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 2024  maggio 18 Sabato calendario

Biografia di Silvana Lazzarino

Silvana Lazzarino, nata a Roma il 19 maggio 1933 (91 anni). Ex tennista. Fino al 2010 era stata l’ultima italiana a raggiungere la semifinale in un torneo del Grande Slam, al Roland Garros nel 1954. Due volte semifinalista agli Internazionali d’Italia (1954 e 1957). Al Foro Italico si è classificata altre quattro volte nelle prime otto, nel singolare, ed è giunta cinque volte in finale nel doppio, in coppia con Lea Pericoli. È stata undici volte campionessa d’Italia.
Titoli di testa «Giocavo ogni punto fino alla morte, senza curarmi se stavo 40 a zero per me o per l’avversaria» (a Gustavo Verde)
Vita «Il primo ricordo va a mio padre che da buon maestro di tennis mi mise la racchetta in mano. Un uomo eccezionale, aperto e generoso: ricordo i suoi sacrifici, la disponibilità a farmi viaggiare, insolita per quei tempi. E poi le sue parole quando tornavo a casa: “Hai rispettato l’avversario?”. Per lui il tennis doveva essere lo specchio dell’anima. In verità io ero una scugnizza...”» (a Tiziana Bottazzo) • «Così come i Del Bello, Davis men degli Anni Cinquanta, i Lazzarino furono una delle tribù che fecero grande il tennis italiano nei primi due decenni del dopoguerra. Lei, Silvana, fu l’unica italiana a raggiungere le semifinali del Roland Garros parigino. Lui, il fratello Alberto, fu numero 10 di prima categoria, e azzurro. Ma, al di là dei titoli sportivi, a pensarci ora, fu importante la presenza di quella famiglia, nel tessuto umano di Roma. Nel circolo di via Como spiccava la figuretta candida del papà, che tutti chiamavano Gessetto. Un omino impeccabile, tanto piccino da impartire le sue lezioni su un minicampo. Insieme a Silvana, altre tre sorelle, Marisa, Anna e Teresa, si dividevano tra i campi e la cucina, presidiata dalla mamma, rinomatissima cuoca. Era una grande famiglia, quel luogo, al quale non sta bene la definizione di club. I soci venivano divisi in categorie tennistiche: c’erano i cani, i vice-cani, i cani apprendisti. Su tutti si distingueva, per le sue battute, Dino Verde, sorta di presidente onorario. Una delle cinque volte che Silvana e Lea Pericoli raggiunsero la finale di doppio degli Internazionali, Verde le caricò, ancor prima di una doccia, su u’auto con autista, per ripetere, a suo modo, la finale sui campi di via Como: la sua partner, come lo chiamava, era il fratello di Belardinelli, D.T. nazionale. “Era l’unico modo per sgraffignare un po’ di grano, in quei tempi di Povere ma Belle” racconta Lea Pericoli, la compagna storica di Silvana. Erano affascinanti, anche per il contrasto, le due grandi tenniste. Lea milanese, alto-borghese, grande e solare. Silvana piccolissima, nerissima, mediterranea. “Minnie”, la chiamavo io, incantato dalla sua creatività, dallo straordinario istinto. Giocava come respirava, Silvana, o, si diceva, come amava. Ebbe ammiratori regali, la Lazzarino, quali il Re del Marocco, o, dicono, ancorché appaia paradossale, un giovane Giulio Andreotti, che avrebbe salvato il circolo da un’altra destinazione urbana. E molte ammiratrici ebbe il fratello Alberto, dotato di un insolito senso comico. Portava con sé certi biglietti da visita con scritto semplicemente Alberto Lazzarino, Cane. Un modo, spiegava, per distinguersi dalla massa: “Che vvoi, tutti dottori”. Nel corso dei Campionati Internazionali di Svizzera, mi ritrovai opposto ad Alberto, che prese a battere un buon metro all’interno del campo. “Non dico di non commettere fallo di piede - affermò vedendomi adirato - Ma lascia che ci pensi l’arbitro: più svizzero di lui...”