denis Verdini ha messo insieme esperienza e soldi, tanti soldi, da potersi permettere non solo di diventare quello che a Roma chiamerebbero un palazzinaro, ma anche da mollare fiorentine e quarti di bue, mollare, alla fine, anche i palazzi, diventare un commercialista di grido, fondare un giornale, diventare presidente di una banca, aprire e chiudere società come fossero scatole di cioccolatini» (Libero) • «La sua è una storia curiosa, che incrocia la vicenda di Giovanni Spadolini e di Giuliano Ferrara. Spadolini è stato, con Giovanni Sartori, suo professore all’università di Firenze dove Verdini, toscanissimo e fiorentino di adozione, ha studiato Scienze politiche. È grazie a Spadolini e a Sartori, ama raccontare, che ha scoperto di avere la politica nel sangue. Ma lo spartiacque del suo percorso è il 1997, anno in cui Ferrara, allora consigliori molto ascoltato dal Cavaliere, si butta in una delle sue avventure impossibili, decidendo di candidarsi contro Antonio Di Pietro nel Mugello. Verdini piomba dal nulla e si offre di dare una mano, e di lì comincerà la sua vicenda politica nazionale. A dire il vero a prendere l’iniziativa è la moglie. Simonetta Fossombroni, della grande famiglia toscana e liberale, non è solo una donna bella e affascinante ma cura la Fondazione Spadolini a Pian dei Giullari, là dove risiedono anche i coniugi Verdini in una casa da favola. E ha una grande stima per il direttore del Foglio (di cui Verdini diventerà un finanziatore)» (Maria Grazia Bruzzone) • «L’uomo che organizza o organizzava la vita politica di Berlusconi e specialmente quella parlamentare, mago dei numeri, capace di prevedere al millimetro l’andamento di un voto, il numero di tradimenti... Ma è fiorentino, e in quanto fiorentino conosce benissimo Renzi, anzi è amico di Renzi, i due si telefonano, “Ciao Denis”, “Senti Matteo ti volevo dire...” eccetera eccetera. Verdini sarebbe il perno che ha reso possibile l’alleanza tra Renzi e Berlusconi, il famoso patto del Nazareno avversato con tutte le forze dalla sinistra del Pd e dalla destra di Forza Italia» (Giorgio Dell’Arti) • Verdini ha quindi legato il suo destino politico proprio al Patto, «che ha tenuto fino all’elezione di Mattarella. Berlusconi e Brunetta si offesero perché Renzi aveva scelto il presidente della Repubblica senza consultarli, Verdini stava sulle scatole – come dice lui – alle ragazze che circondano l’ex Cav, se n’è andato, ha fondato il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare Autonomie, gli sfottò di Travaglio si sprecano) e s’è rimesso a fare il Patto del Nazareno, cioè l’accordo tra il Pd e un gruppo non-Pd probabilmente di destra» (Dell’Arti). «Il Verdini-pensiero è racchiuso nella massima più volte ripetuta al Cavaliere: “Silvio, stracciare il Nazareno è una follia: un comunista più anticomunista di questo non s’è visto mai”» (Francesco Cramer) • «“Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo”. A pancia piena, in una saletta riservata di un noto ristorante del centro romano, davanti ai commensali più fedeli, Denis Verdini si sbottona. Spiega, chiarisce e disegna su un foglietto la sua tela. La “tela del ragno”. Dove c’è un transfuga, là c’è l’ex macellaio toscano. Un tempo li portava in dote ad Arcore, oggi li serve su un piatto d’argento a Renzi. Sono già dodici senatori e undici deputati. E cresceranno. Siccome adora Pirandello, lo cita a memoria mentre seleziona prede: “Preferisco i personaggi in cerca d’autore”. Promette l’eldorado, li seduce con l’ultima lettera inviata a Berlusconi. Che recitava: “Caro Silvio, la politica moderna è leadership. Prima c’eri tu, ora Renzi. Hai quasi ottant’anni e non puoi competere. Se non fai il padre nobile andrai a sbattere. Sarà lui a governare l’Italia per i prossimi dieci anni”. E Verdini vuole partecipare al ballo: “Ho giurato a Matteo che costruiremo assieme il partito della nazione”. La regola è lavorare nel retrobottega, ma l’eccezione è di queste ore. Interverrà in Aula prima del voto finale sulle riforme, poi inizierà ad accettare gli inviti nei talk show. Vuole riverniciare il vecchio mondo del berlusconismo, per poi legarlo strutturalmente a un Pd senza