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 2024  giugno 22 Sabato calendario

Un documentario su Diane von Fürstenberg


Diane bambina. Diane leopardata. Con la corona della statua della Libertà. Scatenata nelle notti pazze dello Studio 54, a New York. Migliaia di fotografie che hanno smesso di essere private testimoniano la vita straordinaria di Diane von Fürstenberg nel docu-film presentato al festival di Tribeca, e dal 25 giugno su Disney+ Italia, alla vigilia di una grande retrospettiva. È la storia di una donna femminile e femminista, ma è soprattutto la storia di un vestito, il wrap dress, che ha appena compiuto mezzo secolo senza invecchiare di un giorno. Mentre lei, che è stata splendida, il lusso di invecchiare se l’è concesso. Nel documentario Diane von Fürstenberg: Woman in Charge, appare senza filtri: 77 anni («e me sento 300, per quanto intensamente ho vissuto»), non una traccia di botox e lifting. Appollaiata davanti allo specchio del bagno si dà una pennellata di rossetto e si racconta tra up e down. Una madre sopravvissuta ad Auschwitz, un matrimonio da favola, nel 1969, con il principe tedesco Egon von Fürstenberg, («ero pazzamente innamorata»), digerito con difficoltà dalla famiglia di lui, tre anni di follie in giro per il mondo (a proposito, la colonna sonora della loro passione è il Tuca Tuca di Raffaella Carrà), due figli, Alexander e Tatiana. Invidiatissimi, erano la versione contemporanea del sogno americano. Troppo bello per durare. «Egon era sexy e promiscuo – ammette lei – un seduttore». Il divorzio, nel 1973, era inevitabile e, anche se da quel momento Diane inizia la sua seconda vita da donna in carriera, continueranno a chiamarla «principessa».Benedetto nel ’74 dalla mitica Diana Vreeland («Si è presentata da me, non con un progetto, ma con i vestiti già fatti!»), reso possibile da un investimento di trentamila dollari, nasce il wrap dress, l’abito a portafoglio, secondo soltanto al tubino nero nell’elenco dei must-have. Semplice come un kimono, non ha zip né bottoni. Da giorno e da sera, sta bene alle Small e alle XL. Basta un attimo per infilarlo e, spiega lei maliziosa, è «perfetto per sgattaiolare silenziose fuori da una camera da letto dopo l’avventura di una notte». Un abito femminista, proprio mentre le prime working girl sceglievano i pantaloni come simbolo del power dressing.Non è una sprovveduta, Diane. Ha studiato economia, e in Italia ha imparato tutto sui tessuti dall’industriale Angelo Ferretti, ma il successo la sorprende. Tra il ‘74 e il ’76, il wrap dress vende quindicimila pezzi la settimana, un milione in due anni. Consacrato da Vogue, in copertina su Newsweek, materia di studio. Il successo, la consacrazione, coincide con gli anni dorati dello Studio 54 (1977 -1980) che le regalano feste sfrenate e incontri memorabili: Ryan ‘O Neal, Mick Jagger, David Bowie, un flirt con Richard Gere. Finché non si arrende all’amore tenace di Barry Diller, il secondo marito tuttora in carica. Poi ancora up e ancora down: il profumo Volcan d’Amour, e il cancro, la vendita dell’azienda e la sua rinascita. Quando, nel 1997, Diane disegna la nuova collezione, dopo dieci anni passati a fare altro (una casa editrice a Parigi, una linea di cosmetici, un simil postalmarket) è come se non avesse mai smesso. Ingrid Betancourt, l’ex-senatrice tenuta prigioniera in Colombia per 6 anni, appena liberata, nel 2008, compra un wrap-dress rosa e rosso. Michelle Obama indossa quello con la stampa Chain Link Large per il primo messaggio natalizio alla Casa Bianca. E anche Hillary Clinton ne mette in valigia un paio durante la sfortunata campagna elettorale del 2016. Lo portano tutte, da Madonna, alla presentazione del suo libro per bambini, a Amy Winehouse, due settimane prima di morire. Ha un coro di ammiratori: Edward Enniful, Marc Jacobs, il guru Deepak Chopra, Oprah Winfrey. L’edizione limitata, «Wrap 50», dedicata al compleanno, ha un divertente abito-cruciverba. E arriviamo al terzo tempo con le televendite di QVC. «The Wrap is back!», titolano i giornali. La blusa «democratica» da 47 dollari firmata DVF è sold out in due ore. Il motto di Diane è un evergreen: «Be Strong, Feel Sexy».