la Repubblica, 22 giugno 2024
Intervista a Jean-Luc Mélanchon
Salario minimo a 1.600 euro, la pensione a 60 anni. Mentre la Francia fa i conti con un debito da 3.000 miliardi di euro, il programma del Nuovo Fronte Popolare non rischia di accelerare la crisi economica del Paese?
«È un grande classico. A ogni elezione il programma della sinistra è assimilato alla rovina del Paese.
Ma la rovina c’è già. Secondo i calcoli del nostro partito, in un orizzonte di cinque anni ci sarà un totale di 200 miliardi di euro di spese e 230 miliardi di euro di entrate per lo Stato. Come? Grazie alla spinta che queste misure danno all’economia. La spesa sociale crea benessere e il benessere consente consumi, che a loro volta producono occupazione ed entrate fiscali. I bisogni ecologici e sociali devono imporsi ai flussi economici, non soltanto i profitti, come succede da quarant’anni».
A rischio di indebitare il Paese?
«Chi ci fa questo processo si sgrava della responsabilità di aver accumulato 3.000 miliardi di debito senza aver migliorato nulla. Io dico alle classi medie: siamo la migliore notizia per voi da tantissimo tempo».
Lei porta avanti l’idea di una “nuova Francia” legata alle ondate migratorie. Che cosa significa?
«Oggi un francese su quattro ha un nonno straniero. Negli anni 50 erano uno su dieci. La “Nuova Francia” è il risultato dell’immigrazione e di un mix che produce un popolo solo. Bisogna valorizzarlo nell’immaginario collettivo, invece di operare una balcanizzazione tra comunità. La “Nuova Francia” è la creolizzazione delle culture, il meticciato più l’invenzione di un futuro comune. I miei avversari ci vedono del male, io ci vedo del bene. Andiamo. Un po’ di fiducia in quello che siamo: la Francia».
C’è tutta una parte della sinistra, a partire dai socialisti, che sta provando a ricomporre uno spazio senza di lei. Che ne pensa?
«L’ambizione è un diritto di tutti. Io ho sempre pensato che possiamo dividerci i compiti. Propongo loro di andare dove sono in grado di prendere voti che noi non siamo in grado di prendere. Il blocco socialisti e verdi ha perso 400.000 voti alle ultime elezioni, noi ne abbiamo guadagnato un milione.
Senza lo choc del rinnovamento di cui si è fatta portatrice la France Insoumise, qualcuno sarebbe ancora lì a ripetere lo stesso messaledi sempre. Alla fine hanno capito che bisognava muoversi. Che il mondo su cui la sinistra è campata per un secolo non esiste più».
Il suo movimento ha candidato persone che hanno rilasciato dichiarazioni estremamente gravi. Uno, Aly Diouara, ha definito Raphaël Glucksmann “candidato sionista”. Un altro, Raphaël Arnault, è un militante di estrema sinistra schedato come minaccia per la sicurezza nazionale. Perché li avete scelti?
«Invenzioni. Una candidatura non è un interrogatorio della polizia. Chi ha fatto avere questa notizia ai giornalisti? E in ogni caso un ecologista o un sindacalista schedato dalla polizia non per questo è un terrorista, un malvivente o un condannato. Lui èun attivista antifascista. Punto e basta. Un buon motivo, per quanto mi riguarda, per vederlo sedere all’Assemblea. Guardate piuttosto i candidati dell’estrema destra».
Serge Klarsfeld, figura dell’antinazismo, ha definito la France Insoumise una formazione “antisemita e antisionista” e ha detto che preferisce votare il Rassemblement National. Qual è la sua reazione?
«Lo ammiravo. Questo è un naufragio morale da parte sua.
Perché ha deciso di fare di me uno pseudoantisemita? È in crisi di astinenza? Mi ferisce profondamente. Lo scopo è demonizzarmi. L’obiettivo è costituire un nuovo spazio politico da cui la France Insoumise sarebbe esclusa. Lo chiamano “l’arcorepubblicano”. Qual è lo scopo?
Soltanto salvare l’ordine costituito.
È un metodo infame, di fatto al servizio del Rassemblement National».
Qual è oggi il suo principale avversario? Emmanuel Macron o Marine Le Pen e Jordan Bardella?
«Il dopo-Macron è cominciato. Lui è finito. Di fronte a noi restano solo i fascisti. La politica di Jordan Bardella è un raggiro, è un Macron con in più il razzismo. Perché, sennò, rimanderebbe ad altra data le sue misure economiche? Sono soltanto dei prestanome. Lo avevo anticipato suFrance 2nel 2012: alla fine, saremo noi o loro. Ci siamo arrivati. Anche se è penoso, la destra e i macronisti dovranno scegliere, come tante volte abbiamo dovuto fare noi a sinistra. Sceglieranno bene, perché hanno una coscienza.
Al di là delle divergenze più radicali, abbiamo la Francia in comune».
François Hollande ha annunciato che si candiderà con i socialisti, sotto la bandiera del Fronte popolare. Che pensa del suo ritorno?
«Ogni partito designa chi vuole. E lui è un regalo. Se qualcuno avesse dimenticato la storia del Partito socialista, ora ce l’ha sotto gli occhi.
Sarà divertente se viene eletto.
Innanzitutto perché è uno spiritoso e poi perché ha dei conti da regolare. Sarà interessante vederglielo fare. Ma sicuramente non avrà nessun ruolo ufficiale».
Contrariamente a lui, lei ha deciso di non candidarsi. Perché?
«Ne abbiamo discusso a lungo. Non essendoci una circoscrizione disponibile, non volevo prendere il posto di un deputato uscente. E non era davvero nei miei piani».
Nei suoi piani ci sono le presidenziali?
«Il 2027 è un orizzonte comune per la conquista del potere. Bisogna unire le forze sociali per arrivarci.
Devo lavorare in questo senso. In quale posto di combattimento, importa poco».
Dopo una campagna delle europee incentrata su Gaza, la France Insoumise ne parla molto meno dallo scioglimento dell’Assemblea. Perché?
«Errore. Anche durante le trattative abbiamo continuato a fare pressione. Non taceremo mai.
Perché il governo Netanyahu stermina Gaza con tutte le sue forze. Minaccia il Libano. La Francia deve agire per bloccarlo».