20 maggio 2024
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Biografia di Ghali (Ghali Amdouni)
Ghali (Ghali Amdouni), nato a Milano il 21 maggio 1993 (31 anni). Rapper. Quarto al Festival di Sanremo 2024 con il brano Casa mia. «Quando penso a chi mi attacca mi vengono in mente quelle tribù dell’Amazzonia che vedono un drone volare e cominciano a scagliare le frecce in cielo».
Vita Nato da genitori tunisini emigrati in Italia. Cresciuto solo con la madre, per via dei problemi con la giustizia del padre, finito in prigione quando lui era solo un bambino, tra le case popolari di Baggio, periferia milanese • «Da dove viene Ghali? “Da una storia di immigrazione abbastanza classica: sono cresciuto nella periferia milanese da solo con mia madre, perché mio padre era in prigione. E siccome lui non c’era, le regole in casa le stabiliva lei. Ce n’erano parecchie, era severa, ma nonostante questo non riuscivo ad andare bene a scuola: di questo mia madre soffriva molto”. Un ricordo della scuola? “Lei non è stata uno di quei genitori che se ne fregano: veniva a parlare con gli insegnanti e li ascoltava attentissima, loro iniziavano ogni volta a dire che c’erano problemi e lei cominciava a piangere durante i colloqui. Mi dava anche qualche schiaffo in loro presenza. Tutte le volte finiva così e io pensavo: ma perché questi qui non trovano un modo meno duro per parlare di me, lo sanno che mamma ci sta male. Davvero, non capivo”»(ad Andrea Laffranchi e Michela Proietti) • «Le farfalle. Sul prato davanti al carcere di Bollate, dove gioca con i bambini degli altri detenuti. Non le aveva mai viste: svolazzano libere, gli uomini sono in gabbia. “Pensavo fosse normale avere un papà in galera”. Il suo ci era entrato nel primo giorno di scuola di Ghali. Ne sarebbe uscito che il ragazzino frequentava la terza media. Il padre gli regala cd tarocchi confezionati dal compagno di cella, il rap di Eminem e di 50 Cent. Nella compilation non c’è L’Italiano di Cutugno, che mamma Amel canticchiava quando la famiglia unita viveva non lontano da Piazzale Loreto. L’arresto dell’uomo cambia le cose. Milano sposta il bambino più a ovest, dove i libri di Storia si confondono con il mattinale della Questura. Baggio, diventato quartiere per “annessione” firmata dal Duce. […] Ghali Amdouni […] traslocherà in periferia con la sciarpa milanista al collo. Mamma Amel si presta a far lavori umili, il marito una volta fuori tornerà in Tunisia. I soldi non bastano mai, uno sfratto via l’altro, mobili neanche a parlarne, mamma e Ghali dormono in una stessa stanza, su un tappeto, finché lui non ha 23 anni ed è un lungagnone di quasi due metri. Da adolescente ha fatto una cazzata. In una settimana al Beccaria, Ghali capisce l’importanza degli errori. Sente la protezione di mamma: “Habibi” la chiama, amore. Lei, insidiata da un cancro che grazie a Dio sparisce, tutto quel che guadagna lo spende per vestire bene il figlio. Nessuno deve parlarci dietro. Ghali vorrebbe farla contenta con i voti ma molla prima del diploma da grafico al Rosa Luxembourg, i cd di papà sono un cordone ombelicale. Lo abbaglia Michael Jackson. Prova presto a comporre qualcosa di decente, però a casa come si fa? Meglio il Parco Natura, pure lì volano farfalle. E sassi dei bulli. Ok, la musica può essere uno scudo. Se accetti il duello ti rispettano. Peccato che alla prima sfida nel freestyle un rivale lo surclassi, Ghali non apre bocca. Decide di chiamarsi Fobia, poi Ghali Foh. Nel 2011 fonda i Troupe d’Elite con un’altra futura star, Ernia. Li scartano ad Amici, ma Gué Pequeno accoglie Ghali. Va in tour con Fedez, collabora con Sfera Ebbasta. Sfonda nel 2016. Un primo singolo, Ninna Nanna, vola su Spotify, quindi Pizza Kebab e un discone d’esordio (il primo di quattro), Album: è un trapper, ma se “trapping” è slang per “spacciare”, Ghali non è un poco di buono. E sa cosa dire. In Cara Italia rivendica le radici tunisine e l’identità di italiano 2.0: “Oh eh oh, quando mi dicon Va’ a casa!