. Ora il cemento potrebbe sommergere tutto ciò, insieme ai campi, la cucina di mamma, il giardino, la pista di pattinaggio» (Gianni Clerici) • «La chiamavano “Minnie”, ed erano la saggezza e la simpatia più ancora delle forme minute ad accostarla al fumetto disneyano. Ma era anche “la regina dei treni”, perché Silvana ai tornei andava in vagone letto. Non si trattava di snobismo, tutt’altro. Era sacrosanto timore degli aerei, e fu proprio quello il motivo del suo ritiro, nel 1964, alle soglie di un tennis che stava diventando assai simile a quello odierno, tutto viaggi e trasvolate. Ma in quegli anni, Silvana Lazzarino aveva già assolto al suo compito, e si era ritagliata uno spazio importante nella storia del nostro tennis femminile. Fu la campionessa di un’Italia che ricominciava a vivere e a sognare dopo gli anni bui della Guerra, un’Italia che poteva tornare a dedicarsi allo sport, attraverso i suoi personaggi più noti e ammirati. Silvana preparò di fatto l’avvento di Lea Pericoli, una staffetta che regalò al Paese vent’anni o poco meno di buon tennis» (dal sito della Federtennis) • «Quali erano i tuoi colpi migliori? “Sicuramente il dritto. Lo tiravo piatto, molto forte. Specie in allenamento. Poi, in partita, subentrava la voglia di vincere comunque e, approfittando della mia velocità e della resistenza, mi mettevo a non sbagliare e ad alzare i pallonetti. Poi avevo una bella palla corta, sia di dritto che di rovescio. Un discreto smash, che non sbagliavo mai, un servizio così così e il rovescio in back o piatto. Le rotazioni in top allora non esistevano, le hanno inventate dopo… Anche le volée le facevo bene. Ma il mio punto di forza era soprattutto la grinta. Tiravo e correvo, correvo e alzavo… Senza mollare mai. Per me lo sport era dare sempre tutto, sempre il massimo. Se non avessi fatto il tennis, mi sarei dedicata all’atletica. Gli anelli, il cavallo con maniglie… quanto mi piacevano! Pensa che sugli anelli ci sono salita anche a ottant’anni… Mica male, eh?”» (a Gustavo Verde, nel libro Silvana Lazzarino, la mia vita con la racchetta, Youcanprint editore 2019) • «Le donne sono più caparbie, più modeste e più disposte al sacrificio» (sulla differenza di rendimento tra le tenniste e i tennisti azzurri secondo Silvana Lazzarino) • «Le Williams sono fortissime, ma io preferisco le nostre ragazze: la Schiavone ha tanta varietà e ha un gioco estroso; la Pennetta sembra una ballerina, in campo, se ha perso a Parigi è anche perché era stressata per i tanti tornei che gioca. Guarda i nostri tennisti uomini: appena giocano 2-3 tornei, poi si fermano per 3 mesi» • «Com’era il tennis, nel 1954? “Era diverso. C’era più passio ne e meno soldi, che poi mica se li possono portare dietro tutti quei soldi. Fra italiani, tifavamo l’uno per l’altro, in attesa delle nostre partite, e ci aiutavamo. Nicola (Pietrangeli), che è del ’33 come me, quando andava all’Hotel de Paris, invitava sempre noi ragazze che invece andavamo all’alberguccio. Era proprio un bell’ambiente, con Sirola, Merlo, Gardini un po’ meno perché era nervosetto. E sono ancora amica di Lea (Pericoli) e della Beltrame”. […] Per la Pennetta ha proprio un debole. “Io sono una romana vera, un po’ come Anna Magnani, mi affeziono alle persone. Mi sento vicina alla Pennetta”. Torna mai a