comunisti. Partito della Nazione e un’alleanza stabile. Serve però un premio di coalizione, e Verdini promette: “L’Italicum cambierà, ma solo nel 2017”. “Del resto – chiude la cena Verdini – io sono amico di chi conta. E sfrutto questa fortuna”» (Tommaso Ciriaco) • All’indomani dello sfaldamento del Patto del Nazareno, «Verdini aveva perso tre volte in un colpo solo: perché era saltato il Patto, perché era stato accerchiato dal “cerchio magico”, e perché – siccome in Forza Italia il leader non sbaglia mai – aveva sbagliato solo lui. Ma Verdini sentiva di aver vinto: perché il Patto non era davvero saltato, perché non aveva accettato di dimissionarsi, e perché Renzi aveva annunciato di non voler parlare con altri messaggeri dell’ex premier. Per quanto messo al rogo, Verdini non sembra temere le fiamme dell’inferno politico. Almeno così c’è scritto nelle sue memorie: “Mi sento sollevato, libero da responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine del Patto. Io sto seduto sulla riva del fiume in attesa di pescare qualche pesciolino. Come Mike Bongiorno, sto lì: busta numero uno, busta numero due e busta numero tre…”. Non è dato sapere a cosa alluda con quest’ultimo concetto. Lui, che si muove tra le colonne e però tiene sulla scrivania un piccolo Vangelo rilegato in pelle rosso fuoco, spesso parla e scrive senza volersi fare decrittare. (…) Definisce un “errore la fine del Pdl”: “La rottura fu un errore strategico, perché dividersi è significato indebolirci reciprocamente. Se non lo avessimo fatto, forse oggi non ci sarebbe stato Renzi”. Così Verdini arriva alla sorgente dei mali del centrodestra, che è la rottura con il governo Letta: “Resto convinto che la crisi andasse aperta per dare un segno di solidarietà a Berlusconi, ingiustamente estromesso dal Senato. Ma la mia tesi era che dopo quindici giorni avremmo fatto un altro governo”» (Francesco Verderami) • In quanto alle accuse di essere un massone: «Per me non è un’offesa. Ma non è vero». «È tutta colpa di Giuliano Ferrara, dice oggi Denis Verdini. Sarebbe andata così: lo scanzonato Giuliano prese a dire a tavola e in società che Denis era banchiere, fiorentino, spadoliniano, appassionato di Risorgimento e dunque massone. È che la gente non capisce le celie: la voce arrivò sino a Francesco Cossiga che mai si sarebbe lasciato scappare l’occasione. Da qualche parte Verdini ha ancora il carteggio: ma veramente io non sono massone, scriveva, e Cossiga rispondeva che in ogni caso non ci sarebbe nulla di male. Oggi girano piuttosto gli eterni verbali sgusciati fuori chissà come, le mezze frasi, le insinuazioni all’irresistibile sapore di zolfo, naturalmente i soliti beninformati, e qualche non prudentissima cena con Flavio Carboni. Verdini ha sulla scrivania, e lo mostra a chi arriva, un ritaglio del Fatto (…) in cui Stefano Bisi, maestro del Grande Oriente d’Italia, dice che Verdini massone “è una leggenda”. (...) A tavola, con gli amici, Verdini fa l’elenco, e ci scherza sopra un po’ amaramente: sto sulle scatole al Pd perché sono l’uomo di Silvio Berlusconi, soprattutto sto sulle scatole alla minoranza di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema perché il patto del Nazareno non lo vogliono, poi sto sulle scatole a F.lli d’Italia perché faccio la riforma con la sinistra, sto sulle scatole a Ncd perché facendo le riforme con Matteo Renzi gli tolgo un po’ di terreno, sto sulle scatole a Scelta civica e tutto quel mondo lì perché ora non sarà mai il mondo dei padri costituenti, sto sulle scatole ai grillini perché sono brutto e cattivo, sto sulle scatole in Forza Italia a chi non vuole il patto perché faccio il patto e a chi vuole il patto perché il patto non vorrebbero che lo facessi io, e poi sto antipatico a sinistra perché non sono di sinistra e a destra perché non sono di destra... E però non è tutta una burla. Verdini, raccontano, dice di avere le spalle larghe perché gli tocca di averle, ma se dovesse gridare tutta la rabbia per quello che gli sta capitando griderebbe da qui alla fine dei giorni» (Mattia Feltri) • Temperamento sanguigno, in Forza Italia aveva rapporti particolarmente tesi con Renato Brunetta, che