Tuttolibri, 22 giugno 2024
Chi era Eugenia Codronchi Argeli
Nel 1900, per i tipi di Zanichelli, Sfinge esordì con il romanzo Il colpevole. Chi si nascondeva dietro quello pseudonimo, che più enigmatico non si poteva? Dopo aver letto quel primo libro, Grazia Deledda scrisse: «In certi punti il Colpevole mi ha rinnovato l’impressione che provavo leggendo certe Sue novelle sul “Fanfulla della domenica”, quando ancora non avevo la fortuna di conoscerla; l’impressione cioè che Sfinge fosse un uomo». È una lettera del carteggio tra Deledda e Sfinge, oggi conservato in una sezione della Biblioteca di Imola, che ci dice due cose: la prima, che il mistero dell’identità dietro lo pseudonimo durò poco, e che nel mondo delle lettere italiane del primo novecento si seppe in fretta che Sfinge era Eugenia Codronchi Argeli, donna riservata ma capace di muoversi con autorità e disinvoltura nel mondo dei salotti letterari; la seconda, che il tema dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale era fondativo nella sua produzione letteraria.
Si legge di tutto questo nell’ottima introduzione al romanzo La costola di Adamo, pubblicato da Sfinge nel 1918 per Treves e oggi di nuovo il libreria per Fernandel, primo volume della collana “Le oblique”, lanciata in questi giorni dall’editore ravennate. È un intervento firmato da Jessy Simonini, curatrice della collana, che si propone «di dare spazio ad autrici escluse dal canone novecentesco, dimenticate perché considerate minori». E questa prima uscita riesce nell’intento di riaccendere i riflettori su una scrittrice decisamente interessante anche per i nostri giorni. Eugenia Codronchi Argeli (1865-1934) era nata a Imola da una famiglia importante: il padre era stato ministro dell’istruzione e senatore del Regno d’Italia.
Come Sfinge, nel 1900 pubblicò Il colpevole e nel 1901 il saggio biografico Femminismo storico, cui fece seguire altri sei romanzi, numerosi saggi, raccolte di novelle e opere teatrali, sempre con il medesimo pseudonimo. Sfinge fu dunque una protagonista della scena letteraria del primo novecento, che non solo si caratterizzò come femminista (quasi) ante litteram, ma che visse per tutta la vita una relazione stabile con una compagna (Bianca Bellinzaghi, anche lei scrittrice).
Come “sentiva” Grazia Deledda, il femminismo, l’incertezza di genere, il lesbismo di Sfinge riverberano nella sua narrativa, incluso La costola di Adamo. Ne è protagonista Andrea Norbani, donna e medico, la cui scelta del nome, identico al maschile e al femminile, non è certo un caso. La vicenda è ambientata a Ravenna nel contesto storico della “Settimana rossa”, un’insurrezione popolare antimilitarista che nel 1914 agitò le Marche e la Romagna. Andrea Norbani è una repubblicana e mazziniana di ferro, con una bellezza mascolinizzata e un animo per nulla incline alle “debolezze femminili”. Nel romanzo, “aspetto virile”, “carattere maschio”, “bellezza mascolinizzata” sono espressioni spesso usate per Andrea, cui fanno eco un’altrettanto “maschia” e “virile” dedizione alla politica, uno specchiato esercizio della professione medica, e persino un arredo del palazzo di famiglia austero e mascolino, dominato dai severi ritratti del padre e di Giuseppe Mazzini.
Il lesbismo dell’autrice, che potrebbe trovare riscontro in un personaggio come questo, si ferma però qui. Ma anche se Sfinge-Codronchi non osa fino in fondo, ci consegna un personaggio del tutto anomalo per la sua epoca, fuori dai canoni, e soprattutto conscio della – e tetragono alla – sopraffazione maschile. Andrea Norbani è pressoché asessuata, convinta della bellezza e dell’importanza dell’amore ma solo a condizione che questo sia assoluto, verrebbe da dire mistico, relegando le pratiche erotiche tra donna e uomo a cosa misera e squallida.
Andrea Norbani è a capo della fazione politica repubblicana, e il plot si dipana a partire da una chiamata notturna ricevuta in qualità di medico: Norbani soccorre e salva un bambino, che scopre essere il figlio di Filippo Spada, leader (anzi “duce") dei socialisti. Lei e Spada si detestano e si attaccano a colpi di articoli infuocati sui propri giornali di parte, ma in realtà non si sono mai visti. Il bambino salvato è il granello di sabbia nelle macchine da guerra con cui si combattono, che si inceppano e saltano in occasione di un dibattito pubblico. Norbani e Spada finalmente si vedono, e mentre il dibattito degenera in uno scontro con tanto di pistolettate, è colpo di fulmine e si innamorano.
Certamente un romanzo come questo oggi sarebbe scritto con meno spazio per le (didascaliche) descrizioni delle parti politiche, e privilegerebbe aspetti più intimistici, o inerenti alla sfera sessuale. Ma resta un testo sorprendente e stimolante. Che, sistemato nel contesto della biografia dell’autrice, come ci aiuta a fare l’introduzione, si legge con empatia, comprensione, e soddisfazione