Parigi? “Il torneo m’invita tutti gli anni, l’ho giocato dai 19 ai 30 anni, ma me ne sto tranquilla a casa. Ho anche due cigni: lo sa? E cucino faccio la marmellata di frutta e il limoncello”. E intanto, il suo record ha resistito 56 anni. “Del record non mi interessa. Vincevo finché potevo, con le mie armi, e con il cuore, perché restavo anche tre ore in campo, e la terra rossa era il campo ideale. Così avevo battuto anche la Bueno: capirai, lei veniva dal Brasile, era stanca morta e io correvo come una forsennata. A Parigi, nel 1954, vinsi finché potei. Poi persi netto (6-0 6-1), con la Connolly, ma era più forte, non potevo vincere. Questa è la grande lezione dello sport: che t’arrabbi a fare, che ti mangi le mani, se l’avversario è superiore, e c’è tanta differenza di classe e di gioco? Nello sport si vede» (a Vincenzo Martucci) • Come Lea Pericoli, fu una delle modelle dello stilista inglese Ted Tinling: al primo turno del Roland Garros del 1961 le fece indossare uno dei primi vestiti di carta. Un altro completo disegnato da Tinling lo indossò a Wimbledon del 1963, giocando in doppio con la Pericoli • È stata maestra di tennis alla scuola Le Molette di Roma: «Il tennis deve essere divertimento, amore. E se poi c’è il talento, il maestro deve diventare come una mamma. Solo così si può sperare di creare un campione» • Nel 2018 ha ricevuto la “Racchetta d’oro”, una specie di Oscar italiano alla carriera, assegnato dalla Federazione italiana di tennis. «Prima di me lo avevano avuto De Stefani, Neri, Merlo, Gardini, Pietrangeli, Belardinelli, Pericoli… Naturalmente sono stata felicissima di riceverlo, ma non ti nascondo che quando nel 1996 lo diedero a Lea, ci rimasi un po’ male. Di titoli ne avevo vinti di più ed ero convinta di riceverlo per prima. Così non fu. Lo scrisse anche Gianni Clerici. Ma questo senza nulla togliere alla sua bravura» (a Gustavo Verde, cit.)
Amori «Le cronache erano zuppe dei pettegolezzi sull’amore scandaloso fra Silvana Lazzarino e il calciatore Hasse Jeppson (1925-2003), centravanti svedese acquistato dal Napoli per la stratosferica cifra di 105 milioni. Un Ronaldo degli Anni 50. Lui un pomeriggio d’agosto venne invitato ad arbitrare un torneo a Cava dei Tirreni, Silvana giocava il doppio misto col fratello Alberto. Il colpo di fulmine, la promessa di matrimonio, poi però il brusco ripensamento del celebre centravanti. Sai che scandalo! “Con Jeppson sono rimasta amica, e’ venuto a trovarmi al mio nuovo circolo - racconta Silvana Lazzarino con tristezza - mi dispiace che quel rumore di allora riemerga ancora oggi”. È come donna di tennis, maestra, "mamma di tanti ragazzini cui ho messo in mano la racchetta", che la Lazzarino vuole essere ricordata.» (a Tiziana Bottazzo nel 1998) • «Diventò famoso il flirt di Jeppson con Silvana Lazzarino. Anche perché coincise con un periodo di scarso rendimento del giocatore, e l’allenatore Monzeglio, che lo aveva fortemente voluto, dovette sentirsi rinfacciare da Lauro di avergli fatto acquistare “uno sfaticato di svedese”» (Fulvio Bufi) • «Il suo tennis non fu meno popolare delle sue passioni, tanto che, una volta, un intero stadio salutò l’ingresso di un centrattacco svedese al ripetuto grido di “Silvana, Silvana!”» (Gianni Clerici, 500 anni di tennis, Mondadori 2005) • Si è poi sposata e ha avuto una figlia.
Titoli di coda «Non rimpiango un accidente. Non credo che le campionesse di oggi si siano divertite quanto mi sono divertita io» [Verde, cit.]