/Rispondo Sono già qua”. Chi lo spiega ai razzisti? Lui. A San Siro. 2021, il derby. In tribuna c’è l’altro tifoso rossonero Salvini. Ghali lo prende di petto. Aveva già rosolato il ministro nel remix di Vossy Bop: “Alla partita del Milan ero in tribuna con gente/C’era un politico fascista che annusava l’ambiente/La squadra da aiutare a casa propria praticamente/Forse suo figlio è pure fan, ché mi guardava nel mentre”» (Stefano Mannuci) • «Nel 2017 Ghali piombò sulla scena hip hop italiana come un asteroide. Il suo primo disco, Album, spalancò le porte della discografia a una nuova generazione di artisti partiti dal basso e arrivati a tagliare traguardi importanti grazie al web. Quanto è stato difficile adattarsi a questa nuova vita? “Non ho ancora realizzato quanto sia cambiata. E come me anche chi mi sta accanto, a partire da mia madre. È tutto così grande”. Cosa le piace del successo? “Il fatto che ora posso dedicarmi completamente alla musica: sono riuscito a trasformare quella che era la mia passione in un lavoro”. E il lato negativo? “Purtroppo non posso occuparmi solo di questo. Fare il cantante, oggi, significa essere anche imprenditore di se stesso”. La sua etichetta, Sto Records, è stata acquisita dalla multinazionale Warner: Ghali è anche un talent scout? “Mi diverte scoprire emergenti. Voglio fare quello che non i grandi artisti non hanno fatto con me”» (a Mattia Marzi) • Ha raccontato di avere dormito fino ai 20 anni nello stesso letto con la madre: «Io e mia mamma abbiamo dormito nella stessa stanza, uno di fianco all’altra. Solo da quando ho comperato la casa abbiamo due stanze diverse: ma non c’era disagio in quella situazione, anzi, era molto intima. Eravamo due compagni di stanza felici, non ci disturbavamo se rientravamo tardi o uscivamo presto, siamo persone che non si lamentano per i rumori, per la musica o la televisione accesa» (ad Andrea Laffranchi e Michela Proietti) • Nel 2022 ha comprato una barca per donarla a Mediterranea. «Si tratta di una “rescue boat”, una nave da salvataggio, che consentirà alla Mare Jonio di ottenere le nuove certificazioni per continuare le proprie operazioni di soccorso in mare. Ghali, le emozioni che l’hanno spinta a prendere questa decisione? “Non saprei da dove partire. Da quando sono piccolo ne sento parlare in casa, ho parenti che hanno attraversato il Mediterraneo. Conoscenti che da quel viaggio non sono più tornati. Uno dei miei migliori amici è eritreo e grazie a lui ho scoperto tutto quello che succede prima dell’imbarco. Il viaggio in mare è solo una parte”. Lei è di seconda generazione. Ne ha sempre parlato nelle sue canzoni. “Ne ho sempre parlato nella mia vita. Dai temi a scuola ai freestyle per strada, fino alle prime rime che ho composto, alle prime cose postate su MySpace. Quella dimensione è stata sempre parte importante della mia scrittura”. Perché ha scelto Mediterranea? “Li ho scoperti due anni fa. Di Mediterranea si parla sempre troppo poco e quando lo si fa spesso si dicono sciocchezze”. La nave si chiama Bayna, come una sua canzone. “È il titolo della prima traccia di Sensazione Ultra,il mio ultimo disco. Significa ‘è chiara, è evidente’”. […] La definiscono un simbolo per chi arriva in Italia. Le è mai andata stretta questa etichetta? “L’essere un simbolo lo ha deciso la gente. Ho solo raccontato la mia storia e so che ci sono tanti ragazzi che vivono negli stessi luoghi e nelle stesse condizioni in cui vivo io, nel mezzo di due culture, senza sapere di preciso