Corriere della Sera, 22 giugno 2024
Intervista ad Angelo Branduardi
Preferisce essere considerato il «Cat Stevens italiano» o «Mick Jagger con il violino»?
«Cat Stevens italiano. Sono partito dalle sue canzoni 50 anni fa. È uno dei miei autori preferiti assieme a Bob Dylan, Donovan, Paolo Conte...».
«Mick Jagger con il violino» la definì Boncompagni.
«Ho fatto la rockstar per 20 anni girando il mondo e ho smesso nel 1980, dopo il concerto per la Fête de l’Humanité a Parigi. C’erano 120 mila paganti, il palco lo aveva disegnato Oscar Niemeyer. Ma era diventato tutto isterico».
Angelo Branduardi è un signore di 73 anni fragile e fortissimo. È condannato dal suo talento a vivere sulla lama del rasoio: da un lato la realtà, dall’altro come la vede lui; tornare indietro non sempre è facile. Risponde a tutto divertito nel suo studio di registrazione in legno a Bedero Valcuvia, a Nord di Varese.
Qual è l’accordo che la rappresenta meglio?
«Il Re Maggiore: è il più ampio, il più evocativo di un grande universo».
Quanti violini ha?
«Cinque o sei. Durante la pandemia siamo stati tutti male, ma io, che entro ed esco dalla depressione, ho avuto una reazione strana: per due anni non sono riuscito a toccare uno strumento o ad ascoltare Springsteen, Bach o Cat Stevens; mi veniva il vomito. Dopo mi sono rimesso a studiare. La memoria muscolare ora è inferiore, pure l’agilità, ma grazie all’età suono molto meglio di prima».
Conserva il primo violino?
«No, purtroppo: sarebbe rarissimo, era grande così (allarga le mani di 20 centimetri, ndr). Man mano che crescevo, mio padre lo restituiva al liutaio e aggiungeva la differenza per uno più grande».
Però ha ancora quello che le fece un tranviere.
«Sì. È la copia di un Guadagnini che usai per il mio primo vero concerto, a 11 anni a Genova, quando vennero a vedermi tante filles de joie».
È più andato a rivedere i luoghi della sua infanzia, descritti così bene in «Confessioni di un malandrino», l’autobiografia pubblicata per Baldini+Castoldi?
«No... L’anno scorso, quando ho suonato a Genova, ho provato a rifare la cosiddetta via decumana: via della Maddalena dove abitavo io, via del Campo di De André e via Prè, la peggiore di tutte. Ma dopo 500 metri, quando ho visto una donna con il niqab, sono tornato indietro... Le prostitute ci sono ancora, ma adesso fuori hanno la luce rossa o verde, come ad Amsterdam».
I suoi genitori sono stati felici della sua carriera?
«Mia madre i primi due anni voleva buttarmi dalla finestra: il violino all’inizio è straziante. Di mio padre ricordo la gioia sul viso, ma anche un po’ di delusione: per me sognava un futuro da solista. Era melomane verdiano: a volte si chiudeva in sala, metteva sul disco e fingeva di dirigere l’orchestra. È un ricordo tenero».
Si è mai spiegato il talento?
«Sono dotato di un talento fisico che non capisco, perché io inciampo, non so cambiare una lampadina, non so fare nulla: è strano che abbia questa coordinazione su uno strumento così complesso».
Con sua moglie Luisa nel 2025 farete le nozze d’oro. Che marito è stato finora?
«È difficile vivere con un artista: nei momenti no, si fatica a rapportarsi. Il talento non è gratis: gli artisti di successo sono emarginati di lusso».
Con le sue due figlie, Sarah e Maddalena, che padre è?
«Loro stravedono per me, mi amano molto: nonostante fossi spesso via, facevo tutto quello che fa una madre».
Se gli alieni le chiedessero di presentarsi con una canzone, quale sceglierebbe?
«Il cantico delle creature: penso che passerebbe un senso spirituale di pace. Ci si dimentica che San Francesco è il primo poeta della letteratura italiana e il Cantico di Frate Sole è la prima poesia. Dante viene 100 anni dopo».
E «Alla fiera dell’Est»?
«Non è più mia, è patrimonio popolare. Significa un pizzico di immortalità».
Ha composto per San Francesco, San Filippo Neri e Santa Ildegarda: ne scelga uno.
«Filippo Neri, perché era matto. Quando già lo consideravano, faceva cose strane tipo rasarsi la barba a metà».
Come Gimbo Tamberi.
«Non lo conosco...».
E che effetto fa essere il personaggio di un romanzo come «Io uccido» di Faletti?
«Giorgio era il mio migliore amico. Ero stato io a suggerirgli di scrivere un libro. Non l’ho mai letto perché la trama me l’aveva raccontata lui, colpevole compreso. Ormai era un rito scaramantico che non leggessi mai i suoi libri. Prima o poi lo farò».
Ha suonato in tantissimi posti. Il più speciale?
«Uno dei punti più alti della mia carriera l’ho toccato alla National Gallery di Londra lo scorso giugno, davanti a 600 persone: dietro di me avevo un Guido Reni di 4 metri e dall’altra parte 2 Caravaggio».
È credente?
«Sì, ma non ho una fede a prova di bomba. D’altronde, chi non ha mai un dubbio non vale poi molto».
Contento quando finalmente a un concerto le hanno lanciato un reggiseno?
«Anche un paio di slip, ma avevano il cartellino attaccato: io li volevo usati! È successo a Liegi, dopo che mi ero lamentato a Bruxelles».
So che è goloso.
«Mi piace tutto. Una volta, senza saperlo, ho mangiato anche la pappa del cane di mia suocera: c’erano queste ali di tacchino bollite...».
Ha girato tutto il mondo. Il posto più bello?
«Piscinas, in Sardegna».
Mi fa felice!
«Io sono quello che ha fatto scoprire a livello europeo Luigi Lai e le launeddas. Ho lavorato con Maria Carta, con i tenores di Neoneli e di Bitti. Sono affascinato: è come se la Sardegna fosse un pezzo rimasto di Atlantide».
Scelga una città.
«Assisi. Quando l’abbiamo visitata la prima volta, alla Basilica inferiore mia moglie si è sentita male: era la sindrome di Stendhal».
Quale «collega» l’ha emozionata di più?
«Ennio Morricone. La prima volta che ho suonato con lui è stato per i suoi 70 anni: avevo il terrore».
Ha citato Springsteen. Suonerebbe con lui sul palco?
«Mi caccerebbe a pedate».
Vabbe’. Ma se potesse?
«Suonerei con gioia il violino in My Hometown».
E la storia del gambero che incontrò la trota salmonata?
«È lo Gnegno di David Riondino: la parodia mi ha divertito, infatti l’ho suonata con lui al Premio Tenco. Ma ho fatto anche una bellissima versione di Finché la barca va, solo violino e voce, con Orietta Berti: virtuosismo puro».
Se la invitassero a Sanremo da super ospite ci andrebbe?
«Non succederà mai: causerei il suicidio del pubblico».
Ma è matto? Immagino già un medley dei suoi successi: standing ovation assicurata.
«Va bene, allora ci andrei».