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 2024  giugno 22 Sabato calendario

Periscopio

Un giorno Federico Fellini stava facendo un’intervista sul set. Il giornalista gli chiese perché avesse scelto me per la parte di Casanova. Ero abbastanza vicino da sentire la conversazione. Mi aspettavo che dicesse che mi aveva voluto perché ero un grande attore, cose del genere. E, invece, la sua risposta fu: «Perché ha gli occhi di uno che si masturba molto». Donald Sutherland 1, scomparso a 88 anni il 20 giugno 2024.
Sapevo benissimo d’essere un brutto bambino. C’è sempre un motivo quando la gente ti chiama Dumbo. Donald Sutherland 2.

Che lo scontro tra Israele e Hezbollah non sia «più questione di se ma di quando» è la convinzione che ha messo Israele nella condizione d’elaborare un piano di reazione a Hezbollah e ha portato gli Stati Uniti ad avvertire le istituzioni libanesi sulle conseguenze che gli attacchi del gruppo armato, metà partito metà esercito, potrebbero portare a tutto il paese. Gli americani hanno detto che una reazione israeliana in questo momento avrebbe il sostegno di Washington. Micol Flammini, il Foglio.
Come sempre nella storia umana, quando si arriva al dunque, sono le questioni della guerra e della pace a decidere le sorti degli aggregati umani. All’Unione, per fronteggiare le minacce che incombono, serve una leadership che ora non ha. Non c’è di peggio, in una congiuntura simile, di un’Europa acefala, allo sbando. (…) È prima di tutto una questione d’opinione pubblica. Se gli europei non si convinceranno che il loro mondo è a rischio non sarà possibile attrezzare l’Europa in modo che sappia fare con successo i conti con tutto ciò che le si muove intorno. (…) È un favore che non è il caso di fare ai lupi, Putin in testa, i quali, leccandosi i baffi, sognano di fare di noi tutti un sol boccone. Angelo Panebianco, Corriere della Sera.

Putin è andato da Kim Jong-un a cercare armi? Meglio così, le bombe nordcoreane le conosciamo: sono difettose, obsolete, la metà fa cilecca, tante esplodono nei fusti dei cannoni distruggendoli e uccidendo gli artiglieri. «Maggiore Jewchick», fronte nord-orientale di Kharkiv (Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera).
Dal patto Hitler-Stalin al patto Kim-Putin. ItaliaOggi.
A Kharkiv si può di nuovo andare a sentire l’opera a teatro e hanno riaperto le discoteche. (…) Oggi è la festa della musica, un’iniziativa globale in cui si suona in strada e nei parchi e che qui ha un significato politico: la prima volta che la città ha partecipato col suo festival diffuso è stato nel momento in cui il paese ha allontanato Vladimir Putin con una rivoluzione, nel 2014, dopo Euromaidan. A Kharkiv oggi sono in programma ventiquattro concerti e dj set all’aperto. Cecilia Sala, il Foglio.
Joe Biden ha ampliato il suo vantaggio su Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca: Secondo un nuovo sondaggio Reuters/Ipsos il presidente ha il 41%, contro il 37% del tycoon. Ansa.

Qualche giorno fa Luca Bizzarri notava su twitter che «Vannacci va in tv a dire che vuole un’Europa più sovrana. Cioè il contrario di quello che vorrebbe significare». Ieri sul Fatto Marco Travaglio scriveva che i cinquestelle si sono sempre detti «né di destra né di sinistra», per poi aggiungere: «Lo stesso Conte li chiama “progressisti”, tutt’altra cosa dalla “sinistra” mummificata e vacua d’Italia e d’Europa». Si tratta di due casi molto diversi – uno di ignoranza, l’altro di dissimulazione – che sono però resi possibili dal fatto che in questo paese ormai nessuno è più minimamente interessato al significato delle parole. Così un nazionalista che invoca la sovranità europea può continuare a prendere voti e applausi da chi, proprio come lui, vuole in realtà l’esatto contrario, e chi detesta la sinistra può tranquillizzare i sostenitori dichiarando la propria appartenenza al campo progressista. I singoli casi possono far sorridere, ma il fenomeno generale dovrebbe atterrire, perché non c’è niente di più pericoloso per una democrazia, come la storia del Novecento ha ampiamente dimostrato. La linea di Francesco Cundari.

[Beppe Grillo] afferma d’essere «d’accordo su tutte le cose che dice Conte, che poi sono tre. Come si fa, d’altra parte, a non essere d’accordo sul fatto che la guerra, la povertà e le malattie siano cose brutte?» Gianni Pardo, ItaliaOggi.
Vannacci non si relaziona con i leghisti. (…) L’uomo è solitario e si è rimbambito con la Decima. Ha postato sui social una partecipazione di nozze, con lui sposo abbracciato a Ilaria Salis, sposa, e come invito, la frase: «La aspetto a braccia aperte… la mia anima gemella per la DECIMA legislatura». Inutile, anima persa. Carmelo Caruso, il Foglio.
Ha ragione Michele Serra: il Parlamento che vota il premierato, e quindi declassa sé stesso, ha l’aria del nobile decaduto che infila la testa nella ghigliottina e fa ciao ciao al boia. Ma non è una novità delle ultime ore. Il Parlamento fece ciao ciao al boia quando, nella furia di Mani pulite, modificò la Costituzione e ridimensionò l’immunità parlamentare. (…) Fece ciao ciao al boia quando votò la riduzione dei parlamentari sull’assunto filosofico-istituzionale che deputati e senatori sono inutili e costosi e tanto vale farne fuori un po’. (…) Ha fatto ciao ciao ogni volta che ha accettato o rinfocolato la definizione di casta sguazzante nel privilegio in un mondo affogato nella miseria. (…) E se non ci fosse stata ognuna di queste volte – provocata anche dalla rabbiosa cecità delle tricoteuses dei giornali e della società civile – oggi non ci sarebbe Giorgia Meloni, non il premierato, non un Parlamento esangue che certifica il suo tracollo. Ci sarebbero invece un Parlamento forte e una democrazia sana. Mattia Feltri, La Stampa.

Nei paesi dov’è arrivato al potere, il populismo non è riuscito a lenire la rabbia di cui s’era inizialmente nutrito. Al contrario, nella maggior parte dei casi ha contribuito ad acuire ulteriormente la disillusione nei confronti del sistema democratico, diventandone infine vittima lui stesso. Non nel senso che l’onda elettorale del populismo si sia esaurita, ma nel senso che i suoi esponenti al potere tendono rapidamente a essere giudicati «uguali agli altri», e quindi a diventare oggetto di critica da parte d’ondate populistiche successive, ancora più radicali ed estese delle precedenti. Carlo Invernizzi-Accetti, Vent’anni di rabbia, Mondadori 2024.
«Tutto passa»». E se invece tutto restasse? Roberto Gervaso.