Corriere della Sera, 21 giugno 2024
Storia dell’autonomia
Dire Lega significa percorrere quarant’anni di battaglie politiche, dall’autonomia come causa fondante alla secessione passando per la «devolution» e atterrando, infine, di nuovo sull’autonomia, con l’aggiunta di quel «differenziata» per far comprendere che non è uguale per tutti e, anzi, ciascuno può modellarla a suo piacimento (le materie per cui si chiede la delega possono essere in un numero variabile da 23 a zero). Il via libera al ddl Calderoli per il Carroccio è un successo che corona un lungo percorso intrapreso nel 1984 con la nascita della Lega autonomista lombarda per opera di Umberto Bossi (che però, forse non casualmente, è rimasto silente in questi giorni) e arrivato a oggi con la riforma che ha riempito d’orgoglio il segretario Matteo Salvini. La Lega si è da sempre intestata questa battaglia, ma non è che il centrosinistra sia rimasto a guardare nel corso dei decenni. E non a caso c’è chi ha osservato, rispetto alle critiche soprattutto del Pd e alla minaccia di promuovere un referendum, che la riforma approvata in via definitiva dalla Camera mercoledì mattina trova le sue basi nella modifica del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra nel 2001 con il chiaro intento di tagliare l’erba sotto i piedi all’altro fronte. Una scelta che si è rivelata un autentico boomerang.
Ma torniamo alle origini, quando Bossi, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, si presenta sui palcoscenici politici sventolando la bandiera dell’autonomia, allora rivendicata per la Lombardia e il Veneto. Ma già nel 1996 il Senatùr pigia sull’acceleratore e a Venezia il 15 settembre legge la dichiarazione di indipendenza della Padania. Siamo in piena fase secessionista (con l’iconografia connessa, il dio Po e quant’altro). È una bandiera da sventolare ma che non conduce a grandi risultati sul piano politico.
Cambia lo scenario, la Lega nel 2001 entra nel Berlusconi II e smussa i toni. Bossi diventa ministro per le Riforme istituzionali e la «devolution». Ecco, è questa la nuova parola d’ordine che tiene banco in quegli anni, insieme al federalismo fiscale sponsorizzato da Roberto Calderoli.
Ma prima della nascita del Berlusconi II, nella legislatura precedente il centrosinistra, con il governo guidato da Giuliano Amato e con il ministro Franco Bassanini, approva appunto la riforma del titolo V della Costituzione, una modifica che contiene un riconoscimento importante: «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Ed è così che nasce, secondo il centrodestra, l’esigenza di individuare una forma di regolamentazione dell’autonomia. Il ddl Calderoli arriva da qui.
Ma il tema rimane congelato per anni. Solo in Veneto se ne parla fin dal 2014 con due tentativi di indire referendum che vengono bocciati. Il governatore Luca Zaia non molla e nel 2015 l’impresa di consultare i cittadini passa il vaglio della Corte costituzionale e nel 2017 il referendum si svolge sia in Veneto sia in Lombardia con risultati plebiscitari (ma non grandissima affluenza). Nel febbraio del 2018, Zaia, Roberto Maroni (Lombardia) e Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna) firmano delle pre-intese con il governo Gentiloni. Ma ecco un nuovo stop: la riforma sparisce dai radar e rimane appesa durante il governo Conte I e II e anche con l’esecutivo di Mario Draghi.
L’autonomia differenziata riprende slancio solo con la nascita del governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni che affida la delega specifica a Calderoli. Nel febbraio del 2023 il ddl viene approvato dal Consiglio dei ministri. Nel gennaio del 2024 ottiene il via libera del Senato e mercoledì 19 giugno è stato approvato in via definitiva dalla Camera.