cosa e dove sia la propria casa. E hanno a che fare con persone che in Italia ti dicono ‘vattene’ e che in Tunisia ti dicono la stessa cosa. L’intolleranza è ovunque”. Ha messo in conto che si alzerà qualcuno per dire: “Ecco Ghali che si fa pubblicità…”. “Non ci ho pensato. Quando fai beneficenza è egoistico pensare a cosa gli altri diranno di te. Aiuto le persone, del resto chissenefrega. E poi mi piacerebbe una cosa…”. Prego… “Che vedendo me un ragazzino immagini, un giorno, di poter salire su un palco a raccontare la propria storia e solo grazie a questo dare una mano a chi ne ha bisogno”. Lei se lo immaginava che un giorno avrebbe aiutato chi ne ha bisogno? “È il disegno che ho in testa sin da piccolino. E poi parto da un genere, il rap, che è fondato sulla rivalsa. E allora non c’è niente di più rap che partire scrivendo rime nei giardinetti sotto casa e arrivare a stare dalla parte dei più deboli”» (a Carmine Saviano) • «La prima cosa che hai comprato con i soldi guadagnati? “Una villa alla mamma”. Lontano dalla strada e dalla gente comune non temi di perdere ispirazione e credibilità? “Basta essere sinceri con sé stessi. Viaggio da un palazzetto all’altro, dall’hotel alla macchina, è ovvio che non sono più in strada e non aspetto più l’autobus, Difficile rimanere rapper per sempre. Capisci che è stato un trampolino. Fa parte di una subcultura. Se non la vivi, non la puoi raccontare. Non saresti sincero. E lì devi fare un passo in più. Devi imparare ad affrontare l’arte”. Hai detto: “Ho risposto in modo intelligente alle discriminazioni”. Quali? “I commenti in metro, per strada, a scuola. Ma mi è pesato meno che ad altri. Sono sempre stato misericordioso verso chi è ignorante di vita, cioè non ha incontrato diversità, non ha fatto scalo negli aeroporti. Poi sofferenza e frustrazione ci sono state ma le ho canalizzate nella musica. Raro che scriva in un momento di felicità”. Uno dei tuoi rapper preferiti, Salmo, ha detto: “Se vi piace Salvini, non ascoltatemi”. D’accordo? “Salmo è un grande ma invece il bello è che chi vota Salvini viene a vedere i nostri concerti per accompagnare i figli. Il vero corto circuito”» (a Simona Orlando).
Polemiche Al Festival di Sanremo 2024, dove ha presentato il brano Casa mia, sul palco dell’Ariston, ha urlato «Stop al genocidio», con riferimento all’operazione militare israeliana in corso nella Striscia di Gaza • Nell’ultimo singolo, Paprika, lanciato nel maggio 2024, canta: “Puoi dirmi quello che vuoi, non farò come la Rai” • Nel 2020 È stato attaccato dal rapper Gué Pequeno • «Il rapper brutto sporco e cattivo che sembra uscito da Gomorra contro quello radical chic che pare pronto per una sfilata di Dolce e Gabbana. Quello che nei testi è duro e puro secondo i codici etici ed estetici del «macho alfa» contro quello che nato incendiario si è fatto pompiere e al massimo oggi ti consiglia di farti una canna. Quello che conosce la brutta gente cresciuta in strada contro quello buono per uno spot tra i grattacieli di City Life. Ovvero Gué Pequeno contro Ghali. Tra i due le corrispondenze d’amorosi dissensi (più prosaicamente, nello slang musicale, si definisce dissing) hanno radici antiche e fiori perenni. L’ultimo capitolo è l’intervista affilata concessa a Rolling Stone da Gué Pequeno (di solito è lui quello che provoca, anche per questioni di cliché) dove le frecce per Ghali sono andate dritte per dritte: “Un artista vestito da confetto può andare bene per una sfilata ma non ha grande credibilità di strada. Io non sono razzista né omofobo ma vedere un rapper che va in giro vestito da donna con la borsetta mi fa ridere, che poi almeno fosse gay... Sono cose assurde». I canoni del rap rispondono a logiche tribali, quindi inevitabile che