La Stampa, 21 giugno 2024
Intervista a Sabino Cassese sull’autonomia
Il professor Sabino Cassese, uno dei massimi esperti italiani di diritto amministrativo, già giudice costituzionale, ex ministro per la Pubblica amministrazione nel governo Ciampi, a dispetto degli anni sta lavorando gagliardamente all’applicazione dell’Autonomia differenziata. Guida la commissione che studia i Lep, livelli essenziali di prestazione. Già, perché il professor Cassese è un convinto autonomista e ritiene l’eccesso di centralismo il vero problema storico italiano. Recentemente ha ricordato come la concentrazione di poteri a Roma, dal Risorgimento in poi, ha facilitato prima l’azione di Francesco Crispi e poi dello Stato autoritario, e per questo motivo sia Alcide De Gasperi sia le sinistre avevano voluto un assetto regionalistico. Rispetto alle critiche, quasi gli verrebbe di dire: è l’autonomia, bellezza! Più dottamente, dice: «La Costituzione prevede sia la differenziazione sia la garanzia dei livelli essenziali uniformi, per contemperare diversità con uniformità».
Professore, buona parte della legge Calderoli si gioca attorno ai Lep, ovvero il godimento minimo comune in tutta Italia dei diritti civili e sociali. Può farci qualche esempio per capire che cosa sono?
«Prendiamo il diritto allo studio come esempio: i poteri pubblici assicurano, su tutto il territorio nazionale, nell’ambito della programmazione degli interventi per il sostegno al diritto allo studio degli studenti, i seguenti servizi, gratuiti o sulla base di contribuzione familiare, sulla base dei differenti requisiti reddituali: trasporto e forme di agevolazione della mobilità; mensa; fornitura dei libri di testo e degli strumenti didattici indispensabili negli specifici corsi di studi, integralmente gratuita per l’istruzione inferiore; servizi per le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti ricoverati in ospedale, in case di cura e riabilitazione, nonché per l’istruzione domiciliare; borse di studio e ogni altra prestazione funzionale al sostegno al diritto allo studio. Questa indicazione dovrebbe essere seguita dalla cifra della spesa storica e da quella del fabbisogno».
Non è contraddittorio prevedere che alcune Regioni procedano sulla via dell’Autonomia rafforzata e altre no, ma poi siano garantiti uguali prestazioni minime a tutti, qualunque sia il territorio?
«Nulla esclude che tutte le Regioni stabiliscano intese con lo Stato per l’autonomia, e che lo facciano per settori diversi. L’autonomia comporta essa stessa differenziazioni: da cinquant’anni le venti leggi regionali in materia di agricoltura sono diverse. Infine, è la Costituzione che prevede sia la differenziazione sia la garanzia dei livelli essenziali uniformi, per contemperare diversità con uniformità. Preparare e adottare i livelli essenziali delle prestazioni vuol dire lavorare alla unità del Paese».
Come garantire che i Lep siano dignitosi e non un simulacro di diritti civili e sociali?
«Rispettando i criteri costituzionali e articolandoli sulla base delle norme esistenti. Il lavoro finora svolto si è ispirato ai seguenti criteri: determinare i livelli essenziali delle prestazioni, non delle fruizioni; determinare livelli essenziali nel senso di soglia minima, perché non si possano offrire prestazioni inferiori; partire dai livelli essenziali di assistenza o dei servizi sociali o di altro tipo, ove già individuati dalle norme, o da quelli che sono impliciti nelle norme; tenere distinti i livelli essenziali delle prestazioni dagli standard di servizio, che devono essere determinati dalle singole amministrazioni; fare riferimento ai diritti civili e sociali quali identificati nei due capi della Costituzione dedicati ai rapporti civili e sociali e agli altri articoli della prima parte della Costituzione che possano essere rilevanti; indicare i livelli essenziali offerti sia dallo Stato, sia dagli enti territoriali, sia dagli enti privati, nella misura in cui questi siano finanziati dai poteri pubblici».
Il ministro Roberto Calderoli dice che non siamo all’anno zero e che alcuni Lep vengono già finanziati alle Regioni dallo Stato. Voi avrete fatto una ricognizione al riguardo. Che realtà avete trovato?
«Esistono in alcuni settori, come la sanità, ma non vengono rispettati».
A questo proposito, il ministro ha fatto cenno a una Regione che per 9 anni ha incassato i fondi per istituire centri di formazione professionale e però ciò non è mai stato fatto. Si è capito che fine abbiano fatto quei soldi?
«Mi dispiace di non saperle rispondere. Bisognerebbe chiederlo al ministro Calderoli».
L’esempio della Regione poco virtuosa non fa dubitare sulle capacità di programmazione e spesa di questi enti?
Lei realisticamente pensa che i cittadini italiani resteranno tutti in serie A?
«Questo argomento conduce a una sola conclusione: modifichiamo la Costituzione e sopprimiamo le Regioni, capovolgendo così il disegno autonomistico dei padri costituenti e ritornando a Napoleone Bonaparte».
Le opposizioni ritengono che sarebbero necessari 100 miliardi per garantire i Lep a tutti. Qual è la sua opinione?
«Non ho doti da indovino, che altri presumono di avere. Se la cifra ha tali dimensioni, evidentemente differenziazioni sul territorio vi sono già in materie ora gestite dallo Stato».
Si può pensare di procedere per gradi, una materia sì e l’altra no?
«Secondo la Costituzione è proprio così che bisogna procedere».
Ma se lo Stato non avrà modo di stanziare il necessario per tutti, una Regione potrebbe ugualmente procedere a una intesa?
«Come ha notato nei giorni scorsi il presidente Zaia, forme ulteriori di autonomia possono essere concordate anche progressivamente». —
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