il venerdì, 22 giugno 2024
Intervista a Natalia Aspesi
Natalia Aspesi, avrete presente, lunedì prossimo compie 95 anni.
Come li festeggerai?
«Non festeggiandoli».
Zero?
«Trascorrerò la giornata nel silenzio più cupo, senza invitare nessuno. E starò benissimo».
Manco una cenetta, un dolcetto…
«Le candeline? Orrore. Cento di questi giorni? Non mi pare proprio il caso».
Clausura integrale.
«È un periodo che non frequento anima viva. Non perché sia arrabbiata, ma perché non mi viene più spontaneo. Non ho più il sentimento del vivere, l’interesse nel futuro. Però sto bene lo stesso. Dopotutto, che vuoi, quelle che hanno più o meno la mia età mi raccontano solo la lunghezza delle loro malattie... E molte delle persone a cui volevo bene sono morte».
Fino a non tanto tempo fa ricevevi qui in terrazza.
«Ora non più. Magari un cocktail ogni tanto. Ma per cacciarli via presto. Molta gente non capisce che ho una certa età. Iniziano a parlare e non se ne vanno. Mi uccidono. A un certo punto li interrompo e dico: per favore andate».
Capito. Devo sbrigarmi con le domande.
«No, ma se non la tiri per le lunghe mi fai un regalo».
Meloni, 95 anni di Aspesi: “Sono nata col fascismo e morirò col fascismo”
Sei del segno del Cancro. Credi agli oroscopi?
«Ma come ti viene in mente?».
Nel tuo lavoro ti sei divertita tanto.
«Moltissimo. Ho un passato del quale sono davvero contenta. Però oggi alla mia età non possono venirmi a chiedere se ho una vita vivace, se mi innamoro...».
Hai una vita vivace? Ti innamori?
«Conduco la vita dei vecchi. Qualche tempo fa ho avuto pure un colpetto, puoi scriverlo, non me ne frega niente. Faccio fatica a raccogliere le idee, i ricordi. Però non mi sono mica incattivita. Tutto questo avviene nella più assoluta s-e-r-e-n-i-t-à».
Leggi ancora i giornali di carta?
«Ho smesso. Con le righe faccio fatica».
Quando li leggevi quali pagine saltavi?
«Sport, finanza... In effetti guardavo soprattutto le storie di donne… O dei maschi che diventano femmine... Quella roba lì».
Hai amici trans?
«Che io sappia, no».
Perché sei diventata un’icona Lgbtq?
«Icona che?».
Lgbtq.
«Cioè?».
Lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer.
«Non mi è giunta notizia di essere diventata un’icona. Comunque, essendo una d’altri tempi, diciamo che non fremo per le donne lesbiche».
Per i gay invece?
«I gay sì. Sono tantissimi. Il maschio che ama il maschio è una cosa giusta».
Mentre tutti gli altri? Compagni che sbagliano?
«Che dirti? Sono una all’antica».
Dopo le uscite sulla “frociaggine”, Bergoglio è da scomunica?
«Ma dai! Specie a quell’età, il Papa può dire quello che vuole! Che male fa? Non era una cosa contro i gay. È come se lo avessi detto io. Mi ha fatto ridere. Se un papa dice una cosa del genere è perché è un uomo libero. Bergoglio l’ho amato da subito. È un parroco di campagna».
Ti piacevano i libri di Michela Murgia?
«(sottovoce) Non li ho mai letti…».
Ti piacciono i libri di Roberto Saviano?
«Non tanto».
Hai amici che votano Fratelli d’Italia?
«No. Anzi, sì. Uno solo. Persona squisita. Gli piace Meloni perché dice le cose “pane al pane”. Io detesto lei e tutti quelli di Fratelli d’Italia, però il mio amico in qualche modo lo capisco».
Meloni andrà lontano?
«Temo di sì. Anche se negli ultimi tempi ha mostrato qualche debolezza».
Quale?
«Soffre troppo le critiche».
Embè? Mica è l’unica a risentirsi.
