16 maggio 2024
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Biografia di Sugar Ray Leonard (Ray Charles Leonard)
Sugar Ray Leonard (Ray Charles Leonard), nato a Wilmington (Carolina del Nord, Stati Uniti) il 17 maggio 1956 (età 68 anni). Ex pugile. Campione del mondo in cinque categorie: welter, superwelter, medi, mediomassimi e super medi. Oro olimpico a Montréal 1976 nella categoria welter. Indimenticabili suoi incontri con Thomas Hearns, Roberto Durán e Marvin Hagler. «Il cocco dell’America, pugni dolci e veloci» (Emanuela Audisio).
Vita «Il “pugile bello”: negli anni ‘80 fu icona di stile dentro e fuori dal ring. Veloce e vincente. Sfidò icone come Thomas Hearns, Roberto Durán e Marvin Hagler, proprio quello contro The marvelous” (aprile 1987) - ennesimo ritorno dopo un ennesimo rititro annunciato - fu considerato uno dei match più importanti degli anni ‘80. E Sugar vinse ai punti il mondiale dei medi. Chiuse definitivamente dopo il ko tecnico subito da Hector Macho Camacho nel marzo 1997. ne erano passati ben sei dal penultimo match (pure perso) contro Terry Norris» (CdS) • «Sugar, come Marilyn Monroe. “Più dolce dello zucchero”, dicevano dei suoi pugni. Era la boxe post-Ali e pre-Obama. Leonard era bello, era la nuova stella, avrebbe riportato i pugni in paradiso. Seduceva: non era un pugile selvaggio, faceva male con classe, quasi con delicatezza. Era il cocco degli yuppies, e soprattutto non veniva dal ghetto. Vent’anni di pugilato (’77-97), campione del mondo in cinque categorie. Sugar lo inventò lei? “Sì, perché ero un fan di Sugar Ray Robinson che sul ring poteva fare tutto. Conoscevo pugno per pugno tutti i suoi incontri. Anche se la versione ufficiale è che sia stato Tom Sarge Johnson, allenatore olimpico, a darmi il soprannome. Papà mi chiamò così in onore di Ray Charles, che nel ’55 era in testa alla classifica con la canzone I got a woman. I miei lavoravano sodo: Sally, mia nonna, il giorno dopo aver partorito era già a faticare nei campi; Cicero, mio padre, era responsabile notturno di un supermarket; mia madre Getha era nurse in ospedale. Ero il terzo di sei figli. Molti in palestra erano critici: non sarei andato lontano, ero piccolino, non il nero grande e grosso”. Lei fu molestato. “Più volte. Da uomini. Ma allora non c’era un movimento pubblico, stavi zitto, la consideravi una vergogna. Nel ’71 un coach olimpico portò me e un mio compagno in un bagno turco, ci fece spogliare e rimase lì a girarci attorno, in maniera sospetta. La volta dopo in macchina con lui, in un parcheggio, mi slacciò la cerniera dei pantaloni e me lo ritrovai addosso. Rimasi paralizzato, prima di trovare la forza di scappare. Dopo 5 mesi mi è ricapitato, ma questa volta era un amico bianco in giacca e cravatta, di cui mi fidavo, che mi chiese di salire nel suo ufficio. So che tutti pensano: eri un pugile, avevi i mezzi per difenderti. Non è così, quando sei giovane, ti colpevolizzi, pensi che in te ci sia qualcosa di sbagliato, subisci invece di reagire”. […] Lei vinse ai Giochi del ’76 che era già papà. “Avevo avuto Ray jr a 17 anni nel ’73. Quando chiamai casa per dire che era nato, mia madre riattaccò. Va bene, era dispiaciuta, ma non fu il massimo. Nemmeno io sono stato un buon padre, ero troppo giovane per quella responsabilità, mi misi subito a tradire mia moglie mentre lei per mantenermi aveva lasciato la scuola per andare a lavorare in una pompa di benzina. Non ne vado fiero e non cerco giustificazioni. Mio padre aveva fatto la stessa cosa, andava con molte donne, anche bianche, mamma una notte gli piantò un coltello nella schiena e un’altra ci caricò tutti in macchina, era sconvolta, infatti avemmo un incidente. Il senso del combattimento l’ho preso da lei, mai stata arrendevole. È stata l’avversario più duro”. All’angolo aveva i migliori: Jacobs, Trainer e Angelo Dundee, ex di Ali. “Angelo mi urlava, e a me non piaceva, ma quando contro Hearns tra il 13esimo e 14esimo round mi ha gridato: ‘You’re blowing it’, ‘La stai buttando via’, Dio se l’ho amato. Mi ha dato la carica per tirare fuori la furia, tanto che l’arbitro ha interrotto l’incontro perché Hearns ormai era uno zombie. Ho riamato Dundee nel match contro Hagler, io che ero stato operato alla retina, ne vedevo tre di Hagler sul ring, lui mi suggerì: colpisci quello in mezzo”. E prima nell’80 c’era stato Duran, Mani di Pietra. “Lo scontro tra opposti: io ero quello pieno di charme, lui il brutto cafone. Al party di presentazione Duran disse che me lo avrebbe messo in quel posto e fece gesti osceni, mosse l’inguine. Io non sapevo cosa rispondere, il mio staff aveva sempre insistito: sorridi e sii educato. Al peso Duran ribadì: