il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2024
Il 1° luglio israeliani e palestinesi uniti per dire “Basta!”
È come se una maledizione fosse caduta su di noi e il suo nome è Benjamin Netanyahu. Alcuni giorni fa è iniziata a Gerusalemme “la settimana della collera” con il simbolo dai! cioè “basta”. Davvero basta. Come siamo arrivati a questo punto? Non tutti scendono in strada a protestare, non tutti passano dalla protesta di Tel Aviv a quella di Gerusalemme, da quella di fronte alla Knesset alle residenze pubbliche e private del primo ministro. Non tutti vengono attaccati o feriti o tirati per i capelli da una polizia sempre più violenta (mentre nessun poliziotto è stato ferito) non tutti vivono dentro la protesta e per la protesta, ma credo che moltissimi abbiano ormai capito che abbiamo un governo che sta giocando con la nostra vita e un primo ministro che sembra impazzito fino ad accusare ingiustamente Biden e gli Stati Uniti, gli unici alleati al nostro fianco. Che riesce addirittura a diffamare il suo stesso esercito in dichiarazioni a dir poco irresponsabili se non folli. Oggi Gadi Shamni, generale in riserva che fu segretario militare dei primi ministri Ariel Sharon ed Ehud Olmert, ha affermato in un’intervista a Galei Zahal, la radio militare, che il primo ministro è persino capace, ora che la guerra a Gaza è nella realtà finita, di iniziarne una ben più grave al nord. Una guerra totale. Perché finché c’è guerra c’è governo. Con notizie di questo genere la maggioranza di chi ha parlato al pubblico in questi giorni di protesta ha chiesto di non perdere la speranza, di non lasciarsi prendere dalla disperazione. Che è poi quello che vogliono i dittatori. Se sei disperato, non reagisci più. Di giorno in giorno intanto le crepe all’interno della coalizione di governo diventano sempre più visibili. E anche la collera cresce. Ma il governo non cade. È come se l’angelo della distruzione avesse forze sovrannaturali, perché pur essendo abilissimo e mendace e finto e menzognero supremo, malgrado nessuno, compresi i suoi alleati, non gli creda più, resiste. Anzi, più ha paura, più diventa pericoloso. Ma crollerà. “Quando?” chiedo a Ehud Olmert, ex primo ministro, in un’intervista lampo “le crisi politiche hanno i loro tempi, ma questo governo è talmente marcio che il giorno si sta avvicinando. Ancora un altro po’, ma succederà” risponde. Nel frattempo il 1° luglio sarà una data da ricordare. Alle 18 ci troveremo in 6.000 in un palazzetto dello sport a Tel Aviv per una grande dimostrazione di forza del campo pacifista israeliano nel convegno “è giunto il momento”. Chiederemo un accordo per riportare a casa gli ostaggi e per la fine della guerra, e inizieremo a mobilitarci per il dopo e per una soluzione pacifica al conflitto che garantisca il diritto di entrambi i popoli all’autodeterminazione, alla sicurezza, alla dignità e alla libertà. Lì non si parlerà di Netanyahu, si parlerà di futuro. Di questo argomenteranno il filosofo Yuval Noah Harari e l’imprenditore Maoz Inon che ha perso il 7 ottobre i suoi genitori trucidati da Hamas. Di questo racconteranno i genitori di caduti e di ostaggi. Parteciperanno all’evento ben 50 organizzazioni di pace e collaborazione tra israeliani e palestinesi, ci saranno ebrei e arabi, artisti e personaggi pubblici, e canterà anche la nostra Noa che certo ci ricorderà che la vita, a volte, può essere bella anche nei momenti più difficili.