«No, ma se non accetti le critiche vuol dire che non hai la statura del premier. Potrai pure continuare a prendere una valanga di voti, però se non sai incassare le cattiverie e perfino gli insulti significa che tanto solida non sei. Forse su questo punto Meloni può cadere».
Ne sei proprio convinta.
«Boh».
Elly Schlein durerà?
«Alle europee l’ho votata. Ma il Pd è un assurdo, non esiste più. Non c’è più ragione per far parte del Pd».
Perché?
«Perché oggi non puoi più parlare di salario minimo, di povertà. Nel discorso politico sono diventate cose irrilevanti. Non c’è più tempo per pensare ai poveri. Presto ci divideremo in due categorie: i ricchissimi e tutti gli altri. Va trovato un altro modo di fare politica».
Un anno fa la morte di Silvio Berlusconi. Meritava i funerali di Stato e l’iscrizione nel Famedio dei milanesi insigni ai quali dovremmo essere grati?
«Lo ripeterò in eterno: Berlusconi è stato un mascalzone. Lasciamo stare la sua visione delle donne, sulla quale durante le celebrazioni funebri si è sorvolato: per me resta una figura orrenda. Ci ha cambiati in peggio, ci ha rovinato. È tra i maggiori responsabili dello sfacelo».
Adesso tra i politici chi ti piace di più?
«Reggiti forte»
Vai.
«De Luca. Lo adoro. Per le cattiverie che dice».
Don Vicienzo for President?
«È bravo. Lo promuoverei».
Potendo, chi preferiresti intervistare tra Putin, Trump e Netanyahu?
«Putin. Ma portandomi dietro nascosto un bastone dalla punta avvelenata».
Sei mai stata tentata di lasciare Repubblica?
«Mai. A Repubblica mi sono sempre sentita circondata dall’affetto. Anche adesso che potrebbero tranquillamente dimenticarsi di me. A Repubblica devo tutto».
Però è al Giorno che nasci come inviata.
«Mi avevano fatto inviata perché non volevano donne in redazione. Lavorai sotto Gaetano Afeltra, che veniva dal Corriere ed era un signore molto importante, ma anche un perfetto deficiente. Mi chiedeva delle robe… Una volta ci fu un fattaccio di cronaca, uno di due fratelli si uccise mettendo la testa nel forno. Afeltra mi chiama e mi fa: “Aspesi, vai a vedere questa storia di Bertolotto...”. E io: “Guarda che si chiamava Bertolotti”. E lui, scaldandosi: “Ma se il morto è uno come fa a chiamarsi Bertolotti? No, no, Bertolotto, Bertolotto...”».
Due mesi fa, nell’anniversario della nascita di Scalfari, Giuliano Ferrara lo ha simpaticamente ricordato come “un gran figlio di puttana”. Sottoscrivi?
«No. Per me è stato un grande giornalista».
Giornalista o direttore?
«Tutte e due le cose. In realtà, vivendo a Milano, non l’ho frequentato molto. Non ero di quelle che facevano avanti e indietro davanti alla sua porta sospirando in attesa di un suo gesto carino. Certo, la sua doppia vita privata, l’averla tenuta nascosta così a lungo, mi sono sempre sembrate cose un po’ ridicole. Ma professionalmente non ho nulla da rimproverargli».
Tra i giornalisti che nella tua vita hanno contato di più, hai sempre citato la trimurti Giorgio Bocca, Camilla Cederna, Lietta Tornabuoni.
«Cederna senza dubbio. Bocca è stato un grandissimo, ma non mi piaceva il suo modo di vedere le cose».
Cioè?
«Per dirti, all’epoca io ero completamente pazza, mi presentavo in redazione in hot pants neri. E riferendosi alla sua compagna, lui mi diceva: “Ma perché non fai come la Giacomoni e non metti delle belle gonne?”. Insomma, Bocca era ancora troppo “uomo”...».
Mentre Tornabuoni?
«Con lei ci siamo divertite come matte. A Cannes raccontavamo il colore. Andavamo a vedere i film più assurdi. In un cinemino scoprimmo quella regista australiana... Com’è che si chiama?»
