la Repubblica, 23 giugno 2024
Pioggia cinese di incentivi sulle auto elettriche
Mentre anche il Canada, dopo Stati Uniti ed Europa, valuta di imporre dei dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi, un nuovo studio stima l’ammontare di aiuti di Stato di cui hanno goduto le aziende della Repubblica popolare – oggi padrone del mercato globale – nel corso degli ultimi 15 anni. È una cifra impressionante, più o meno equivalente ai fondi del Pnrr italiano, risorse nazionali comprese: 231 miliardi di dollari. Ed è una cifra stimata per difetto, visto che esclude una serie di aiuti indiretti difficili di quantificare, ma non per questo meno importanti, come l’assegnazione di terreni, energia e credito bancario a costi di vantaggio, oppure il fatto di contare su una filiera nazionale delle batterie altrettanto sussidiata.Il calcolo è stato fatto da Scott Kennedy, brillante analista di economia cinese e membro del think tank Center for Strategic and International Staudies (Csis). Che arriva al totale sommando gli incentivi per chi acquista auto elettriche – generosissimi fino al 2017, poi progressivamente diminuiti dal governo ed eliminati dallo scorso anno – l’esenzione dall’imposta sulle vendite – ancora in vigore – i sussidi per gli investimenti in infrastrutture e soprattutto in ricerca e sviluppo, gli obblighi per le varie amministrazioni dello Stato comunista di elettrificare le loro flotte. Quei 231miliardi di dollari dal 2009 al 2023 offrono un solido argomento a chi oggi accusa la Cina di pratiche distorsive e cerca di difendere i propri produttori attraverso i dazi.L’analisi di Kenendy però è più sfumata, e non a caso parla di «dilemma dell’auto elettrica cinese». Gli stessi dati infatti mostrano come nel corso degli anni, con l’aumento esponenziale dei veicoli prodotti, l’incidenza dei sussidi per singola auto venduta sia progressivamente diminuita, attestandosi lo scorso anno a meno di 5 mila dollari. Una cifra inferiore ai 7.500 dollari di incentivo all’acquisto concesso oggi negli Stati Uniti o ai 13.750del recente pacchetto di bonus varato in Italia (il massimo previsto per i redditi più bassi e con rottamazione, anche se già esaurito). Inoltre, riconosce l’analista, il livello di qualità delle auto elettriche cinesi è paragonabile o superiore a quelle prodotte dai rivali occidentali.Tutto questo sostiene la (piccata)replica di Pechino alle accuse Occidentali, secondo cui la quota crescente di mercato conquistata dalle sue aziende nel mondo non è frutto di dumping o eccesso di capacità produttiva, bensì del loro primato tecnologico favorito da politiche industriali di successo. Il dilemma sta nel fatto che entrambe le cose sono vere: il fatto che i sussidi abbiano distorto la competizione, permettendo alle aziende cinesi di crescere senza badare ai margini di profitto – come mostra il fatto che sono oltre 200, molte piccole – e il fatto che oggi le più competitive siano alla frontiera per qualità e produttività. Un dilemma che rende anche la risposta da parte degli altri Paesi complessa da valutare. Quella americana, dazi al 100%, è stata alzare un muro invalicabile per proteggere i produttori nazionali, ampiamente sussidiati dal grande piano verde di Biden. Quella europea, con dazi extra tra il 17 al 38%, un tentativo – si capirà se sufficiente o meno – di spingere il governo cinese a limitare alcune pratiche distorsive e le aziende del Dragone a produrre sul territorio europeo, anziché esportare da Oriente. Si vedrà quale dei due approcci adotterà il Canada.Ma oltre alla parte difensiva, scrive Kennedy, sarà quella offensiva – cioè «sforzi più aggressivi per spingere le proprie aziende a sviluppare auto elettriche di qualità ed economiche» – a decidere il futuro di questa competizione globale.©RIPRODUZIONERISERVATADal 2009 i produttori del Dragone hanno potuto contare su risorse di Stato superiori all’intero Pnrr. Anche il Canada valuta i dazi