una mattina a Palazzo Grazioli ha persino cercato di prendere per il collo • «Verdini è stato forse l’uomo più potente dell’ultima stagione di luci accese a Palazzo Grazioli. Con lui c’erano Daniela Santanchè e Daniele Capezzone, detestato da Dudù, il barboncino di Francesca Pascale, che gli ringhiava saltando tra i divani. Lei, in cucina, nel ruolo dell’aspirante moglie del capo, che controllava il prezzo dei fagiolini (“15 euro al chilo? Ma siete pazzi?”) e gli altri in salotto, tra i putti e le trame. Poi un pomeriggio Renato Brunetta osa contraddire Verdini e si ritrova preso alla gola, e appeso – letteralmente – al muro. Che anni. Che storie. Un’altra volta Denis è costretto a salire sulla sua Mercedes (sempre macchine fiammanti come astronavi) per correre dietro a Nicola Cosentino, detto “Nick o’ americano”, deputato casertano vicino al clan dei Casalesi. Berlusconi non lo vuole ricandidare e quello allora ha afferrato il dossier con le liste elettorali e scappa, si butta sull’autostrada per Napoli, e Denis dietro, nel buio, a duecento all’ora, insieme a Nitto Palma. “Nick, brutto idiota: ti ordino di fermarti” – perché Denis risolveva anche questo tipi di problemi. […] con la scusa di venire a Roma dal dentista, e non potendo più sedersi nel suo ufficio all’aperto (il bar Ciampini), si chiude nell’ufficio del figlio Tommaso (imprenditore nella ristorazione) e telefona, suggerisce, cerca di incidere ancora. Ma pure osserva: la Meloni, ad esempio, pensa che debba essere valutata sui fatti, e per adesso sono pochi. Riflette sul berlusconismo: stagione piena di speranze e, certo, di fallimenti. E immagina un libro per raccontare la sua vicenda giudiziaria. Che attraversa con l’obiettivo d’essere affidato ai “servizi sociali”, non del fine pena. Quanto al genero Salvini: gli ha consigliato di non travestirsi più da guardia forestale, di smetterla con i selfie mentre mangia pane e Nutella. Gli ha detto: sei un ministro, datti un contegno da ministro (questi suoceri sempre un po’ brontoloni, no?)» (Fabrizio Roncone).
Famiglia Due matrimoni, tre figli. Diletta, Tommaso e Francesca • Diletta Verdini nell’aprile 2024, ha patteggiato un anno di reclusione (pena sospesa): accusata di tentata truffa e falsità materiale. Dopo aver millantato di essere avvocato, avrebbe falsificato una sentenza del tribunale del lavoro di Firenze per convincere la cliente di aver vinto la causa • Tommaso Verdini, proprietario della società di consulenza Inver insieme a Fabio Pileri, nel marzo 2024 ha chiesto di patteggiare una pena a 2 anni e 10 mesi nell’ambito dell’indagine sulle commesse in Anas su presunte irregolarità nell’affidamento di commesse all’Anas • Francesca Verdini, produttrice cinematografica e televisiva con la sua società La Casa Rossa, dal 2019 è fidanzata con Matteo Salvini.
Guai giudiziari Coinvolto nell’indagine sulla P3, Insiemead altre venti persone: «Tutti accusati di aver violato la legge Anselmi per aver partecipato a un’associazione “caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell’attività e della composizione del sodalizio e volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”. Un sodalizio impegnato “a realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d’ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata”. (…) A gestirla secondo la Procura della Repubblica di Roma Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino» (la Repubblica). Il 16 marzo 2018 è stato assolto dall’accusa di far parte dell’associazione, ma condannato a 1 anno e 3 mesi (e a una multa di 600.000 euro) per il solo finanziamento illecito • Imputato nel procedimento sulla gestione del Credito cooperativo fiorentino, di cui è stato presidente per quasi vent’anni (fino al 2010), il 3 novembre 2020 Verdini è stato condannato in via definitiva a 6 anni e mezzo di reclusione per bancarotta, mentre per altri 4 mesi di pena vengono prescritti i reati di truffa allo Stato sui contributi all’editoria. La sera stessa del 3 novembre 2020 si è presentato al carcere romano di Rebibbia per costituirsi. Il 29 gennaio 2021 ha ottenuto temporaneamente gli arresti domiciliari per motivi di salute. Per