Jane Campion? Neozelandese…
«Vabbè sì, lei. Il suo primo film, Sweetie, era la storia di una cicciona. Ci incantò. Ne parlammo con i critici e ci presero in giro. Dicevano che di lei non si sarebbe più ricordato nessuno. Il futuro dimostrò che avevamo ragione noi. Con Lietta è stata un’amicizia profonda. Purtroppo dopo la morte del compagno, Oreste del Buono, lei si lasciò andare. Non ho mai capito perché. Del Buono era cattivissimo. Non valeva un centesimo di Lietta».
Vai ancora al cinema?
«Quando mi ci portano».
Chi è l’attrice più figa del momento?
«Non me lo ricordo».
L’attore?
«Sempre Clooney».
È ancora possibile divertirsi facendo il giornalista?
«Come fa a essere divertente un mestiere che non esiste più?».
Kaputt.
«Non è che io segua troppo il lavoro dei giovani, ma non c’è più verità. Viviamo fuori dalla realtà. Sui social guardo tutti i giorni una pagina dove si raccontano storie tragiche, storie di persone morte... Beh, se leggi i commenti che postano, mica parlano di quei fatti dolorosi, no, divagano, ognuno racconta gli affari suoi... Siamo fuori dalla realtà. Però in qualche modo questa cosa mi diverte lo stesso».
Qual è la battuta acida che ti è costata più cara?
«Rischiò di costarmi cara una cosa che avevo scritto sul Savoia... quello che è morto poco tempo fa».
Vittorio Emanuele.
«Ecco, avevo detto che andava male anche alle elementari. Mi querelò. Non riuscivo più a ricordarmi dove lo avevo letto, poi però ritrovai le carte. Vennero ritenute valide e la cosa finì senza conseguenze. In compenso adesso sono stata querelata dall’ex della Meloni…».
Andrea Giambruno.
«In un pezzo l’ho preso un po’ in giro. Mi sembrava un pezzo molto carino. Ma mi ha chiesto una bella somma…».
Che rapporto hai con i soldi? Sei oculata? Spendacciona? Generosa? Benefattrice?
«Sono generosa. Ma anche taccagna».
Dipende dal meteo?
«Sto attenta, controllo quanto ho in banca. Ma poi me ne dimentico. Col mio lavoro ho guadagnato tanto. Ho comprato delle belle cose, una splendida casa in Salento che stiamo rimettendo a posto... Purtroppo sono stata sistematicamente derubata da quasi tutte le donne che mi aiutavano in casa».
Quasi tutte? Erano una gang organizzata o colpivano in solitario?
«Non è mica da ridere, mi hanno portato via tutto. Gioielli dell’Ottocento, di inizio Novecento, i regali di Antonio, il mio compagno buonanima. Tutto, anche la vera... Ad ogni modo tengo d’occhio i risparmi, ho il terrore di spenderli, voglio lasciarli a mia nipote e alla sua famiglia. Anche se qualche volta mi dico: dopotutto li ho guadagnati io, non sarà il caso che me li spenda io?».
La caduta in disgrazia di Chiara Ferragni ti ha toccato o lasciato indifferente?
«Benché abbia cominciato troppo presto con i ritocchini, la trovavo carina, si era inventata un mestiere che le faceva guadagnare tanti soldi... Però adesso la guardo e vedo questa ragazza che ha sempre in mano uno specchio. E si contempla. Ma che cosa vedrà mai di così speciale in quello specchio se non sè stessa? Quanto ai suoi guai, che ne so... Poteva pensarci prima. Peccato».
Guardi le serie sulle piattaforme?
«Sì».
E la tv generalista?
«Mai. Da anni. Primo perché ormai vado a letto alle otto e poi perché la nostra tv non va vista».
Nemmeno un talk show quando fuori piove.
«I talk sono in assoluto la prima cosa che ho smesso di guardare. Mi davano voglia di prendere a schiaffi lo schermo».
A parte Milano, dove ti sarebbe piaciuto vivere?