prima avrebbe fottuto me, poi si sarebbe fatto Juanita, mia moglie. Ci riuscì, nel senso che per me diventò un incubo, sequestrò la mia vita, mi fece schiavo, lo vedevo ovunque. Quando si dice che se un pugile ti entra nella testa ha già vinto, è vero. Joe Frazier non scherzava dicendo che gli occhi di Duran gli ricordavano quelli di Charles Manson. Sul ring accettai la rissa, mia moglie dalla violenza svenne all’ottava, io persi ai punti, con Duran che gridava: sono io il vero macho. Il pubblico che all’inizio era per me, si spostò su di lui: il signorino americano bastonato dalla belva latina che veniva da Panama. Nello spogliatoio chiamai un dottore, mi sanguinavano le orecchie, il dolore era terribile, pensai di lasciare la boxe”. C’era altro che non andava? “Il mio camp sembrava quello di un rock-tour. Troppa gente, tutti mi chiedevano soldi, e io davo, ero milionario. Poi c’era il resto: continuavo a tradire mia moglie e il mio corpo. Dopo il match con Hearns le cose peggiorarono anche per me: vodka e cocaina. Arrivai perfino a dire di Hearns che in un’autopsia non gli avrebbero trovato il cervello. La rivincita con Duran fu facile, grazie al consiglio di mio fratello: ridicolizzalo. Dundee non approvava le mie provocazioni sul ring, ma non gli diedi retta, e arrivò il ‘No más’ di Duran. Un pugile può essere grasso e svogliato, sporco, ma non deve mai rinunciare a lottare. Lui lo fece. Anch’io nell’82 feci una cosa sbagliata contro Bruce Finch: vinsi, vidi la sua famiglia che piangeva, andai a consolarla, dissi perfino: I’m sorry. Un pugile non chiede mai scusa. Avevo 26 anni, psicologicamente ero distrutto, dipendevo dall’alcol”. Arrivò anche la cocaina. “Ti illude di avere il controllo, non sei più ansioso, ero ancora Sugar Ray, benvoluto a Hollywood e dal presidente Reagan, giocavo a tennis con Martina Navratilova, un vero fenomeno di coraggio, all’indomani di uno dei suoi tanti Wimbledon vinti. Ma spendevo mezzo milione di dollari l’anno per la coca. Juanita, mia moglie, una sera per non lasciarmi solo, tirò anche lei e quasi ne morì. Poi lei mi lasciò, io tirai fuori la mia 38, sparai, quando tornò le diedi uno schiaffo, sentii mio figlio Jarrel, 3 anni, urlare: ‘Lascia in pace mia madre’. Fu devastante”. Lasciò il ring almeno quattro volte. “E sono sempre tornato. Perché? Ti illudi, pensi di essere quello di una volta, ti dici: che male c’è se mi esibisco ancora una volta? Ho visto anche il vostro Gigi Buffon, ma il calcio è diverso, è uno sport di squadra. Io ce ne ho messo a scendere dal ring e ad ammettere: ho battuto Duran, Hearns, Hagler, ma non l’alcol e la cocaina. L’umiltà non era il mio forte. Oggi sono pulito da più di 20 anni e finalmente posso dire: non sono un supereroe, ma voglio essere speciale per la mia famiglia”» (a Emanuela Audisio) • «Guarda le gambe di Leonard, poi guarda quelle di tutti gli altri: se è vero che è da lì, ancora prima che dai pugni, che nasce la boxe, allora è nata con lui come con pochissimi altri, a Wilmington, in Carolina del Nord, il 17 maggio del 1956. Ray Charles Leonard, con i lineamenti di un principe e una muscolatura che ancora oggi sembra rifinita dal bulino di Benvenuto Cellini. Sempre con il dubbio, magnificamente irrisolto, se abbia attraversato più modi di esistere o più categorie di peso; danzando sulla linea d’ombra dei periodi più bui dell’esistenza come in mezzo ai colpi dei propri avversari, spesso destinati a fendere l’aria ogni volta che lui, provocatoriamente, aveva offerto il viso con la guardia bassa, per poi farlo svanire nell’istante che l’altro aveva creduto decisivo» (Paolo Marcacci) • Eletto da Sports Illustrated “Atleta dell’anno” 1981 e Fighter of the year da Ring Magazine nel 1979 e 1981 • Oggi ha una sua compagnia di boxe e fa il commentatore sportivo per Dazn • Due matrimoni: il primo con Juanita Wilkinson, da cui ha divorziato nel 1993; il secondo con Bernardette Robi. Quattro figli.
Soldi «È stato il primo pugile ad aver superato la cifra di 100 milioni di dollari in guadagni dovuti a match. In tal modo ha potuto permettersi di vivere nel lusso. Tra le sue spese folli la mega villa nella località esclusiva di Pacific Palisades a Los Angeles dove è andato a vivere con la moglie Bernadette sposata nel 1996» (Alberto Brigidini).
Frasi «Sono sicuro che in questo momento c’è un potenziale campione che si sta allenando in qualche palestra. Ne spunta almeno uno ogni 10-15 anni: è sempre successo e succederà ancora» • «Devi sapere che puoi vincere. Devi pensare che puoi vincere. Devi sentire che puoi vincere» • «Tutti siamo dotati di un talento che Dio ci ha fornito. Il mio è quello di colpire la gente in testa».