Il Messaggero, 21 giugno 2024
Intervista a Santo Versace
Parlare con Santo Versace è un’altalena di emozioni. Il settantanovenne, fondatore col fratello della Gianni Versace, e ora dedito, insieme alla moglie Francesca De Stefano, alla Fondazione che porta il suo nome, alla società cinematografica Minerva e ad Altagamma, di cui è presidente e ideatore, è un vulcano di racconti. Tutti hanno sentito parlare dell’esplosione del made in Italy, della nascita di un genio sopra le righe come Gianni Versace, che da Reggio Calabria conquistò il mondo e cambiò la moda, e di come quel sogno si infranse il 15 luglio a Miami con due colpi di pistola. Di quel 15 luglio cosa ricorda?«Fu la fine di una vita. Quel giorno ero in piazza di Spagna, c’erano le prove per Donna Sotto le Stelle. Mi arrivò la notizia e io risposi “Gianni non è morto, Gianni è immortale”. Terminò un’epoca». Chi era Gianni Versace? «Un genio che aveva cambiato la donna e la sua concezione di se stessa, oltre ad aver liberato l’uomo. Era arte e cultura. Mi sono avvicinato alla moda per amor suo». Com’era stare accanto a un genio? «Folle e bellissimo. È stato ed è tuttora fonte d’ispirazione per molti. Quando esplosero John Galliano e Alexander McQueen fu detto che erano figliocci di Gianni Versace. Senza di lui non li avremmo avuti. Ha sempre gattonato tra pizzo e merletti, aveva un talento straordinario, non aveva fatto chissà quali studi, ma tanta esperienza già nella boutique di nostra madre. I grandi dell’epoca, come Renato Balestra, mandavano in visione i loro capi a lui per sapere se potevano aver successo. Si considerava un sarto e per lui era tutto naturale». Come iniziò a seguire suo fratello? «Era creatività, ma aveva bisogno di qualcuno che organizzasse la sua attività. Fin da subito creai una società in accomandita semplice per tutelare le sue consulenze: era formata da lui, da me e dai nostri genitori. All’inizio del 1972, infatti, gli fu offerta la prima occasione da designer: avrebbe dovuto progettare una collezione per Florentine Flowers, un’azienda di maglieria con sede a Lucca. Era euforico, io, più coi piedi per terra, pensai a che compenso chiedere e mi informai su quanto prendeva Walter Albini, che allora era in vetta, e chiesi lo stesso. L’azienda accettò». Poi arrivò il vostro momento... «C’era la voglia e la necessità per Gianni di creare qualcosa di suo. L’idea della sua linea nacque nel 1976, fu ragionata nel ’77 e andò in pedana nel marzo del 1978 per la donna e a settembre per l’uomo». Piaceva molto anche allo star system. «Molti svaligiavano i nostri negozi e i direttori ci avvisavano. Così conoscemmo Elton John e con Gianni si presero subito in simpatia. Con tutti, volti noti o meno, per mio fratello se nasceva un’amicizia era qualcosa di vero». E con lady Diana come andò? «Erano entrati uno nella vita dell’altro. Quando si era separata aveva potuto vestirsi più liberamente. Fece da tramite l’allora direttrice di Vogue Uk, Anna Harvey. Avevamo un suo manichino fisso a via del Gesù, nella nostra sede. Lei era perfetta e, lontano dall’etichetta e diventando più matura, prese maggior coscienza di sé». Quali i più grandi successi? «Era felice delle copertine, soprattutto quella del Times del 1995, del primo Oscar mondiale della moda e, poi, ci fu il successo stratosferico di Elizabeth Hurley, all’epoca poco conosciuta fidanzata di Hugh Grant. Alla premiere di Quattro Matrimoni e un Funerale indossò il Safety Pin Dress, era il 1994: parlarono solo di lei, che racconta ancora che è diventata famosa proprio grazie a quell’abito». E a proposito di donne, com’erano le top model? «Straordinarie. Gianni ha avuto sempre le super. Christy Turlington, Cindy Crawford, Naomi Campbell e Linda Evangelista erano eccezionali. Alcune di loro facevano solo servizi fotografici, ma lui le convinse a calcare la passerella, creando un mito». Che rapporto c’era con gli altri stilisti? «Tra Armani e Versace c’era un grande rispetto reciproco, erano i pilastri. C’era concorrenza per essere la prima donna e avere più copertine, ma non sul piano commerciale». Un suo rimpianto? «Poco prima della morte di Gianni era tutto pronto per creare un grande polo del lusso italiano. Ci sarebbe stata una fusione tra Versace e Gucci e volevamo quotarci. Parlai con Domenico De Sole ed elaborammo il progetto. Era una combinazione perfetta e sarebbe stato solo l’inizio. Kering non sarebbe esistita». Quali i suoi progetti oggi? «Il libro Fratelli e mia moglie Francesca mi hanno aiutato a voltare pagina. La Fondazione Santo Versace è il figlio che non abbiamo mai avuto».