«Qualche anno fa ti avrei detto Londra. Ci ho trascorso mesi. Sono un’appassionata tremendissima dell’Inghilterra, delle sue antichità, dei suoi gioielli, della sua civiltà».
Quando ti svegli controlli le notizie sul telefonino?
«Sì, su Repubblica.it. Ma se ce la faccio ricomincerò a prendere il New York Times per saperne un po’ di più su che cosa succede. La crisi dei giornali di carta la capisco e non la capisco. Specie in Italia. Ora è ovvio che un giovane non si informa più sulla carta, ma non si dovrebbe far di tutto per tenersi stretti quelli che invece la carta continuano a leggerla? Che senso ha rincorrere i lettori giovani? Mi pare una follia».
Tra i fan della carta ci sono i lettori della tua rubrica sul Venerdì, Questioni (non solo) di cuore.
«Come sai abbiamo cambiato il vecchio titolo, Questioni di cuore, perché nelle lettere di cuore non si parlava quasi più. Chi adesso mi scrive ha in media tra gli ottanta e i cento anni. È gente per cui l’amore non esiste più. È gente che è diventata vecchia con Repubblica. Gente che, anche odiandola, le è rimasta legata. Sono gli stessi lettori di qualche decennio fa, ma sono invecchiati e non ce ne sono di nuovi».
Sei mai stata censurata da un direttore?
«Che mi ricordi no. D’altronde, anche se ho scritto pure di cose serie come le guerre o le Brigate Rosse, mi sono occupata soprattutto di stupidaggini».
Col neo-puritanesimo oggi vigente sei mai stata tentata di autocensurarti?
«Già da prima del neo-puritanesimo mi sono autocensurata tantissime volte. Penso di essere una persona molto aperta, ma la scrittura è un’altra cosa, una cosa al di fuori di te, che va oltre la tua persona. Sulle cose serie mi sono autocensurata, su quelle da ridere meno. Ma tanto ormai è inutile. Oggi la gente si offende qualsiasi cosa tu dica. Da anni non si capisce più lo scherzo, l’ironia, la battuta. Tutto è diventato molto grigio».
Hai sempre scritto con tutte e dieci le dita?
«Sì, ma l’avevo imparato prima di fare la giornalista, ai corsi per dattilografa. Al giornalismo sono arrivata come una miserabile».
Sei stata una malata di lavoro?
«Non ho vissuto per il mio lavoro, però non lo avrei abbandonato per nessuna ragione al mondo. Quando il mio compagno andò in pensione, voleva che ci andassi anch’io. Ma mi sentivo ancora in gran forma e ci fu un contrasto».
Qual è stato il momento della tua vita in cui hai avuto più paura? Che ne so, la guerra, il Covid…
«Non ho mai avuto paura in vita mia. Se per strada assistevo a una rissa mi mettevo in mezzo per dirgli: ma siete scemi? che fate?».
Sei nata nel 1929. L’anno del crack di Wall Street, del massacro di San Valentino, del primo premio Oscar. Qual è il più antico ricordo d’infanzia che ti è rimasto nella memoria?
«Durante la guerra ero sfollata in Val di Fiemme. Le donne riutilizzavano gli avanzi di tutto, pasta, riso, e ne facevano delle torte. Quei dolci erano delle assolute porcherie, ma ovviamente a me sembravano squisiti. Sempre da sfollata, ho mangiato per mesi pane di carrube sognando il pane bianco. Però avevo un’amica i cui genitori avevano messo via un po’ di roba. Per conservarla tenevano la carne cotta immersa nel grasso. Con la mia amica ci mangiavamo di quelle schifosissime cosce col grasso colante... ed era una delizia».
Ti sei mai presa una memorabile sbronza?
«Mai. Sempre bevuto tanto così».
Qual è il piatto di cui non riusciresti a fare a meno?
«Tra i condimenti mi fa impazzire la maionese. Quella rosa. La metterei dappertutto».
Anche al compleanno. Sul quale hai mentito. Lo festeggerai.
«(sorrisetto furbetto) Ma sì… Magari col mio ragazzo... Il marito di mia nipote... Mi porterà da qualche parte».
Grazie. Di tutto.
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