molti abbiamo trovato nelle sue parole «un concentrato di banalità retrive e omofobe” […] La svolta pop (in musica) è quella che Gué contesta a Ghali (Amdouni il cognome) che ha 13 anni in meno e fa parte di una nuova generazione non solo musicale. Del resto Ghali sembra più coerente ora che ai suoi esordi: testi e suoni più morbidi, fidanzato con la top model Mariacarla Boscono, la fissa della moda ereditata dalla madre. “Ci teneva molto che io fossi sempre impeccabile: quando ero piccolo gli immigrati venivano visti in un certo modo, essere in ordine era una garanzia in più per essere integrati. Mi ricordo che mi cambiava anche più volte al giorno: la mia famiglia non aveva titoli di studio e la mentalità era quella del presentarsi bene, anche se i soldi in casa scarseggiavano”. La ruggine tra G & G nasce probabilmente al tempo in cui Gué Pequeno lo mise sotto contratto nella sua etichetta Tanta Roba, quasi 10 anni fa. Il sodalizio non funziona, le strade divergono quanto le loro opinioni. Nella sua autobiografia (due anni fa) Gué raccontava: “Io non mi spaccio per malavitoso, ma ne conosco e mi rispettano. Ghali ha cambiato direzione troppe volte per essere veramente autentico: da gangster a mamma Africa ce ne passa”» (Renato Franco) • Rapporto burrascoso anche con Fedez «Bussò a molte porte prima del successo della sua hit Ninna nanna? “Sì, ma nessuno apriva. Erano troppo presi dalle loro carriere”. Il primo a credere in lei? “Fedez. Lo accompagnai in tour nel 2012. Poi chi non mi ha aiutato è venuto a chiedermi duetti. In questo ambiente c’è molto opportunismo”. Nella canzone che dà il titolo all’album dice: Ricordo quando mi dicevano non farai mai nulla e resterai per sempre nel buio in un angolo. Oggi come risponde? “Con i successi. Voglio dirlo, perché è giusto che la gente lo sappia: fu proprio Fedez a dirmi quelle cose, quando eravamo in tour insieme. Io mi esibivo insieme al mio primo gruppo, i Troupe d’Elite, ma il successo tardava ad arrivare e venivamo costantemente attaccati. Fedez mi diceva: Guarda quali sono i riscontri... Cosa potresti mai fare? Quale potrebbe essere il tuo messaggio? Cosa potresti raccontare agli italiani? Fatti odiare”. Oggi i rapporti come sono? “Non ci sono rapporti. Ogni tanto prova ad avvicinarsi, ma io cerco di evitarlo”. Tra di voi non sono mancate frecciatine. Commentando il suo disco Paranoia airlines, scrisse sui social: Che noia airlines. Se ne è pentito? “No. Era ciò che pensavo. Forse ho sbagliato, perché nessuno sa quanto tempo e quanta dedizione ci sia dietro un disco. Se la prossima volta farà un disco brutto, eviterò di commentarlo”» (a Mattia Marzi).
Religione Musulmano praticante. Nell’aprile 2024 è stato in pellegrinaggio alla Mecca in occasione del Ramadan • Ha parlato della sua religiosità nell’album Dna (2020). «Il successo ti può far perdere la testa. Se ne è reso conto Ghali, uno dei simboli della streaming generation che ha cambiato il panorama musicale italiano negli ultimi tre anni. Lo racconta in una delle rime di Dna: “Il successo è una droga che va sempre di moda. Anche se hai i piedi per terra è una botta talmente forte che ti pompa e mi è successo di andare fuori strada. Ci sono stati momenti in cui ero pieno di me, mi è sembrato di aver tradito me stesso e i miei principi”, commenta il rapper milanese di origini tunisine. […] C’è stato anche un aiuto esterno. “Forse mi ero allontanato da quel Dio con cui parlo tutti i giorni. L’ho scoperto da bambino con l’islam e ci parlo nella lingua in cui ho iniziato a comunicare, l’arabo. Anche se oggi a volte mi rivolgo ad Allah in italiano. Nella copertina, per ironizzare su quelli che lo vedono ovunque, ho nascosto la scritta Allah fra le nuvole”» (Andrea Laffranchi).