un’altra vicenda relativa al fallimento di un’impresa edile in rapporti con la banca, nel giugno 2021 è stato condannato in appello a 3 anni e 10 mesi per bancarotta, condanna confermata poi in Cassazione • Nel 2014 è stato rinviato a giudizio anche perché coinvolto in un’inchiesta sulla compravendita di un palazzo di via della Stamperia, alle spalle di Fontana di Trevi, comprato e rivenduto all’Enpap, nella stessa giornata, dal senatore di Fi Riccardo Conti il 31 gennaio 2011 con una plusvalenza da 18 milioni di euro. Secondo la procura Verdini non ebbe alcun ruolo nella compravendita ma pochi giorni dopo avrebbe ricevuto un milione di euro. Il senatore e il collega di partito sono accusati di finanziamento illecito. A processo anche l’ex presidente dell’Ente di previdenza degli psicologi, Angelo Arcicasa. Il processo è ancora in corso • Il 27 settembre 2021 il Gup del Tribunale di Firenze condanna Verdini, in rito abbreviato, alla pena di un anno per turbativa d’asta, in uno dei filoni dell’inchiesta Consip • Il 20 febbraio 2015 la Procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio di Verdini accusandolo nuovamente di bancarotta fraudolenta, questa volta «per il fallimento, nel febbraio 2014, della Società Toscana Edizioni (Ste), che pubblicava il “Giornale della Toscana”, venduto in allegato a “Il Giornale”. Insieme a Verdini, ritenuto “dominus” della società, è indagato il coordinatore toscano di Fi, Massimo Parisi. Secondo la guardia di finanza e la procura di Firenze, nel 2005 i due esponenti politici si sono appropriati ciascuno di 1,3 milioni di euro della Ste – che "si trovava in uno stato di grave difficoltà economica" – vendendole quote di un’altra società, la Nuova Toscana Editrice, di cui detenevano il 40% e che aveva un capitale sociale di 62 mila euro. Gli altri indagati sono gli ex vertici della Ste, Girolamo Strozzi Majorca Renzi, Enrico Luca Biagiotti e Pierluigi Picerno» (La Stampa) . Condannato a 5 anni e mezzo con interdizione perpetua dai pubblici uffici, pena confermata in appello e in Cassazione • Nel febbraio 2024 il tribunale di sorveglianza ha disposto la evoca degli arresti domiciliari, per aver violato le prescrizioni della detenzione domiciliare imposte dai giudici fiorentini. Verdini è tornato nel carcere di Sollicciano (Firenze). «Era stato autorizzato ad andare dal dentista a Roma, tra ottobre 2021 e gennaio 2022, ma invece di rientrare a Firenze, era andato a cena con il figlio Tommaso e altre a esponenti politici e dirigenti Anas. Incontri che non erano sfuggiti agli investigatori della Guardia di Finanza che stavano indagando, coordinati dalla procura di Roma, sulle commesse bandite dalla società di Stato che gestisce le arterie stradali (i cui vertici sono estranei alle indagini) e in cui sono coinvolti anche Denis Verdini e il figlio. Dalle indagini romane è emerso che l’ex senatore di Ala teneva anche costanti relazioni telefoniche, senza autorizzazione» (Simone Innocenzi) • «Verdini è la montagna dei record: undici inchieste a incoronare la vita, sei processi, tre condanne. È il Malagrotta della compagnia, per dir così. La discarica più grande d’Europa. Il vasto macellaio dei Palazzi. Il bullo che fa ridere i fessi mentre gli soffia i valori bollati e quelli morali. Il bancarottiere che fa piangere le vittime del Credito Cooperativo Fiorentino, mandato in malora per 100 milioni di euro. L’imbroglione simpatico a tutti i giornalisti tranne a quelli del Giornale della Toscana truffati e mazziati, visto che i fondi per l’editoria finivano direttamente sui suoi conti. Il farabutto della commedia all’italiana che dice: “I miei processi? Una montagna di cazzate”. Il faccendiere della perpetua tragedia politica intesa come “sangue e merda” secondo la pertinente ammissione di Rino Formica. L’amorale per definizione e per vocazione. Il tizio che ti ammazza masticando trippa. L’orco che sputa per terra tra i propri scarpini di camoscio. Il capotavola che rutta. Il diavolaccio che per far sognare i bamboccioni viaggia su Mercedes Maybach da 200 mila euro. E guarda l’ora segnata dal suo Patek Philippe Nautilus in oro rosa da 150 mila euro» (Pino Corrias).